Giorgio D’Isabella: “Il dono dell’amicizia mi ha portato fin qui”
Questa è la storia di due amici nati lo stesso giorno, che hanno scelto Dio nello stesso periodo, spronandosi, entusiasmandosi e dandosi coraggio e forza nella fatica. È la storia di Marco, divenuto frate Marco, e di Giorgio, oggi consacrato diacono in Concattedrale dall’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Santoro, sotto l’occhio fraterno proprio di quell’amico, che quando non aveva tanta voglia lo chiamava per dirgli: “Dai, vediamoci a Messa”. Giorgio D’Isabella ha 26 anni e dopo la scuola e un anno propedeutico a Molfetta, si è trasferito all’Almo Collegio Capranica, per formarsi e divenire sacerdote. Da poco ha finito il primo ciclo di teologia e ora si sta specializzando in filosofia all’Università Sapienza. «Io e Marco siamo nati lo stesso giorno dello stesso anno, il 21 ottobre del 1995. Abbiamo frequentato parrocchie diverse ma è stato lui a sollecitarmi ed invogliarmi a tornare a Messa quando entrambi stranamente ci confessavamo di sentirci attratti da una vita diversa, a servizio di Dio. Nella mia parrocchia, Maria Santissima Addolorata – prosegue Giorgio – ho preso tutti i sacramenti ma dopo la Cresima sono scappato. Il ritorno a Gesù è nato grazie agli amici, vedendo come in loro la fede stava agendo. Mi chiedevo come mai la loro vita fosse cambiata così tanto. E poi c’era il mio amico confidente Marco. Lui aveva una famiglia molto vicina alla comunità, la mia era nel limbo, né fuori, né dentro, una famiglia credente ma non praticante che non mi ha ostacolato ma all’inizio era disorientata, fatta eccezione per mia sorella, del movimento Comunione e Liberazione, che si era mostrata subito dalla mia parte. Marco mi ha tanto incoraggiato quando sentivo questa chiamata. Era un periodo pieno di dubbi, c’è stato anche un fidanzamento ma non era quello il piano di Dio per me, lo sentivo e oggi posso dirlo con certezza». Per Giorgio è stato molto importante anche don Amedeo Basile, parroco della Santissima Addolorata. «Ricordo che sentivo dentro questa chiamata ma non ne parlavo. Una domenica di Quaresima, don Amedeo disse durante l’omelia che quello era il tempo in cui il cristiano doveva maturare nella fede e non rimanere così com’è. Questa frase e la comunione presa quel giorno, mi diedero coraggio. Andai da lui chiedendogli semplicemente come fare a crescere in un cammino del genere. Lui mi chiese a bruciapelo: “ma tu hai mai pensato di farti prete?” Gli risposi di sì e da lì è iniziato il percorso con lui e con una splendida comunità, che in questi anni mi ha davvero custodito e accompagnato lungo il cammino, rendendomi testimonianza dell’affetto materno della Chiesa». Fondamentale per Giorgio la scelta degli studi a Roma nel collegio. «Un’esperienza che mi ha fatto maturare nel confronto schietto con i superiori e con i compagni e mi ha aperto la mente, visto che ci sono alunni da tutto il mondo e di ogni fascia di età e sacerdoti e diaconi con cui confrontarsi. È interessante che il più piccolo, appena arrivato, viva e veda già chi ha finito il percorso: serve a smontare fantasie. Vedi davanti a te quello che sarai, così da conoscere la realtà e capire fino in fondo se è quello che vuoi». Chiediamo a Giorgio che tipo di prete vorrebbe essere di qui a qualche mese. «Non ho un’ideale. Io so di essere Giorgio. Dunque resterò me stesso anche da prete. Un prete che fa il prete come don Pino Pugliesi. Conoscendo meglio la sua figura mi accorgo che lui non fu un prete anti-mafia ma un sacerdote che svolgeva a pieno le sue funzioni ed è questo che lo ha portato ad avere persecuzioni e infine morire. Lui è morto sorridendo al suo carnefice, quale morte più simile a quella di Gesù? Questo mi insegna che nelle difficoltà che vivrò non dovrò in un certo senso mettermi di traverso o andare contro qualcuno. Aiutare, soprattutto i bambini ai margini, facendo il prete. Solo il prete».