La conoscenza confusa con l’informazione
Le danze furono aperte da un valzer. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, all’incontro ‘“Economia” del Corriere della Sera su “Capitale umano. Come far crescere competenze e imprese”, tenutosi nell’aprile scorso, disse: “Che senso ha studiare tre volte le guerre puniche quando basterebbe studiarle una volta sola e dedicare quel tempo a qualcosa di più moderno?”
Dopo ci si è avventurati in un cha cha cha: il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, nei primi giorni di novembre, alla seconda edizione della 4 Weeks 4 Inclusion, evento interaziendale dedicato all’inclusione promosso da Tim, ha asserito: “La scuola non è un luogo per accumulare conoscenze, il mondo oggi è pieno di informazione, la scuola serve per tenere insieme la complessità del mondo digitale che permette di conquistare un orizzonte più ampio ma tutti devono essere messi in condizione di farlo”.
Infine, è stata la volta di una breakdance con salto acrobatico: mercoledì della settimana scorsa, il ministro Cingolani, nella trasmissione Tg2 Post, ha detto che “non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica. Serve formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per esempio”. Il salto acrobatico è che le volte segnalate da Cingolani ad aprile erano solo tre, una stima più corretta di quattro, dato che, fino ad alcuni anni fa, le guerre puniche erano nel programma di storia di elementari, medie e superiori. Ancora oggi, continuano a essere uno dei ritagli della storia antica di Roma su cui ci si concentra di più, ma non è garantito che siano fresche nella memoria di chi ha smesso di studiare da un po’. È un dilemma così antico che se ne discuteva già ai tempi delle guerre puniche: la scuola deve fornire conoscenze tecniche o gli strumenti mentali per acquisirle? È proprio vero che la scuola serve, in primo luogo, per tenere insieme la complessità del mondo digitale? Certamente, la diffusione sempre più penetrante, prevalente, dominante dell’informatica sta costituendo, in questi anni, una sorta di rivoluzione in corso. Una specie di lavori in corso, non cessati, non completati, non conclusi. Ma, anche di fronte a questa prevalenza dell’informatica, è necessario sempre saper sviluppare un pensiero critico in grado di cogliere gli aspetti fondamentali di questa stessa tendenza. Se no si rischia di cadere, più o meno inconsapevolmente, in equivoci. Come appare dalla dichiarazione del ministro Bianchi in cui afferma che la scuola “non è un luogo dove accumulare conoscenze”, perché “il mondo oggi è pieno di informazione”. Conoscenza e informazione coincidono? Se la scuola non fornisce conoscenze, chi le fornisce? Non è così, perché la conoscenza implica un sapere che sa esporre la prova del proprio essere “conoscenza”. Ogni conoscenza umana si basa su alcuni enunciati che bisogna essere in grado di dimostrare, dando prova di possederli. In caso contrario, si scambia la conoscenza per nozionismo, avversato dal movimento studentesco del ’68. D’altronde l’acquisizione della conoscenza può essere conseguita a scuola perché la scuola è, e sempre dovrebbe essere, uno spazio protetto e privilegiato in cui un giovane, cioè un adulto in via di formazione, può assimilare il patrimonio conoscitivo dell’umanità, interrogandosi criticamente sul suo fondamento. Se questo lavoro non si sviluppa nella scuola e all’interno dei processi formativi più avanzati, come nell’università, non c’è altro spazio per avviare questo studio disinteressato e critico della conoscenza. Fuori dello spazio protetto e privilegiato della scuola e dello studio – una passione ribelle, scrive Paola Mastrocola – esiste infatti il mondo del lavoro, governato da altre logiche che si riducono a una costante immutabile: il profitto, che segue finalità e strategie diverse da quelle della conoscenza. Se no, si confonde conoscenza e informazione e scaturisce lo spettacolo di chi suppone di conoscere un determinato argomento perché ha navigato su internet. Al contrario, la conoscenza sottintende lo studio e la assimilazione di una mentalità scientifica che costituisce il cuore della nostra cultura moderna. Il che vuol dire che la conoscenza si basa sul pensiero, un pensiero che è azzerato dall’informazione sul web che riduce la conoscenza solo a una procedura tecnico-operativa da realizzare secondo un preciso protocollo, stabilito e stabile, stabilizzato e stabilizzante. Contro tale dogmatismo opera il pensiero scientifico che aiuta lo studente, l’adulto in via di formazione, a saper ragionare dinanzi a tutto. Anche dinanzi a certe danze.