Il discorso dell’arcivescovo Filippo Santoro per la tradizionale consegna della statua del patrono San Cataldo alle autorità cittadine
Stimate autorità, Capitolo Metropolitano e amati tarantini,
dopo due anni, in cui l’immagine di San Cataldo è rimasta al chiuso della nostra basilica millenaria, finalmente oggi ho la gioia di consegnarla al commissario straordinario del Comune di Taranto, il prefetto Vincenzo Cardellicchio e quindi a ciascuno di voi.
Consegno San Cataldo alla città, con le sue reliquie e i suoi ori, segno di una devozione inveterata e di un amore resistente al tempo e alle prove. Consegno san Cataldo a Taranto perché Taranto si affidi alla sua intercessione. La mia esortazione è quella di vivere la festa nel segno della santità, dirigendo lo sguardo verso questa sacra effige ognuno possa sentirsi parte di una comunità, di una famiglia. I santi sono di tutti. I santi non ci lasciano mai da soli. I santi ci insegnano il bello della vita. I santi ci mostrano la croce del Signore in filigrana alle nostre croci perché possiamo sperare e praticare l’amore di Cristo che tutto vince.
Eccellenza Signor Commissario, nella partecipazione ai Riti della Settimana Santa, mi è parso di scorgere e credo di non sbagliarmi, il suo stupore e la sua ammirazione. La fede dei tarantini, rimane l’attrattore, mi si passi l’espressione, più bello di questa città. Dal racconto che purtroppo da anni si fa del capoluogo ionico, non ci si aspetta una tale bellezza e i forestieri ne rimangono sempre catturati. Anche oggi Lei vedrà qualcosa di meraviglioso, che allarga il cuore. Quando l’imbarcazione Cheradi della Marina Militare, solcherà il canale navigabile in mezzo alle imbarcazioni e alle ali di folla che caratterizzeranno gli affacci al ponte, sono sicuro che anche lei con me gioirà di questo popolo e della sua devozione.
Le avranno già detto che con fare colorito che San Cataldo è amante dei forestieri, quasi a dire che san Cataldo si occupa poco di questa città. La definizione dei tarantini le assicuro è ingenerosa.
San Cataldo è stato accolto dai nostri avi in questa terra, ha voluto qui consumare la sua esistenza, si è lasciato trattenere da una Taranto che aveva bisogno di lui. Egli è il segno dell’accoglienza ospitale di questa antica terra cristiana. Cataldo conosce le ferite di queste sponde, perché tali ferite sono conosciute dal Signore, sono patite dallo stesso Cristo! Per cosa siamo chiamati a festeggiare? Ci sono i motivi della festa? Le nostre processioni significhino sempre il pellegrinaggio, siamo nomadi, uomini e donne di fede che hanno la loro meta in Dio, che conoscono l’insufficienza del mondo e sono certi del bene che viene dal cielo.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci parla di una notte di pesca infruttuosa ma dopo aver ascoltato l’invito di Gesù avviene il miracolo di una pesca abbondante. La grande pesca avviene perche i discepoli hanno obbedito alla parola del Maestro, per questo il primo compito che rinnoviamo nella festa del nostro Patrono è quello della fede, del riconoscimento del Maestro dell’obbedienza a Lui che è nostro Signore, l’unico necessario, colui del quale il nostro cuore ha bisogno per vivere. Facciamo la festa patronale perché cresca la nostra fede nel Signore risorto e nel potere di cambiare la nostra vita.
Allo stesso tempo non vogliamo evadere dal dolore della pandemia, dalla minaccia della guerra e dalla visione di coloro che sono da essa oppressi, e nemmeno ci prendiamo una pausa dalla crisi ambientale e lavorativa di Taranto, né tantomeno cadono dal nostro cuore i poveri e gli esclusi. Facciamo festa perché nel Signore, attraverso la testimonianza di Cataldo riconosciamo in ogni volto il nostro fratello e la nostra sorella. L’invito alla festa non è l’invito all’evasione ma alla speranza certa!
Nello scorso autunno ho voluto riporre le reliquie del patrono in un nuovo reliquiario d’argento: la teca è una nave d’argento sostenuta dai delfini che solcano un mare ormai quieto per la presenza del santo. Vi si notano subito al suo interno la lingua incorrotta e il femore. Ecco quindi che san Cataldo ci chiede una cosa sola, ovvero camminare e annunciare.
Signor Commissario, è mia consuetudine in questo atto che firmano congiuntamente Lei e il Capitolo metropolitano, palesare un patto fra la Chiesa e le autorità cittadine, un patto di amicizia, di collaborazione, di lealtà e di mutuo bisogno per continuare a compiere il bene. Questo gesto che parla di correttezza istituzionale, di rispetto e corresponsabilità, possa istillare in coloro che intendono amministrare questa città il discernimento per una vera e propria vocazione ad amministrare la cosa pubblica.
La parola abusata di “bene comune” torni a riempirsi della sua naturale ricchezza e verità, a cominciare dalla correttezza nella campagna elettorale, perché si abbandonino i toni della delazione, perché la competizione venga fatta su realistici programmi, che i cittadini possano riconoscersi in rappresentanti che abbiano una specchiata condotta di vita, che sul serio servano questa città senza servirsene!
Si diffidi dagli insulti e si pensi ai fatti. Solo partecipando si dimostra il bene per Taranto. Non c’è altra via.
Bisogna far emergere il meglio dell’anima di questa terra, infatti I tarantini hanno dato sempre il meglio di sé nei momenti di necessità, a partire dai tanti volontari impegnati nelle Caritas diocesane che ogni giorno si prendono cura degli ultimi, degli esclusi, lo hanno dimostrato nell’accoglienza ai migranti che fuggono dall’Africa per causa della fame e delle guerre. Sino all’accoglienza dei profughi che vengono dall’Ucraina. Ho voluto che il centro notturno San Cataldo vescovo mettesse a disposizione degli alloggi per le donne e i bambini arrivati a Taranto e tutte le parrocchie sono impegnate nella raccolta di beni di prima necessità: come sempre la città ha risposto con grande partecipazione.
Impariamo dal nostro Patrono l’ardore della fede che riconosce la presenza viva del Signore risorto; impariamo la sua carità con i poveri e gli ammalati e la sua solidarietà con la terra e i lavoratori. In una tela del vestibolo della cattedrale è rappresentato San Cataldo mentre ridona la vita un muratore morto sul lavoro; le morti sul lavoro sono una piaga antica che tutt’ora continua ad affliggerci. L’intercessione del nostro santo aiuti la nostra città in un’opera di profondo rinnovamento in cui al centro ci sia la dignità della persona e la cura della casa comune. Che l’auspicata crescita economica non avvenga a scapito della sostenibilità ambientale.
Con la benedizione del Signore sotto lo sguardo della Vergine Madre le affido Eccellenza San Cataldo, lo custodisca, offerto alla venerazione perché Taranto abbia sempre il coraggio di ripartire in un cammino. Insieme.
Auguri a tutti!