Quarant’anni da prete. Don Carmine Agresta: “Sono volati, Dio mi ha reso tanto felice”
Quarant’anni e non sentirli. Don Carmine Agresta, parroco della Sant’Antonio e assistente diocesano dell’Azione Cattolica, ha festeggiato il quarantesimo anniversario di sacerdozio domenica scorsa. “Il primo pensiero è stato: ma son già passati? Perché sono volati, non me ne sono accorto e da un certo punto di vista questo è anche segno che è stata una bella avventura, un bel percorso. Vuol dire che sono passati bene, in serenità. E poi, se c’è una cosa che è emersa con chiarezza, per me è stata la misericordia di Dio, intesa come il desiderio di Dio di farmi felice. Questo è quello che ho percepito. Dio ha fatto di tutto per farmi felice e mi ha dato molto di più di quello che potevo immaginare. Mi ha custodito, mi ha protetto, mi ha riempito di doni, mi ha perdonato e anzi se c’è una cosa di cui io mi devo accusare pubblicamente, è che di questa misericordia ne ho pure approfittato. Insomma in questi 40 anni ho sentito quanto Dio sia stato buono con me”. Don Carmine è nella parrocchia del borgo umbertino dall’ottobre del 1996. Dopo aver “governato” sant’Antonio insieme a don Franco Mazza, il primo febbraio del 1998 è diventato parroco. Nella sua storia, il primo anno di sacerdozio è trascorso alla santa Famiglia di Martina Franca e poi dieci anni a Crispiano, da parroco. Il lungo periodo come riferimento pastorale nel centro cittadino gli ha permesso di cogliere come sono cambiate le cose. “Quello che Papa Francesco dice sul cambiamento di un’epoca – racconta – io l’ho sentito sulla pelle e l’ho visto nel vissuto della gente. Questo è un quartiere vecchio, fatto di poveri e di vecchi, insomma rappresenta le due grandi emergenze del nostro tempo: non si fanno figli, da un lato, dall’altro povertà crescente e diffusa, alla ricerca di un costante sostegno e solitudine. L’invito al cammino sinodale, intuizione di Papa Francesco, è veramente il tentativo di riappropriarsi di un nuovo e al contempo antico modo di essere Chiesa in questo tempo: una Chiesa comunione, che ha riscoperto la propria vocazione e soprattutto la spinta missionaria. I tempi che ci vorranno non li so ma l’intuizione è straordinaria e si incarna nel mio contesto concreto. Io non so se realmente ci sia riuscito ma stare tra la gente, percepirne le necessità, è stato il mio modo di esercitare questo ministero. La gente sente che almeno in parrocchia può trovare disponibilità di sacerdoti e un piccolo aiuto”. I ricordi si alternano ai bilanci. “Del giorno dell’ordinazione ricordo con grande affetto la mia parrocchia, la Madonna delle Grazie di Taranto e il parroco di allora, don Franco Lucaselli, un bel prete. Ricordo il fermento di quei giorni, con la comunità che diventò co-protagonista dell’evento. Un’ordinazione presbiteriale non riguarda solo il singolo ma la Chiesa intera. Io sono stato un normalissimo chierichetto che intorno ai dieci anni e mezzo disse ai suoi genitori di voler andare in seminario e venne preso sul serio. Sono entrato in seminario in prima media. Ho concluso il percorso 14 anni dopo. Da ragazzo ero vicino agli scout, poi invece nel mio ministero ho scoperto l’Azione Cattolica, di cui oggi sono assistente diocesano. Ho avuto tanto affetto dalle comunità in cui sono stato, a partire dalla comunità di origine per arrivare a quella di oggi. Avevo detto loro che non volevo festeggiare. D’altronde quarant’anni non sono diversi dai 35 ma mi sono ritrovato protagonista di una serie di attenzioni che mi hanno commosso, segno di quell’affetto che sento immeritato. Per esempio i bambini domenica mi hanno accolto con le bandierine e mi hanno consegnato una scatola piena di bigliettini con i loro auguri e pensieri. Quando sei preda della routine, finisce che ti lamenti delle cose che non vanno e poi invece ti accorgi che ci sono tante cose belle. Questa comunità in particolare ha la ricchezza di una tradizione di sacerdoti che si sono spesi, hanno educato il popolo in maniera straordinaria e costruito la comunità”. Il riferimento è a tre grandi figure in particolare. “Don Angelo D’Ettorre, qui abbiamo uno zoccolo duro di anziani che sono frutto di quello che seminò, don Franco Semeraro e poi don Franco Mazza, che è stato qui per un periodo breve ma ha lasciato una traccia profondissima. Io – prosegue don Carmine – ho avuto da questa parrocchia una testimonianza di vita evangelica vissuta. Ho imparato tanto dalla comunità, sicuramente. Da certe testimonianze, da certe figure che sono state espressione di un Vangelo radicato nella carne. Un’altra cosa che mi ha dato la parrocchia di sant’Antonio è una comunità presbiteriale bella, che mi ha sostenuto, aiutato, incoraggiato, tante volte”. Insieme a don Carmine, da anni sono alla sant’Antonio don Armando Imparato e don Antonio Panico. L’intervista si chiude con un auspicio per il futuro. “Mi piacerebbe continuare a lavorare nel silenzio e in tranquillità, senza grossi clamori, vincendo la mia pigrizia atavica e nella speranza di trovarmi un giorno faccia a faccia con Colui che ho cercato di servire in questi anni”.