Il fallimento dei referendum sulla giustizia chiama la politica alle sue responsabilità
Com’era largamente previsto persino dai suoi promotori, che infatti non hanno sviluppato uno straccio di campagna elettorale, il referendum è stato un disastro. Solo l’election day, cioè la coincidenza del referendum con le amministrative, stabilito grazie al fatto che all’interno del governo sono presenti anche le maggiori forze promotrici, cioè Lega, Forza Italia, Italia Viva, Radicali e parte del PD, ha consentito che il numero di votanti raggiungesse il 20%, altrimenti difficilmente avrebbe superato il 10%. Astrusità dei quesiti, contraddittorietà degli stessi, scarso interesse in un Paese provato da anni di crisi eteroindotte, cioè decise da altri e curate con provvedimenti sbagliati, incombenza di una riforma della giustizia che comunque avrebbe riformato il risultato dei voto, sono i principali, ma non unici, motivi dell’ennesimo fallimento di un referendum abrogativo che mai, come questa volta, era palesemente pretestuoso, ma che è costato comunque, alle casse dello Stato, circa mezzo miliardo di euro, che poteva essere molto meglio speso.
Noi abbiamo cercato, nella scorsa settimana, di presentare le ragioni pro e contro i quesiti, in modo equilibrato ed equidistante, ma ora non possiamo esimerci dal segnalare delle incongruenze interne e ampiamente politiche, a cominciare dall’assoluta impopolarità della richiesta di abolizione della legge Severino. È evidente che i cittadini, di fronte a una corruzione dilagante e al continuo pericolo di infiltrazioni mafiose (più che un pericolo è una realtà) sarebbero addirittura favorevoli a un inasprimento della legge o non certo all’abolizione, che farebbe solo comodo a quella parte della politica che persegue la totale impunità. E infatti, sul questo referendum la Puglia si è schierata comunque per il “no”.
Che dire poi della richiesta di abolizione della carcerazione preventiva avanzata dagli stessi partiti politici che sostengono la liceità assoluta dell’assassinio per legittima difesa? Come dire che i ladri si possono ammazzare anche se girano attorno alla casa, ma che non si possono tenere in galera in attesa del processo, anche se sono stati colti sul fatto! Non vi sembra leggermente assurdo? In realtà lo è, ma siccome chi presentava il referendum pensava alla libertà dei politici arrestati ma, per forza di cose, ha dovuto associarli a ladri e truffatori, ecco spiegata anche questa contraddizione.
Sempre assurda e contraddittoria la giustificazione data alla richiesta di rimessa in libertà di chi delinque: si sostiene, infatti, che siccome molti arrestati vengono assolti perché i giudici sono in disaccordo con i pm gli arrestati vanno liberati, ma con un altro quesito si lamentava invece esattamente l’opposto: che pm e giudici sono così d’accordo che va introdotta la suddivisione delle carriere tra giudicanti e inquirenti. Altra chiara contraddizione.
Non parliamo poi dei collegi giudicanti sugli atti e comportamenti dei giudici, cosa che la quasi totalità degli elettori non ha nemmeno capito. Con un quesito contorto e criptico si tendeva a far sì che tali collegi non fossero limitati ai giudici, per essere allargati anche ad altri, compresi agli avvocati. Cosa che contraddice quanto avviene per tutte le altre categorie, compresi gli stessi avvocati, il cui ordine è l’unico abilitato a sindacare il comportamento degli iscritti.
Ma una delle tante cause del basso numero di votanti è anche la scarsissima convenienza dei fuori sede, soprattutto giovani studenti, ma anche molti lavoratori, e rientrare appositamente e ripartire frettolosamente, solo per questo voto. Insomma: sarebbe il caso che la politica facesse il proprio dovere, evitando di chiamare a consultazione per referendum inutili elettori già disaffezionati, anche perché già assillati dall’interminabile campagna elettorale che investe il Paese.
Ora il governo e il ministro della giustizia dovranno tener conto anche dell’esito del referendum