Mons. Santoro al direttore di Avvenire: “Dobbiamo essere artigiani della fraternità e della pace”
Riportiamo una lettera che il nostro arcivescovo ha inviato al direttore dell’Avvenire:
Caro direttore,
la guerra in Ucraina crea confusione anche in molti cattolici, divisi tra la difesa della giustizia – l’evidente considerazione che c’è un aggressore e un aggredito – e l’anelito alla pace, confine indispensabile per il fiorire della vita. La divisione nasce solo quando non sono chiari i fondamenti razionali, che si trovano invece realizzati compiutamente nelle parole e nei gesti del Papa, a cominciare dalla straordinaria consacrazione dei popoli russo e ucraino al Cuore Immacolato della Madonna. Innanzi tutto, occorre ricordarsi che la guerra non è mai un bene e che nasce dall’aspetto oscuro del cuore dell’uomo, che la tradizione biblica fa risalire al peccato originale.
La guerra con il suo carico di morti e orrori, che accomunano sempre aggressore e aggredito, è estranea alla natura dell’uomo che è fatta per la pace, per la crescita, per l’affermazione dell’altro. Don Giussani ricordava che l’estraneità che si è introdotta, rappresentata dal serpente nel racconto biblico, distorce i desideri dell’uomo che non riescono a rimanere nella giustizia neanche quando nascono come reazione a un’ingiustizia subita. «Non è difficile essere come loro», cantava il cantautore Claudio Chieffo, applicando il medesimo insegnamento agli orrori del nazismo nella sua canzone ‘La nuova Auschwitz’. Per questa debolezza originaria l’ur- lo di pace, quel «Fermatevi!» pronunciato da papa Francesco in piazza S. Pietro, non è un richiamo per anime belle, ma una considerazione realistica sulla condizione umana.
La medesima considerazione sta alla base del richiamo del Papa sull’aumento delle spese militari generato da questa crisi. Francesco osserva che l’accrescersi mondiale degli strumenti di morte non può che favorire il potenziale distruttivo che l’uomo ha sempre dentro di sé per quella ferita originaria. Si lascerà allora trionfare l’ingiustizia, rimanere indifeso il diritto internazionale che pur permette la pace, accettare l’oppressione della libertà dei singoli e dei popoli? No, uno sguardo realistico sa che tutti gli uomini sono accomunati dall’oscura possibilità di male, ma ciò non significa che le scelte politiche siano tutte equivalenti.
La dottrina sociale della Chiesa ha da sempre al suo centro il valore della persona e la libertà, intesa come adesione al bene e ai beni della vita, che sono segni del grande bene del disegno di Dio. Per questo la Chiesa comprende e accetta il diritto all’autodifesa dall’ingiustizia, fino a quando essa non crei un male maggiore di ciò che si trova a contrastare. Pertanto, occorre vigilare affinché la giusta difesa non generi un male maggiore e un equivalente desiderio di annientamento del nemico, persino con armi atomiche.
È un equilibrio di giudizio e di azione a cui siamo tutti chiamati e che, proprio per la fragilità originaria, è molto difficile da sostenere. Qui sta il valore immenso e realistico della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dei popoli russo e ucraino. Esso ricorda che le vittime delle guerre sono spesso degli innocenti e che, come siamo accomunati tutti nel medesimo peccato originale, siamo anche resi tutti fratelli e sorelle dalla redenzione che Dio ha operato incarnandosi in Maria.
A Lei, divenuta madre di tutti sotto la croce, affidiamo la domanda del miracolo della giustizia e della pace, consapevoli che senza l’opera redentrice di Cristo il desiderio dell’uomo tende sempre a diventare violento, sacrificando la libertà o la pace di esseri umani innocenti, e il perdono diventa impossibile. Così, insieme a Maria, potremo diventare «artigiani di fraternità, potremo ritessere i fili di un mondo lacerato da guerre e violenze», come ricordava il Papa nell’Angelus del 1 gennaio 2022.
Ci sono già tante testimonianze di questa misericordia che avanza, come quella della profuga ucraina Kristina che dice che «se sono cristiana, devo scoprire in me questo amore, questo perdono. Perché se odio, io perdo questa guerra ». O quella della poetessa russa Olga Sedakova che vorrebbe «chiedere perdono a quelli che vengono bombardati, cacciati dalle loro case e dai loro luoghi natali, a quanti vengono diffamati e calunniati a morte. Chiedere perdono per quello che è impossibile perdonare». Così, oltre a fare tutto il possibile per un’accoglienza diffusa dei profughi che hanno perduto casa e affetti, ci dedichiamo con speranza a implorare un cambiamento dei cuori di coloro che possono arrivare a negoziare la pace. Del resto, la consacrazione al cuore di Maria, finiva dicendo, con Dante, «tu se’ di speranza fontana vivace».