In un libro di don Andrea Casarano i profili di oltre 700 preti diocesani
Si intitola “Venite, benedetti del Padre mio” il voluminoso volume dato alle stampe da don Andrea Casarano, direttore dell’Archivio storico diocesano “in memoria dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Taranto, che ora contemplano il volto del Signore, dopo averlo servito nella sua Chiesa qui in terra”. Il libro sarà presentato giovedì 21 aprile alle 19,30, nell’auditorium dell’Arcivescovado, nel corso di un incontro che sarà moderato da monsignor Emanuele Ferro direttore dell’Ufficio diocesano per la comunicazioni sociali, con gli interventi di Vittorio De Marco, direttore della Biblioteca arcivescovile e di monsignor Alessandro Greco, vicario generale. Concluderà l’arcivescovo Filippo Santoro.
All’autore, don Andrea Casarano, abbiamo posto alcune domande.
A chi è rivolto questo libro?
Innanzi tutto a noi preti perché, come dico nell’introduzione, l’effetto che ha fatto su di me dovrebbe sortirlo sugli altri. È un senso di gratitudine verso chi ci ha preceduti nel servizio di questa Chiesa. La diocesi, infatti, non nasce con noi ma noi ci poniamo nel solco tracciato da altri e che, a nostra volta, affideremo a quanti, dopo di noi, continueranno il lavoro di servizio alla diocesi a Dio, alla Chiesa e ai fratelli. Ma è rivolto anche ai fedeli perché, conoscendo la vita dei sacerdoti si conosce la vita della nostra comunità.
Come è sviluppato il volume?
Abbraccia un arco temporale di quasi due secoli, a partire dai sacerdoti che hanno ricevuto l’ordinazione nel 1835. Di ogni sacerdote, laddove è stato possibile in modo analitico, si è cercato di scrivere con precisione gli incarichi ricoperti. Di conseguenza, la vita del ministro di Dio è intrecciata con la vita delle comunità che servono, quindi: conoscendo la vita dei sacerdoti si conosce la vita dei paesi, delle parrocchie, per questo la conoscenza è preziosa anche per i laici. Il volume si compone di ben 645 schede, più 3 seminaristi: tre ragazzi morti durante il percorse, e in nota ci sono altri 104 preti ai quali ho accennato appena.
I sociologi affermano che oggi la società vive immersa nel presente e non si occupa più del passato, della sua storia. Per questo c’è una scarsa propensione a ricordare.
Un uomo che non ha passato non ha neanche futuro. Se uno pensa di poter vivere l’oggi sganciato da quello che è stato ieri, non va da nessuna parte. Solo Cristo fa nuove tutte le cose. Noi non possiamo recidere il rapporto col passato dal quale dipende ciò che noi siamo oggi, anche come presbiterio, come Chiesa locale.
È possibile desumere dalla lettura del libro situazioni specifiche, problemi che i sacerdoti si trovavano a vivere nelle loro epoche?
In questi due secoli ci sono state tante trasformazioni, sia nel mondo civile che nella Chiesa, perché la Chiesa è fatta di uomini, sebbene guidata dallo Spirito Santo. Ma una cosa è essere stati preti nel primo Ottocento, prima dell’Unità d’Italia, un’altra durante la Rivoluzione industriale o durante le grandi guerre e altra ancora è essere stati preti nel dopo Concilio. Sicuramente ci sono difficoltà comuni sempre nella vita del prete. L’importanza della vita in comune tra preti, ad esempio, veniva già sentita nell’Ottocento anche se non affrontata, da qui il problema della solitudine. Ma alcuni problemi presenti nell’Ottocento fortunatamente oggi non ci sono più, difficoltà anche di puro e semplice sostentamento, perché nell’Ottocento molto spesso i sacerdoti vivevano al limite della miseria, non essendoci le possibilità di oggi, tra le altre cose non c’era l’insegnamento scolastico… Ma oggi ci sono tante altre difficoltà che un tempo non c’erano.
Ma c’è stato anche un tempo in cui i sacerdoti tramandavano la cultura, la storia o facevano anche politica.
Sì abbiamo tanti esempi. Per quanto riguarda la storia abbiamo il nostro grande storiografo monsignor Blandamura, ma per Martina Franca abbiamo il canonico Grassi, così come per l’impegno politico il grande arciprete di Grottaglie Giuseppe Petraroli, una grande mente, un uomo illuminato forse: l’uomo giusto nel momento sbagliato, anche per vari problemi, che nel volume non sono affrontati… anche perché, come dico nell’introduzione, ho voluto tracciare un solco storicamente preciso su ogni sacerdote. Non potevo essere esauriente su tutti perché altrimenti sarebbe venuta fuori un’enciclopedia. Il mio libro è una sintesi di fonti. Ho raccolto le fonti a nostra disposizione, dati che si trovano in diversi fondi dell’Archivio storico e a corredo di questa sorta di scheda c’è, ove possibile, il necrologio ufficiale. Che manca per i sacerdoti prima del 1885, perché proprio in quell’anno lo si è cominciato a scrivere. Fu una felice intuizione dell’arcivescovo Iorio, anche se il necrologio in sé non è esaustivo. Insomma: questo libro è un solco storicamente certo su cui si possono ricercare le fonti cui attingere per eventuali approfondimenti, sapendo dove trovarle.
C’è una figura che ti ha colpito particolarmente nel ricostruirne il profilo?
Ci sono tante figure a dire la verità. A seconda del periodo o, se vogliamo, dell’episcopato. Ripensando ai tempi dei nostri ultimissimi, in primis direi soprattutto il mio parroco monsignor Antonio Piccinni ma non si può pensare all’episcopato di monsignor Papa senza pensare a monsignor Zappimbulso, ma anche a tanti altri sacerdoti che ho conosciuto direttamente, deceduti durante l’episcopato di monsignor Papa e che hanno collaborato tanto con monsignor Motolese. Pensiamo a don Traversa, don Grottoli, don Liuzzi, don Saverio Greco, sono numerosi… Nel passato non tanto remoto ci sono delle figure bellissime delle quali la gente conserva ancora un grande ricordo nelle loro comunità, i loro nomi sono in benedizione nei loro paesi anche se magari non sono stati conosciuti direttamente; di loro Motolese parlava sempre con grande piacere. Pensiamo agli agli arcipreti Olindo Ruggeri di Martina Franca, Bonaventura Enriquez di Montemesola, Giuseppe Caforio di Crispiano e un quarto nome potremmo indicarlo in monsignor Importuno di San Marzano, storici arcipreti che hanno condotto una vita santa incarnando veramente nei loro paesi la figura del Buon Pastore.