Cosimo Porcelli: “Vorrei essere un prete capace di sedersi accanto a chi ha bisogno”
La vocazione di Cosimo Porcelli è un altro frutto del carisma dell’Istituto Servi della Sofferenza di San Giorgio, guidato da don Pierino Galeone. Venticinquenne, originario della parrocchia tarantina di san Nunzio Sulprizio «io abito proprio lì a due passi, è la mia seconda casa – spiega- e sono molto legato al parroco don Giuseppe Carrieri, che a sua volta segue il carisma e mi ha fatto conoscere questa realtà», anche Cosimo, nel pomeriggio di oggi in Concattedrale, è stato consacrato diacono dall’arcivescovo della diocesi ionica, mons. Filippo Santoro. Sono lontani i tempi del catechismo, quando si annoiava se doveva scrivere e riscrivere passi del Vangelo sul suo quaderno, solo perché l’aiutante catechista ogni tanto non sapeva come tenere a bada bambini vivaci e felici. «Mia zia prestava questo servizio in comunità ed era lei a tenerci che frequentassi. Quando arrivò la Cresima fui felice che fosse finita e per un anno non ne volli sapere. Il mio approccio cambiò radicalmente quando, frequentando le medie, mi proposero di seguire il cammino dei giovanissimi di Azione Cattolica. Ne fui conquistato. Mi si aprì un mondo e poi venne la conoscenza dei Servi, gli incontri giovanili con loro e ancora quelli vocazionali. Così ho incontrato don Pierino Galeone, che è attualmente il mio padre spirituale. Mi piace sottolineare padre perché sento che è davvero questo per me. Con i suoi 95 anni mi comprende, mi vuole un bene dell’anima e non mi ha mai legato a lui ma a Gesù, dandomi la giusta luce e prospettiva ogni volta che sperimentavo la mia fragilità. E insieme ad un padre ho trovato anche una madre spirituale in Giorgina Tocci, che è la prima figlia spirituale dei Servi e mi ha preso per mano dal primo momento». Altra esperienza fondamentale per la formazione di Cosimo sono gli studi al Pontificio Seminario Romano Maggiore. «Vivo a Roma da sette anni, compreso il propedeutico, ed è stata una finestra sul mondo della cristianità. Al Romano – racconta – ci sono tre amori: il primo è l’Eucarestia e poi il Papa e la Madonna. Questi sono stati i riferimenti in questi anni di formazione bellissimi». Anni in cui, nel suo servizio, ha incontrato un’umanità varia, di cui si è innamorato. «Ho svolto il mio servizio nella parrocchia di san Basilio, che si trova in una zona che è centrale nello spaccio di droghe della città. Lì ho incontrato tante ferite, tante storie e ho imparato a servire, che poi è il carisma dei Servi della Sofferenza. Un’esperienza di umanità unica, così come quella in una casa famiglia chiamata Ain Karim, dove sono stata accanto a bambini senza genitori. È stato un anno, l’anno dell’accolitato, quello tradizionalmente dedicato alla carità, in cui io vivevo proprio con loro nel fine settimana, in un appartamento attiguo. Ho prestato servizio anche a Santa Maria delle Grazie, al Trionfale, una zona ricca ma al contempo molto povera spiritualmente, nei valori. Ho visto tante persone che sembravano essersi dimenticate di Dio, pensando solo al superfluo eppure proprio lì ho capito che prete vorrei essere: uno che si sappia sedere accanto, portare Gesù alla gente senza mettermi al centro. La gente è assetata di Dio, non di me, di come mi presento, della mia simpatia o del mio carattere. Non mi interessa rendermi accattivante ma mostrare con l’esempio ai ragazzi la bellezza di Gesù che mi ha conquistato e può conquistare anche loro. Ecco, per me il prete è questo. Ora che sono al sesto anno romano mi hanno assegnato alla parrocchia di santa Lucia, nei pressi di piazzale Clodio. Un’esperienza completamente diversa, perché è una comunità molto anziana. Questi vecchietti però sono splendidi, pronti a donare il loro cuore, i loro racconti di vita. Anche da loro sto imparando tanto». Appassionato della storia e della testimonianza di sant’Ambrogio «il mio idolo, senza di lui non ci sarebbe stato Agostino vescovo. Grande profondità ma un modo semplice di parlare, nel libro ‘I doveri’ tratteggia la figura del ministro e traccia una scia», Cosimo ha da poco terminato il quinquennio filosofico-teologico e attualmente si sta specializzando in ricerca teologica patristica, uno studio approfondito sui padri della cristianità. Oggi in famiglia sono tutti felici della sua scelta ma non è stato sempre così. «Non fu facile comunicarlo. L’ho detto prima a mia madre e poi con lei a papà. Ci fu silenzio per mesi a casa mia. I miei credevano ma non erano partecipi della vita di comunità. Passata l’estate, quando dissi che sarei andato a Roma per proseguire gli studi insieme al mio amico Michele Monteleone (anche lui oggi diacono, intervista a parte, ndr) si tranquillizzarono, sentii che era già cambiato qualcosa. Con il passare degli anni, vedendo la mia convinzione e la felicità per il percorso intrapreso, entrambi hanno compreso, fino ad esserne contenti. Ne sono nati anche percorsi di vita nuovi: per esempio da quando anche mia sorella è fuori, a Bologna, mia madre ha cominciato di sua iniziativa a svolgere volontariato alla Caritas diocesana. Anni fa non lo avrei creduto». Per dirla come una celebre canzone italiana, “Come si cambia, per amore”.