L’educazione non è un fatto privato
A Lecce otto alunni di una scuola media sono esclusi per motivi disciplinari dalla gita di fine anno ed è subito polemica. A rispondere alle critiche è la dirigente dell’istituto in persona che, come riportato dai quotidiani nazionali, non esita a definire i comportamenti dei ragazzi “al limite della delinquenza minorile”. La dirigente, inoltre, chiarisce: “La vivacità di un ragazzino non è mai motivo di punizione, non potrebbe esserlo: siamo docenti, formati per formare ed educare. In questo caso, però, parliamo di alunni completamente allo sbando, per i quali abbiamo più volte richiamato le famiglie: non possono pretendere che sia la scuola a supplire a una educazione che si impara, principalmente, fra le mura di casa”.
L’episodio offre diversi spunti di riflessione.
Non è la prima volta che una scuola decide di estromettere degli alunni dalle visite didattiche a causa dei loro comportamenti inopportuni e persino pericolosi. Certamente si tratta di una misura spiacevole, ma in genere la scelta segue una serie di azioni e mediazioni precedenti che non hanno avuto riscontro.
Il percorso educativo degli studenti non può che essere frutto di assidua cooperazione e proficuo dialogo fra docenti e famiglia. La scuola, come ha giustamente sottolineato il capo dell’istituto leccese, non può colmare da sola le negligenze e le assenze di alcuni genitori. Occorre ricordare che anche la giurisprudenza quando dirime gravi episodi disciplinari all’interno di un’aula scolastica, chiama in causa la cosiddetta culpa in educando, ovvero la responsabilità genitoriale.
Purtroppo, quando la condotta di taluni ragazzi manifesta forti criticità, può accadere che la famiglia in primis non accetti i richiami della scuola, diserti i colloqui programmati con i docenti e si mostri riluttante a prendere in considerazione i suggerimenti proposti. Ovviamente non sempre, poi, le anomalie comportamentali dei ragazzi sono riconducibili a errori educativi. In alcuni casi possono evidenziare veri e propri disturbi della condotta che però hanno bisogno di essere diagnosticati e trattati assieme a degli specialisti. Anche in queste circostanze, quindi, occorre che le famiglie si facciano carico del problema e collaborino con la scuola per trovare delle opportune e comuni strategie educative.
Riflessione specifica, inoltre, va fatta sulla difficoltà di gestione di alcuni gruppi classe, dove magari sono presenti diversi elementi particolarmente problematici. In questo caso la scuola può e deve mettere in campo dei progetti calati sulle dinamiche relazionali del gruppo, avvalendosi anche dell’intervento degli specialisti dello sportello psicologico o di enti collegati al territorio. Le azioni, comunque, devono essere condivise sempre con le famiglie che hanno la responsabilità di sostenerle e rinforzarle.
Insomma, ancora una volta emerge chiaramente che l’educazione non può e non deve essere un fatto privato e che si realizza pienamente solo all’interno di una solida concertazione che coinvolge scuola, famiglia e possibilmente anche il territorio e gli enti locali. Quando tali condizioni vengono a mancare a rimetterci chiaramente sono i ragazzi che, oltre a non maturare e crescere in maniera sana, si trovano schiacciati dall’extrema ratio delle misure punitive.
Ci rendiamo conto delle criticità dei nostri giovani soltanto quando la cronaca le porta alla ribalta o quando, come in questo caso, la scuola si trova costretta a prendere decisioni impopolari.
Di fatto la sensibilità e la partecipazione delle famiglie e del territorio ad attività preventive rispetto alla devianza dei comportamenti giovanili non sono adeguate. Gli insegnanti, dal canto loro, sono sempre più in difficoltà nel confronto con i genitori dei loro studenti e tendono a demotivarsi, molti fra di essi sono a rischio burn out.
Se la scuola non trova altra strada che quella della punizione, perché inascoltata negli appelli precedenti, che speranze abbiamo per le generazioni che dovrebbero essere protagoniste del nostro futuro?