Domenica 3 aprile l’arcivescovo benedirà
la facciata restaurata di San Domenico
Sarà l’arcivescovo Filippo Santoro a impartire la benedizione alla facciata di San Domenico al termine dei lavori di restauro. Domenica 3 aprile, alle 18, dalla chiesa di Sant’Agostino muoverà su via Duomo la Via Crucis con la processione del Crocifisso per giungere davanti alla chiesa di San Domenico che sarà illuminata a cura del Mysterium Festival. Presteranno il loro servizio il coro Alleluia e la Grande orchestra di fiati Santa Cecilia.
Ne abbiamo parlato con la restauratrice dottoressa Isabella Piccolo: “San Domenico merita un posto nei libri d’arte”.
Quella che apparirà, una volta tolto il velo dietro il quale ha Icoser ha operato con solerzia in questi mesi, è l’agile facciata tardoromanica della chiesa di San Domenico, restituita al suo antico splendore. Con l’impresa Icoser del geometra Francesco Chirico, hanno operato la restauratrice dottoressa Isabella Piccolo, e i tecnici: ingegneri Stefano Tomassi, Gianfranco Tonti, Giorgio Tonti, Carmelo Lippo, l’architetto Leda Ragusa, il dottore commercialista Francesco Falcone. Un ringraziamento particolare va alla confraternita Maria SS. Addolorata e San Domenico, rappresentata dal commissario Giancarlo Roberti, e ad alcuni donatori, che hanno chiesto di rimanere anonimi, che hanno in parte sostenuto economicamente il restauro. Tutto è stato possibile grazie all’instancabile coordinamento del parroco di San Domenico, don Emanuele Ferro che ha messo in cantiere anche le ristrutturazioni della basilica cattedrale di San Cataldo, della chiesetta dei Santi Medici e di quella di San Giuseppe. A conclusione dei lavori abbiamo rivolto alcune domande alla dottoressa Isabella Piccolo, restauratrice di grande esperienza, cui è stato affidato l’incarico del restauro lapideo, i cui risultati sono stati poi immortalati attraverso un rilievo effettuato in tecnologia laserscanner da Geostudio.
Il lavoro di restauro della facciata ha posto delle problematiche particolari?
Dal punto di vista conservativo parecchie problematiche, che rispecchiano poi le problematiche caratteristiche di Taranto. Al classici fattori di degrado che si riscontrano abitualmente sulle facciate si aggiungeva, infatti, anche quello derivante dall’inquinamento atmosferico, contrassegnato dai depositi ferrosi che caratterizzano cromaticamente tutta la città. Era triste riscontrare questo primo strato di depositi e un po’ scioccante vedere che già dopo il primo lavaggio la superficie cominciava a prendere un colore differente: iniziava a somigliare, cioè, a quello degli altri cantieri.
Ma in quali condizioni è attualmente la pietra? È compromessa?
La condizione della pietra, già a inizio dei lavori, ci ha anche sorpreso da un certo punto di vista e spiega anche perché l’intervento non è stato così invasivo e perché ci ha indotti a cercare di rispettare tutte le situazioni che abbiamo trovato. Mi spiego: la pietra si è presentata a noi non completamente nuda perché protetta da vari strati di scialbo, cioè di bianco di calce che si usava dare giusto per proteggerla, E l’ha protetta effettivamente, perché l’inquinamento e i depositi neri che si sono formati hanno trovato questi strati di risparmio, quindi hanno protetto le superfici naturali della pietra. Laddove la pietra era scoperta, priva di questi strati manutentivi di calce, lì invece la crosta nera si era adesa. Le croste nere sono una bella rogna per noi restauratori, perché quando si ancorano alle superfici lapidee, oltre ad essere sgradevoli dal punto di vista estetico e a dare un’idea di sporco, hanno un’azione deleteria sul materiale lapideo che si consuma. In genere sotto queste croste si trova una materia che è polverosa, decoesa, fragile e che quindi si perde. Gli effetti di queste croste si possono vedere ad esempio nella scalinata barocca che ha subito molto di più gli effetti, per cui si vedono alcune porzioni di questa balaustra che sono proprio consumate per effetto di questo fenomeno di degrado. Invece il rosone e il protiro sono stati protetti dagli strati di scialbo.
Che non avete rimosso completamente.
…Che noi non abbiamo rimosso e magari a qualcuno è potuto sembrato strano, ma ho voluto non spogliarla del tutto, perché questi strati sono testimonianze di fasi manutentive molto antiche e perché sotto di essi abbiamo trovato proprio la patina originale della pietra medievale. E con il colore originario che ritroviamo nel demonietto, questa figura tinta di rosso di lato sul rosone, e anche sull’epigrafe, con l’emblema dell’agnello e del toro. Lì abbiamo tirato fuori questa patina antica, e si vede questo colore scuro e che, scoprendolo, regalava sensazioni notevoli anche a livello olfattivo.
Portare a nudo la pietra non può rappresentare un rischio per il futuro?
Per questo non è stato esteso tutto l’intervento a tutto il protiro, ma chiaramente non si lascia la pietra così nuda, perché si applicano dei prodotti che hanno un effetto protettivo e consolidante e anche un effetto idrorepellente, in modo da prevenire l’attacco dei fenomeni di degrado tipici alle quali è soggetta.
Ma questo non presupporrebbe una ripetizione nel tempo dell’intervento di protezione?
Proprio così. Ogni restauro ha bisogno di una fase manutentiva successiva. Questo è un problema di tutta l’Italia: sono si fa in tempo a restaurare che si ripresentano altri problemi. A livello tecnico, quando si redige un progetto di restauro ormai si deve redigere anche un piano di manutenzione. Ma nei fatti, purtroppo, questi piani di manutenzione in genere non vengono attuati per mancanza di risorse economiche.
A lavoro compiuto, come “vede” struttura della facciata?
La facciata di San Domenico è una tipica facciata tardoromanico gotica esemplare dell’architettura e anche della scultura pugliese. Io l’ho trovata emozionante. Non mi stanco di dirlo a costo di ripetermi, dal momento che, dopo aver lavorato su tutto il territorio nazionale e anche all’estero, lavoro da un po’ di tempo in Puglia: queste materie le ho lette e studiate sui manuali ma ora trovarmi poi sul ponteggio “di casa mia”, della mia terra, poter finalmente mettere a frutto le esperienze su un bene del territorio in cui sono nata e cresciuta, è un’emozione grandissima. La facciata di San Domenico, nella sua semplicità così esemplare, dovrebbe essere essa stessa nella manualistica artistica. Lo merita davvero.
Foto dello studio cavalier Renato Ingenito