L’obiettivo è anche l’Unione Europea
Tutti angosciati e smarriti per l’aggressione all’Ucraina. Provare a fare un discorso più complesso è difficile, molto difficile. Non vedere la distribuzione delle responsabilità storiche e politiche di ciò che sta accadendo è facile, è comodo. Certamente si avvantaggiano coloro che sanno parlare solo la lingua della guerra perché rimangono muti di fronte allo spessore che richiede la pace. Ma non sono i soli a ottenere qualche vantaggio. Pochi giorni fa, Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha detto che “l’allargamento della Nato negli ultimi decenni è stato un grande successo e ha anche aperto la strada a un ulteriore allargamento della Ue”. Solo che l’allargamento della Nato parte dalla Jugoslavia, passa dall’inglobamento di tre paesi dell’ex Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), poi Estonia, Lettonia, Lituania (ex parti dell’Urss), poi Bulgaria, Romania, Slovacchia (ex membri del Patto di Varsavia), Slovenia (ex parte della Jugoslavia), fino ad Albania (ex Patto Varsavia), Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord (ex parti della Jugoslavia). Perché? Perché tante adesioni alla Nato? Perché non tante adesioni alla Ue? Fin dalla caduta del Muro di Berlino fu subito chiaro che per i paesi una volta gravitanti intorno alla ex Unione Sovietica la Nato era più importante dell’Ue. Avevano sperimentato sulla propria pelle la durezza di quei regimi non certo democratici, volevano tenere sopra di sé un ombrello protettivo, preferivano sottostare alla direzione di un grande Paese lontano piuttosto che a quella di alcuni paesi vicini. E se il crollo del Muro del Muro di Berlino aveva prodotto tanti effetti, se il 1° luglio 1991 fu dichiarato lo scioglimento del Patto di Varsavia, se il 26 dicembre dello stesso fu dichiarata la fine dell’Unione sovietica, perché la Nato continua a sopravvivere? La risposta è in un articolo di Sergio Romano, tutto fuorché antiamericano, sul Corriere della Sera del 31 maggio 2021: “La Nato sopravvive perché consente agli Stati Uniti di avere un posto a tavola anche quando si tratta di affari europei; e per giustificare la sua esistenza continua a conservare, soprattutto verso la Russia, la mentalità delle origini. Il risultato è una evidente discrasia fra l’Ue e la Nato. La prima è nata per creare una Europa federale indipendente, amica degli Stati Uniti ma capace di difendersi senza dipendere dalla loro forza. La Nato invece è nata per legare le nazioni europee agli Stati Uniti.” Allora Putin, tutto fuorché santo, ha deciso di avanzare. Ma non è la scelta migliore. Il riconoscimento, con la teatralità della diretta televisiva, dell’indipendenza di Lugansk e Donetsk, cancella, per il momento, ogni sforzo sul terreno del dialogo e della diplomazia. Il confronto, spostatosi interamente sul piano muscolare e militare, è in queste ore in continuo movimento ed è difficile perfino inseguire tutti i passi e le mosse. Ma la sua direzione è purtroppo chiara ed è tragica. Siccome nessuno Stato europeo ha intenzioni minacciose verso la Russia, perché Putin dovrebbe volere una zona cuscinetto fra sé e l’Europa, se non per coltivare le proprie minacce e tentazioni espansionistiche? Da queste considerazioni nasce il timore delle Repubbliche baltiche che fanno parte della Nato e dell’Ue e delle altre nazioni che aspirano a impostare una prospettiva europea e occidentale per il loro futuro. Quindi l’obiettivo siamo anche noi europei, cittadini degli Stati dell’Ue. Anche se in queste ore a farne direttamente le spese e a rischiare la vita sono le ucraine e gli ucraini, bisogna avere ben chiaro che nel mirino di Putin c’è anche la forza di attrazione dell’Ue e la capacità dell’Ue di svilupparsi sempre più come potenza politica ed economica. È come se Putin, magari per conto suo e anche per conto di Pechino, ci stesse urlando con i suoi cannoni: cari europei, non azzardatevi a diventare forti. A questo punto è ovvio quale debba essere la nostra risposta politica ed economica. L’Europa deve guardare alla stabilità dei suoi confini e tutelare le scelte che ha fatto nel sostenere il suo partenariato euroatlantico, ed è giusto che si faccia sentire. Mai come ora, sarebbe necessario che la “bussola strategica” europea inizi a essere declinata, con fatti concreti. Il che non significa necessariamente rispondere con la minaccia delle armi, perché sarebbe sufficiente ricordare alla Russia che, se si continua nel minacciare l’integrità dell’Ucraina, potrebbero essere posti in gioco i rapporti economici, inclusi quelli energetici, che al momento legano la Russia all’Ue, ma non incondizionatamente. Ed è il momento per l’Ue di parlare una lingua diversa da quella degli Usa. Il conflitto è scoppiato nel cuore dell’Europa, che non può solo fare dichiarazioni di biasimo contro la Russia e pensare alle sanzioni da infliggere a Putin e ai suoi alleati. L’Ue deve essere istituzione di mediazione fra le parti in conflitto, non deve entrare nel conflitto. Deve usare un linguaggio diverso da quello di Washington, perché i suoi interessi sono diversi da quelli di Biden e l’Europa non vuole una guerra nel cuore dell’Europa. Occorre prendere le distanze di chi deve risalire la scala dei consensi per le elezioni di midterm di novembre. Questa non è la nostra guerra – nessuna guerra è nostra – e non lo dovrà essere mai. Ma già sembra troppo tardi.