L'argomento

Rilancio Ilva? Per ora solo molte incognite, e i sindacati bocciano la verifica della cassa

21 Mar 2022

di Silvano Trevisani

Sono molti i modi in cui la guerra in Ucraina sta incidendo nella vita e nell’economia del nostro Paese. Accanto all’aumento dei prezzi di carburanti e alle previsioni di mancato approvvigionamento di alcuni fondamentali prodotti alimentari, uno dei prodotti che scarseggia, insieme al concime, è la ghisa, importata massicciamente da Ucraina e Russia soprattutto dalle fonderie del Nord che la utilizzavano per produzioni siderurgiche con forni elettrici. L’improvvisa mancanza, assieme all’esplosione del prezzo dei prodotti energetici, ha messo in ginocchio molte di quelle aziende che hanno fermato la produzione.

Uno degli effetti più evidenti è stata la previsione, già annunciata nei giorni scorsi, transitata dal governo ad Acciaierie d’Italia, di aumentare la produzione nello stabilimento siderurgico di Taranto, provocando le prime reazioni contrapposte, tra chi teme l’aumento della produzione significhi automaticamente l’aumento dell’inquinamento, e chi, maestranze e sindacati soprattutto, spera che questo inneschi una ripresa del lavoro. Anche se tale annuncio arriva, paradossalmente, all’indomani della richiesta di nuova cassa integrazione per 3.000 lavoratori, dei quali 2.500 nel solo stabilimento di Taranto. Proprio ieri si è iniziata la verifica, all’interno dello stabilimento, della “conta” dei numeri, e su merito e metodo i sindacati hanno espresso forte delusione.

Ma non dimentichiamo neppure il tentativo dello stesso governo di tagliare mezzo miliardo di fondi per la decarbonizzazione, per la quale viene ora, improvvisamente, stanziata una somma di circa 150 milioni di euro per avviarla. Ma come si procederà? In che modo si cercherà di rendere compatibili le esigenze di maggior produzione, la nuova cassa integrazione, la improcrastinabile ambientalizzazione? E che rapporto ci sarà, in prospettiva, tra l’uso della cassa e l’ipotizzata ripresa produttiva? Abbiamo provato a capirne di più con l’aiuto di due dirigenti sindacali che stanno seguendo direttamente la questione, ma che non nascondono i punti ancora oscuri e tutti da chiarire.

Per Giuseppe Romano, segretario generale della Fiom-Cgil. la situazione è sempre molto confusa a cominciare dalle compagini societarie, con Mittal che continua a fare profitti altrove ma tiene un piede qui per convenienza, mentre il governo, che dovrebbe completare l’acquisizione della maggioranza del capitale sociale entro maggio, non lo farà, perché le clausole sospensive non si sono ancora concluse, in particolare il dissequestro degli impianti (che per ora sono dati solo in facoltà d’uso). Ma soprattutto c’è nebbia fitta sul piano industriale futuro che deve chiarire con quale modello si intende produrre perché non sia impattante sulla salute di cittadini e lavoratori. Questo non è stato chiarito.

Quindi si continua a vivere nell’emergenza.

Già, oltre a quello che era successo con la pandemia ora assistiamo al crollo dell’elettrosiderurgia del Nord che campava con la ghisa di Ucraina e Russia, quindi Taranto resta suo malgrado l’unica chance dello Stato per trovare soluzioni.

Taranto dovrebbe produrre la ghisa anche per il Nord? È in condizioni di farlo?

Si punta a quello, ma per ora teoricamente. Oggi, con l’attuale Aia, c’è una produzione autorizzata fino a 6 milioni di tonnellate di acciaio, che ancora non si raggiunge per vari motivi. L’azienda ci ha spiegato che intende raggiungerne 5,7 riavviando i tre altoforni.

Ma siamo sempre col vecchio sistema.

Certo, siamo con il ciclo integrale che è impattante. Su questo punto è stato annunciata la realizzazione di un forno elettrico che dovrà utilizzare il preridotto, cioè la preriduzione del minerale, che fa saltare la prima fase del ciclo evitando quelle emissioni più impattanti. Se hanno fatto 13 decreti per far continuare la produzione vuol dire che lo stabilimento è strategico per l’Italia. Il problema delicato è nel fatto che Draghi vuole utilizzare parte delle risorse previste per le bonifiche, dedicando 150 milioni alla famosa decarbonizzazione. In tutto questo scenario chi paga sono sempre i lavoratori ai quali è stato prospettato almeno un altro anno, se non due, di cassa integrazione straordinaria che significa falcidiare i salari. Così non si può andare avanti.

A Biagio Prisciano, segretario della Fim-Cisl che si occupa dell’Ilva chiediamo: le decisioni del governo e dell’azienda sembrano incongruenti, qual è la vostra analisi?

Dopo dieci anni di vertenzialità seguita al sequestro stabilimento, siamo al momento delle scelte. Questa è la madre di tutte le vertenze, perché si incrociano qui i problemi della produzione, del lavoro e dell’ambientalizzazione.

Speriamo che quanto prima si possa acquisire l’equilibrio societario. Siamo in una fase delicata di passaggio nella quale rischiano di pagare solo i lavoratori. In settimana facciamo un incontro definitivo al ministero del Lavoro, ma la verifica sugli impianti parte male. E poi ripeto: manca il piano per arrivare alla tecnologie del futuro salvaguardando ambiente e salute.

Oggi, quindi, è stato attivato il confronto per verificare i numeri della cassa integrazione, com’è andata?

A giudicare dalla riunione odierna non abbiamo registrato alcun cambio di passo. Un copia e incolla dei recenti incontri sulla cassa, con una semplice indicazione di numeri freddi. Condizione sicuramente poco incoraggiante in vista di un accordo in cui, più in generale, si dovrà tenere conto di altri aspetti, già condivisi a parole dal ministero del Lavoro.

Insomma: una situazione tutt’altro che chiara.

Proprio così. Il governo deve uscire allo scoperto e spiegare qual è la prospettiva industriale vera e che accorgimenti saranno adottati per tenere sotto controllo l’impatto della produzione, sia dal punto di vista della salute, ma anche per quanto riguarda la tutela economica dei lavoratori. Serve chiarezza e occorrono certezze per tutti.  C’è bisogno di dare garanzie a tutti: ai lavoratori di Acciaierie d’Italia, nonché a quelli di Ilva in amministrazione straordinaria e dell’appalto e dell’indotto. Dobbiamo sbloccare la situazione di stallo, avviando in maniera concreta l’auspicato piano di rilancio del Gruppo Acciaierie d’Italia, fondato sul rispetto della salute, dell’ambiente e del lavoro. Per noi qualsiasi accordo sulla cassa integrazione non potrà prescindere dal rispetto delle rotazioni, dalla decurtazione dei numeri con il maggior numero possibile di lavoratori sugli impianti e dall’integrazione al salario.

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