Papa Francesco: “Far cessare questa guerra ripugnante”
Ogni luogo è buono per ascoltare e accogliere la parola di Dio: può essere un luogo un po’ misterioso e ricco di fascino in cui incontrarlo nell’intensità di un dialogo misto a stupore, come accaduto a Mose sul monte di Dio, l’Oreb, davanti al roveto ardente, è il libro dell’Esodo. Oppure nella quotidianità della nostra vita, segnata anche da ferite e eventi drammatici, come Saulo che lungo la via che porta a Damasco diventa Paolo. L’importante è cogliere un senso, una presenza che interpella e che ci chiama a una reale conversione. “Siamo nel cuore del cammino quaresimale” ricorda Francesco all’Angelus, che dice: “è il peccato che produce la morte; sono i nostri egoismi a lacerare le relazioni; sono le nostre scelte sbagliate e violente a scatenare il male”.
Conversione, dunque, sempre ma soprattutto in questo tempo difficile, tempo in cui gli avvenimenti, terribili e incredibili, alle porte dell’Europa, contengono la parola insistente di un Dio che chiede la pace, che ama la vita. Così Francesco anche in questa domenica rinnova il suo appello per la fine del conflitto; parla di “violenta aggressione”, di “guerra ripugnante” e di “crudeltà disumane e sacrileghe”. Ogni giorno si ripetono “scempi e atrocità” e “non c’è giustificazione per questo”, afferma il Papa, nel consueto appuntamento domenicale. Chiede alla comunità internazionale di impegnarsi per far cessare la guerra. Ricorda, quindi, la sua visita all’ospedale Bambino Gesù, parla di bambini feriti, di missili e bombe che si sono abbattuti su civili, anziani, madri incinte; parla di “milioni di rifugiati ucraini che devono fuggire lasciando indietro tutto e provo un grande dolore per quanti non hanno nemmeno la possibilità di scappare. Tanti nonni, ammalati e poveri, separati dai propri familiari, tanti bambini e persone fragili restano a morire sotto le bombe, senza poter ricevere aiuto e senza trovare sicurezza nemmeno nei rifugi antiaerei. Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego”, va contro la sacralità della vita umana “che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia!”. E in quel “sacrilego” vi è un chiaro riferimento alla citazione del Vangelo di Giovanni fatta da Putin nella manifestazione di venerdì a Mosca.
Parla dell’urgenza dell’accoglienza il Papa, non solo nell’emergenza, perché poi “l’abitudine ci raffredda un po’ il cuore e ci dimentichiamo”. Parla di proteggere donne e bambini dagli “avvoltoi” della società. Infine, invita fedeli e comunità a unirsi in preghiera, venerdì 25 marzo, per il “solenne Atto di consacrazione dell’umanità, specialmente della Russia e dell’Ucraina, al Cuore immacolato di Maria, preghiera alla Regina della pace.
Nelle parole che hanno preceduto l’appello per l’Ucraina, Francesco commenta il brano di Luca e si sofferma sul fatto di cronaca riportato, ovvero la repressione romana per volere di Pilato e i morti per il crollo della torre di Siloe, per dire: “quando il male ci opprime rischiamo di perdere lucidità e, per trovare una risposta facile a quanto non riusciamo a spiegarci, finiamo per incolpare Dio”, e quante volte “attribuiamo a lui le nostre disgrazie, attribuiamo le sventure del mondo a lui che, invece, ci lascia sempre liberi e dunque non interviene mai imponendosi, solo proponendosi; a lui che non usa mai violenza e, anzi, soffre per noi e con noi”. Da Dio, afferma il Papa, “non può mai venire il male perché non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia. È lo stile di Dio”.
Ecco il secondo episodio che troviamo nel testo lucano; lo “possiamo leggere nella prospettiva di un tempo donato all’uomo per cambiare, per convertirsi”, è il tempo per Francesco “della pazienza di Dio che sa ascoltare, attendere”. L’albero di fico che non da frutto e che il padrone chiede venga tagliato; “lascialo ancora quest’anno finché gli avrò zappato attorno, vedremo se porterà frutti…” risponde il contadino. Il racconto di Luca finisce qui, ma quello che conta, nel racconto, è la capacità di accogliere la proposta, cioè la possibilità di un tempo ulteriore per portare frutto. Lo sguardo del contadino è lo sguardo del Signore che va oltre il fallimento evidente e concede i tempi supplementari, diremmo con una immagine calcistica. È “il Dio di un’altra possibilità”, per papa Francesco.