Editoriale

Ucraina: i dilemmi e gli scenari

23 Mag 2022

di Emanuele Carrieri

Il conflitto in Ucraina è in una situazione di stallo, in una condizione di sospensione. Spiegando in parole povere, ci sono, alla prova dei fatti, due sole possibilità. Una è che la Federazione Russa, condotta da Sua Altezza – veniva chiamato così anche Vittorio Emanuele III – Vladimir Putin, messa all’angolo la sicumera della fase iniziale della operazione militare speciale, o meglio, dell’aggressione, continui ad avanzare, senza, comunque, consolidare un evidente successo nella parte orientale del territorio ucraino. È pressoché sicuro che, in tale caso, la Russia, per interrompere i combattimenti, chiederebbe – si fa per dire – la accettazione dell’autonomia del Donbass – sebbene, fino a ora, mai completamente conquistato –, la approvazione della annessione della penisola della Crimea e un collegamento terrestre fra le due regioni. Soluzione, questa, ritenuta di sicuro inaccettabile sia dall’Ucraina sia dagli Stati Uniti, che si apprestano ad approvare nuovi aiuti militari all’Ucraina per quaranta miliardi di dollari. Se la conclusione fosse questa, è molto probabile un proseguimento del conflitto strisciante, in perfetto stile russo. In questo caso, la Russia conseguirebbe i propri obiettivi minimi della guerra – conquista del Donbass, ma non la cacciata o la cattura di Zelenskyi – e ciò apre un quesito cruciale, non solo per gli Stati Uniti, ma per la Nato, l’Europa e l’Ue. Adesso, quale sarà il prossimo obiettivo per la Russia? L’altra possibilità è che non solo l’Ucraina non esca sconfitta dalla guerra, ma che addirittura – per l’appunto, con il sostegno statunitense – si riprenda buona parte dei territori finora conquistati dalla Russia. In questo caso la Russia ne uscirebbe, in realtà, sconfitta, e quale sarà la reazione di Putin? A tal proposito vi sono diversi segnali “fiacchi” da tenere in considerazione. Il primo è il discorso del 9 maggio di Putin, breve, commemorativo, moderato, senza alcuna indicazione per il futuro. Il secondo è che Putin, di fronte alla assegnazione di quaranta miliardi di aiuti militari per l’Ucraina e di altrettanto per l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, non ha espresso reazioni minacciose. Un terzo segnale è che il linguaggio della TV di stato russa è molto più aggressivo e minaccioso rispetto a quello delle autorità ufficiali. Un eccesso di zelo dei giornalisti per la vittoria non ratificato dal governo. Prolungare il conflitto senza drammatizzare oltre misura, mantenendo la pressione sull’Ucraina senza gonfiare, potrebbe essere parte della strategia di Putin in attesa che Donald Trump, contrario all’impegno americano in Ucraina, sia riesumato e subentri a Biden. Ma in questa prospettiva favorevole per l’Ucraina e gli Stati Uniti di cacciata dei russi dai confini ucraini, c’è il pericolo che Putin, con il suo governo, interpreti questa sconfitta come una minaccia per il proprio regime, con conseguenziale rischio di una escalation nucleare, già minacciata nel caso di un intervento diretto della Nato nella guerra. In questo caso il confronto fra Russia e Stati Uniti potrebbe essere il più rischioso dai tempi della crisi dei missili di Cuba dell’ottobre del 1962. Comunque vada a finire – l’auspicio è quello di un ragionevole accordo – due problemi di lungo termine restano ben aperti. Il primo riguarda la Nato. Solamente pochi mesi fa si immaginava che la Nato sarebbe diventata superflua, perché il cuore della geopolitica mondiale sta evolvendo verso una direzione lontana dal continente europeo. L’Europa avrebbe dovuto situarsi, senza abbandonare le proprie radici occidentali, in una posizione di mediazione fra America e Repubblica Popolare Cinese, mobilitando una alleanza internazionale di respiro mondiale, ispirata ai principi degli Accordi di Helsinki del 1975. Oggi questa prospettiva pacifista per la Nato non esiste più di fronte all’aggressività russa. Il secondo riguarda la Russia e il suo leader Putin. Si immaginava che l’Ucraina si sarebbe dissolta nel giro di pochi giorni ma gli avvenimenti sono andati poi diversamente. La Russia è bloccata nella sua invasione, è isolata a livello internazionale, perfino nello sport. La Russia non ha afferrato l’esperienza delle potenze forti che hanno invaso paesi più deboli, e che, alla fine, perdono. Non solo gli Stati Uniti – in Vietnam, Afghanistan, Iraq – ma anche la Cina, che nel 1979 aveva attaccato il Vietnam. Chi difende la propria casa è molto più motivato di chi la attacca, che tuttavia vuole, ancor prima di vincere, salvare sé stesso. Oggi le nuove tecnologie favoriscono chi si difende, e impone forti perdite a chi attacca. In Iraq e in Afghanistan, in venti anni, gli Stati Uniti hanno perduto quindici mila soldati. La Russia ne ha perduto almeno trenta mila in dieci settimane. Come ha scritto nel saggio “Le origini della seconda guerra mondiale”, il giornalista, scrittore, anchorman, nonché docente di storia a Oxford Alan John P. Taylor: “Sebbene lo scopo dell’essere una Grande Potenza sia quello di essere in grado di combattere una Grande Guerra, l’unico modo per rimanere una Grande Potenza è non combatterne una.”

 

(Foto Ansa/Sir)

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