Putin ovvero il problema del mondo
Delle due l’una, o non ha memoria o non ha capito niente. Putin, dell’invasione sovietica dell’Afganistan, o non ha memoria o non ha capito niente. Durò quasi dieci anni, furono impiegati più di seicentomila militari dell’Armata Rossa, di cui venticinque mila non tornati vivi a casa. Sul campo, i sovietici lasciarono anche le carcasse di decine di velivoli e di elicotteri, i relitti di centinaia di carri armati e di veicoli blindati, i rottami di migliaia, fra cannoni, mortai e altri mezzi terrestri. Putin non ricorda che, dopo che nel 1986 al Congresso del Partito, Gorbaciov ammise che la guerra era stata un errore, molti esponenti di punta della nomenklatura presero le distanze da un conflitto divenuto ormai impopolare. Non ricorda che ci furono rivolte e proteste in Armenia, Kazakistan e Tagikistan, che forti ostilità antimilitariste e antirusse si ebbero in Ucraina, Georgia e nelle repubbliche baltiche, che la condotta della guerra fu, per la prima volta, sottoposta a un giudizio da una commissione ad hoc istituita dal Congresso dei Deputati del Popolo. Non ricorda o non ha capito niente se a distanza di alcuni decenni piomba lui e fa ripiombare tutto il mondo nella banalità di una aggressione, di una invasione, di una guerra o, come ha scritto la filosofa, politologo e storica Hannah Arendt in un suo saggio, nella “banalità del male”. Putin è diventato, molto banalmente e molto pericolosamente e chissà se e quanto consapevolmente, il problema del mondo, non soltanto degli ucraini, dei russi e degli europei. Proprio così, perché assaltare, attaccare, bersagliare, bombardare le centrali nucleari dicendo, in altre parole, alle nazioni di tutto il mondo: “Non intensificate le sanzioni, perché altrimenti finisce male…”, significa che – se ancora ci fosse necessità di qualche dimostrazione per comprenderlo – l’invasione dell’Ucraina riguarda davvero il tutto: le nostre nazioni, i nostri popoli, le nostre istituzioni, le nostre società, le nostre democrazie, le nostre libertà, le nostre indipendenze, le nostre autonomie, i nostri sistemi economici e produttivi, la nostra Unione europea. E le nostre vite quotidiane, scombinate, scompaginate e scompigliate dal secondo immane pensiero fisso in poco tempo. Dopo la pandemia, dopo i limitati e ridotti lockdown a fasi multiple alternate, ci voleva proprio una botta di vita, un diversivo per rompere la monotonia, la routine quotidiana. Fino al punto che più bambini hanno già fatto la domanda: “Ma le bombe possono arrivare fin qui, possono arrivare pure da noi?”. Non è possibile sapere se e quanto Putin sia davvero consapevole di essere diventato il problema del mondo. “Questa è la guerra di Putin”, ha detto Biden, minacciando di farne “un paria della comunità internazionale”. È già un intoccabile, è già un fuori casta, lo ha detto pure Maurizio Crozza: “Gli uccelli migratori fanno una deviazione per non volare sopra di lui!”. Ma al di là di tutto ciò, una domanda aleggia su ogni altra: è sicuro che Putin capisce che non potrà occupare a oltranza l’Ucraina e raggiungere i suoi irragionevoli obiettivi con le sue “operazioni militari speciali”, se non a un prezzo elevatissimo in termini di sofferenze, un prezzo che farà pagare e sta già facendo pagare al suo popolo, oltre a quello ucraino e, indirettamente, a tutto il mondo? Quando Macron, dopo l’ennesima interminabile, lunghissima telefonata con Putin, ha fatto capire sconsolato che lo zar non si fermerà, ha, indirettamente, detto e chiesto agli alleati: “Quale obiettivo ci poniamo e quali sacrifici siamo disposti a fare per ottenerlo?”. Che poi la Nato riesca a supportare l’Ucraina stando del tutto fuori dal conflitto pare ogni momento che passa sempre più difficile e pericoloso, adesso che ci sono centrali atomiche assaltate, bombardate e controllate, corridoi umanitari da gestire, aiuti militari e no da far arrivare, confini europei da proteggere. Una volta la guerra decimava solamente chi la combatteva, ma in un mondo, più che mai super-globalizzato e ultra-mediatico, la guerra logora chi la dichiara e la decide. Il rischio, serio, è che il logoramento di ciò che resta della leadership putiniana rappresenterà una recrudescenza della ferocia in Ucraina, ma anche ancora maggiore ferocia sul fronte interno. Lo si vede con gli arresti, perfino di Yelena Osipova, 80 anni, una delle sopravvissute all’assedio nazista di Leningrado, con la chiusura delle poche voci libere rimaste. E si allunga dunque la lista dei media internazionali che sospendono la loro attività in Russia: oltre le italiane Rai, Mediaset e Ansa, anche le americane CBS, ABC, CNN e Bloomberg e le tedesche ARD e ZDF hanno interrotto le corrispondenze dei loro studi a Mosca in seguito alla legge che prevede il carcere per chi diffonde notizie “false” sulla guerra in Ucraina. È indispensabile aver chiaro quale strategia adottare e uno schieramento compatto di forze indirizzato al raggiungimento di obiettivi precisi. Nella politica estera, e non solo, il metodo migliore per difendere gli ideali è trasformarli in convinzione nella esecuzione e nella realizzazione di una strategia chiara, pragmatica e realista. In conclusione, tutto il mondo in questi momenti si chiede banalmente: “Che fare con Putin?”. La risposta è altrettanto banale: “Fermarlo”. E come? Bisogna sperare in leader non banali e coraggiosi.