Martina Franca: restaurata l’antica statua di san Giuseppe della chiesa di Sant’Antonio
Il restauro dell’antica statua di San Giuseppe, custodito della chiesa di Sant’Antonio a Martina Franca ha condotto i fedeli a riscoprire il culto al Patrono Universale della Chiesa. Ma ha condotto anche i devoti a contemplare le virtù che hanno caratterizzato il percorso esistenziale del falegname di Nazareth, come ha evidenziato il parroco don Mimmo Sergio.
La statua in cartapesta di san Giuseppe si trova da oltre un secolo nella navata sinistra della chiesa. Dopo aver ottenuto i vari permessi dalla Curia e dalla Sovrintendenza, nell’agosto del 2019, la restauratrice Maria Gaetana Di Capua, diede avvio alle operazioni di restauro. Si tratta di un’opera del noto cartapestaio salentino Giuseppe Manzo (1849-1942). Quest’ultimo risulta essere uno tra i più importanti maestri cartapestai del XIX secolo; qualcuno lo definisce “il Michelangelo della cartapesta”.
Numerose sono le sue opere: quelle a carattere sacro più famose sono alcune statue processionali dei “Misteri di Taranto”; quella di maggiore interesse per i martinesi è “la Natività di Maria”, conservata nell’Oratorio dell’omonima Confraternita.
Dopo un accurato studio, la restauratrice è riuscita ad attribuire al Manzo la paternità dell’opera, in virtù di un evidente parallelismo artistico con un’altra statua di san Giuseppe dello stesso autore custodita a Fasano. La delicatezza dell’icona mostra anche il vissuto dell’artista il quale nel volto dei suoi “bambinelli” spesso ritraeva il volto di un suo figliolo morto prematuramente.
“Il figlio del falegname”: così nel Vangelo (cf Mc 6,3) è presentato il predicatore di Nazareth. L’espressione, delineando la concreta umanità del Figlio di Dio, è una tra le pochissime attestazioni storiche che rimanda il lettore del vangelo alla figura di Giuseppe della stirpe di Davide, carpentiere del villaggio di Nazareth.
Giuseppe, l’uomo del nascondimento, è perciò presentato, nella sua anzianità, come colui che si fida di Dio: come colui cioè che è stato capace di sopportare, per quasi tutta l’esistenza, le dicerie dei compaesani e come chi attende la manifestazione messianica del giovane Gesù; manifestazione che, tuttavia, il falegname vede realizzarsi – quasi con un velo di malinconia – solo nei suoi “sogni”.