Il patto trono–altare del Nuovo Medioevo
Passano i giorni e la sensazione lascia il posto alla certezza. Quella in Ucraina non è solo una invasione, non è soltanto una guerra di conquista, non è solamente una aggressione militare mossa da interessi nazionalistici o geopolitici per allargare la sfera di influenza di Mosca. È, anche, l’ultima versione dello scontro di civiltà: in gioco c’è la sopravvivenza di una società cristiana russa, ricca di antichi valori, agli antipodi rispetto a un occidente preda della decadenza dei costumi, del suo consumismo, della sua accettazione del peccato, come fosse solo una delle tante forme della diversità umana che compongono l’esistenza. È una guerra irriducibile fra luce e tenebre, fra Dio e chi vuole velarne il volto. Non sono le parole di un fondamentalista islamico di una scuola coranica afghana: a sostenere queste argomentazioni è stato, non molti giorni fa, Kirill, patriarca di Mosca e capo della Chiesa ortodossa autocefala russa, che ha rotto il prolungato silenzio mantenuto sulla guerra in Ucraina nelle prime fasi del conflitto. Più volte e da più parti, infatti, erano stati rivolti appelli alla massima autorità religiosa russa affinché intervenisse pubblicamente – considerato anche il suo forte legame con Putin – per dire una parola di ragionevolezza e di pace su eventi tanto drammatici. Al contrario, Kirill ha giustificato la guerra in una prospettiva apocalittica, dentro uno schema di scontro totale fra bene e male, per cui in Donbass – sul resto dell’Ucraina manco una parola – era in gioco la stessa sopravvivenza della civiltà cristiana russa. “Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass. E nel Donbass, c’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che vengono offerti oggi da coloro che rivendicano il potere mondiale. Oggi è imposta una prova di fedeltà a questo potere mondiale, una sorta di lasciapassare per quel mondo felice, un mondo di consumo eccessivo, un mondo di apparente libertà. Cos’è questo test? La prova è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: si tratta di una sfilata dell’orgoglio gay” ha detto Kirill. “Se l’umanità accetta che il peccato non è una violazione della legge di Dio, se l’umanità accetta che il peccato è una variazione del comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì. Le parate dell’orgoglio gay hanno lo scopo di dimostrare che il peccato è una variante del comportamento umano” ha affermato ancora il capo della Chiesa ortodossa autocefala russa. In Ucraina si combatte così per frenare “la negazione di Dio e della sua verità sulle persone”. Sono argomentazioni radicate nelle aree del fondamentalismo religioso di matrice cristiana e anche di quello islamico. La contrapposizione fra due mondi – un “noi” puro e un “loro” impuro, dominato dal peccato – è alla base di diverse visioni politico e religiose che confluiscono in un attacco senza quartiere alle società pluraliste, democratiche, aperte, per quanto imperfette esse siano. Si tratta dello stesso retroterra – o meglio sottosuolo – degli assalitori del Campidoglio a Washington, che è possibile riscontrare in certe frange dei movimenti conservatori e reazionari statunitensi o nei movimenti anticonciliari in Europa. L’interpretazione del cristianesimo, secondo Kirill, è fortemente venata di nazionalismo, ed è inscritta in un patto trono – altare con il Cremlino che è garanzia per entrambi i contraenti. Perciò, al di là della negazione di Dio, le mire espansionistiche delle due istituzioni collimano: l’Ucraina per Putin non esiste, è uno sbaglio della storia, ed è parte della Russia; per Kirill, fa parte del territorio canonico del patriarcato di Mosca senza neanche un indugio. Non importa se, in Ucraina, convivono due chiese ortodosse, una fedele a quella russa e una indipendente, riconosciuta dal patriarcato di Costantinopoli, oltre al fatto che sono presenti una chiesa greco-cattolica in comunione con la Santa Sede e altre tradizioni religiose minori. Non è un caso allora se le parole di Kirill sono state disapprovate anche da settori ortodossi. Nikolaj Berdjaev, filosofo russo, dissidente e anti bolscevico, detto “il filosofo della libertà”, espulso nel 1922, nel saggio “Nuovo Medioevo”, con gli occhi di chi è capace di guardare oltre il futuro, diceva che la lotta fra il Bene e il Male si farà più intensa, e i termini saranno più chiari, che la rivoluzione russa è una tappa vitale di questo processo di chiarificazione, e seppure in negativo, i bolscevichi sono davvero “uomini del Nuovo Medioevo”. Essi sono la riprova “che non esiste neutralità religiosa, pura assenza di religione; alla religione del Dio vivente si oppone la religione del Diavolo; alla religione del Cristo, la religione dell’Anticristo”. Ecco perché, per Berdjaev, il comunismo russo, con il dramma religioso che porta con sé, è già nel Nuovo Medioevo, non più nella storia. Oggi siamo di nuovo a questo punto, con la Russia che torna al Medioevo, e l’Occidente che non sa come impedire una tragedia che potrebbe colpire la vita del pianeta terra. Tocca soprattutto ai più giovani pensare all’avvenire. Inizia il Nuovo Medioevo, terra di mezzo fra il Novecento dei buoni e dei cattivi e il Terzo Millennio dei nuovi sconvolgimenti. La guerra mondiale, nel secolo scorso, scoppiò nel 1914. Il 2014 è già passato … ma non si può dimenticare l’oggi dell’Ucraina.