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Slow Food scommette su Taranto: in un paio di mesi anche l’etichetta della cozza

02 Mag 2022

di Marina Luzzi

La cozza nera tarantina è Presidio Slow Food, un marchio conosciuto a livello internazionale. Decine di mitilicoltori tarantini hanno aderito al disciplinare che segna un cambio di tendenza: si istituzionalizza la tipicità del nostro prodotto ma a patto che gli allevamenti siano sostenibili, che si utilizzino reti compostabili e non in plastica, che si promuova il lavoro e la legalità. Potrebbe essere il primo passo per superare abusivismo e criticità ma soprattutto è un’operazione che torna a dare alla cozza tarantina l’immagine di un prodotto sano, sicuro e controllato. Un lungo percorso, che segna un altro elemento positivo: il lavoro in squadra. Vi hanno infatti partecipato istituzioni, associazioni di categoria, stakeholder del territorio e, soprattutto, operatori del settore che hanno potuto dare un loro contributo. Nella gestione del “Presidio Slow Food della cozza nera tarantina” sono coinvolti Slow Food Puglia, il Comune di Taranto, l’Istituto di Ricerca sulle Acque CNR – Taranto e il Parco regionale del Mar Piccolo. È un progetto che rientra nella mission di ECO.PA.MAR – “Ecomuseo Palude La Vela e Mar Piccolo” e nelle finalità del “Parco regionale naturale del Mar Piccolo”. Di tutto questo abbiamo parlato con la direttrice di Slow Food Italia, Serena Milano.

Perché la cozza di Taranto?

«Iniziamo con il dire che è un prodotto della cui qualità si conosce, che ha una storia di generazioni. Questo però è un Presidio speciale, che va molto oltre il prodotto. È una scommessa sul futuro di questa città. Insieme ai mitilicoltori, Taranto guarda alla sua risorsa più importante, il mare, e mette insieme rispetto dell’ambiente e rispetto per il lavoro, per la cultura e per il sapere che si tramanda. Una sfida importante che, se si vince qui, in un contesto così complesso, può diventare un esempio, un simbolo per molte altre aree del Paese».

Quanto tempo ci avete messo?

«Tutto è iniziato 4-5 anni fa. È stato un percorso lungo. La prima volta che ci è stato proposto c’è stata un po’ di titubanza, preoccupazione, per via del contesto complesso. Ci domandavamo se potessimo essere tranquilli, sicuri, sulla qualità delle acque. Slow Food Puglia ci ha creduto tanto, sono stati tenaci, cercando di coinvolgere il Cnr, Novamont, azienda che produce le reti biodegradabili per la coltivazione dei mitili, al posto di quelle di plastica tradizionale. Serviva un supporto tecnico e scientifico allargato. Era un progetto di tale complessità che non si poteva fare da soli. C’è stata grande cautela proprio perché sapevamo che era una realtà complessa e bisognava fare bene. Non avevamo alcun dubbio sull’importanza del progetto, anche per la sua valenza sociale ed ambientale».

Cosa garantisce il disciplinare?

«Per prima cosa voglio dire che ero stupita che con questa storia millenaria di allevamento di cozze che avete,  non ci fosse ancora un regolamento. Il disciplinare è molto dettagliato, di una ventina di pagine e non lascia nulla di non detto. Spiega come devono essere allevate le cozze, in quale contesto, con quali caratteristiche. Per redigerlo sono stati coinvolte  associazioni di categoria, cooperative di mitilicoltori e chiunque abbia voluto far parte del processo. Ora le decine di mitilicoltori che hanno aderito al “Presidio Slow Food della cozza nera tarantina”, impegnandosi così ad applicare nelle loro produzioni il disciplinare tecnico, potranno utilizzare sui loro prodotti anche il marchio Slow Food riconosciuto a livello internazionale. Per noi il progetto dei Presìdi va oltre il prodotto, non è una lista di prodotti gourmet, ma un buon pretesto per attuare un progetto che metta al centro un territorio, una comunità, un ecosistema e in questo caso più che mai».

Nel disciplinare in che modo si inserisce il tema della sostenibilità?

«Le procedure del disciplinare tecnico prevedono una maggiore attenzione al rispetto e alla salvaguardia dell’ecosistema marino, interessando anche la produzione dei rifiuti e l’attuazione delle procedure per limitare l’impatto ambientale. Tra queste l’impiego delle reti biodegradabili. L’idea è che a fine stagione vengano raccolte e consegnate ad un impianto di compostaggio, per essere usate per il verde pubblico intorno a Taranto. Peraltro quella delle cozze è una forma di allevamento già molto sostenibile, a basso impatto sull’ambiente. Mettendo insieme tutti questi aspetti, Taranto è diventata per noi un presidio simbolico, significativo a livello politico, tanto che il 13 di maggio, ad un’anteprima di Terra Madre Salone del Gusto di Roma , porteremo questa come buona pratica e abbiamo invitato i mitilicoltori ionici a raccontarsi. Se questo progetto funziona, diventa di grande esempio per altri».

Negli scorsi giorni ha incontrato i mitilicoltori tarantini in Regione, per la presentazione ufficiale. Cosa vi siete detti?

«Io ho parlato con Luciano Carriero, che mi ha detto:”Per noi questo è un riscatto. Abbiamo pagato per anni questo immaginario collettivo negativo della cozza inquinata anche se in realtà ormai lavoriamo in un mar Piccolo dove le acque sono limpide e l’ecosistema è unico al mondo grazie ai citri. Ora abbiamo le acque più controllate d’Italia”. Un altro mi ha detto: “Per noi questo connubio con Slow Food è uno spiraglio di luce, dopo anni di inferno”. Non nascondo che se da una parte c’è orgoglio per questo, dall’altra sentiamo forte la responsabilità. Mi ha stupito vedere lo slancio, aver creato tanta fiducia. Ora  tutto dipenderà dalle persone: se ci credono e si impegnano oppure se vanno a traino ma quest’aspettativa enorme e questa fiducia sono già un risultato. Gli obiettivi sono due: coinvolgere ulteriori mitilicoltori e creare un’etichetta del prodotto, in modo che sia distinguibile da tutto il resto e venga promosso il lavoro fatto».

Quali sono i tempi per la nascita dell’etichetta?

«In un paio di mesi dovremmo farcela. A settembre avremo un evento importante a Torino, che attirerà migliaia di giornalisti da tutto il mondo e immaginiamo di far partecipare i mitilicoltori tarantini con il loro stand, la loro etichetta e che presentino la cozza».

 

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