Ex Ilva: Melucci contesta Giorgetti. Ne parliamo con gli ambientalisti Contrario e Carbotti
La vicenda ex Ilva somiglia sempre più a un’interminabile partita a scacchi. Decisiva per le sorti di Taranto ma giocata senza regole o con tattiche improvvisate ad ogni mossa. Così, da un lato il ministro dell’Industria Giorgetti sostiene, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, che la produzione d’acciaio deve aumentare e che l’Ilva deve passare immediatamente a produrre 5,7 milioni di tonnellate, dall’altro l’incontro svoltosi ieri al Mise, tra sindacati, azienda e ministero, non chiarisce affatto come si debba arrivare a questo risultato. Posto che, lo hanno rimarcato i sindacati e ribadito al termine dell’incontro, al di là del rinvio di due anni della ridefinizione della proprietà delle Acciaierie d’Italia, che sarà a maggioranza pubblica, nulla si sta facendo né sul fronte industriale, con le strutture produttive in progressivo degrado, né su quello ambientale, con processi di decarbonizzazione più volte proclamati ma tutti da definire, né ancora meno sul piano occupazionale, con una crescita della cassa integrazione che è la netta contraddizione di ciò che sostiene Giorgetti, e con il mancato pagamento delle aziende dell’appalto, i cui dipendenti sono di fatto “finanziatori” dell’impresa, non venendo pagati da molti mesi.
A Giorgetti risponde subito il sindaco Rinaldo Melucci, secondo il quale almeno tre cose, in quelle dichiarazioni, preoccupano molto il Comune. Innanzitutto, si chiede di spingere la produzione all’interno di un quadro di norme che, a più riprese, si sono ritenute insufficienti anche da parte degli organismi scientifici a garantire la salute di lavoratori e residenti. In secondo luogo viene evidenziata la necessità di aumentare la produzione, senza mai fornire un vero piano industriale di prospettiva e le risorse necessarie. “Ma in ultimo – aggiunge Melucci – Giorgetti utilizza in maniera errata l’argomento del Regolamento Ue della Transizione giusta, che stanzia più di 800 milioni per Taranto, ma non per l’ex Ilva. Ancora una volta si chiede al ministro di chiarire la posizione del Governo e di convocare le parti per una discussione di lungo respiro”.
Fin qui il botta e risposta ufficiale tra le istituzioni, ma qual è lo stato d’animo della città, e soprattutto di coloro che da tempo si battono sul fronte ambientalistico? Ne abbiamo parlato con due noti esponenti, Luca Contrario, rappresentante di “Una strada diversa” che, candidatosi con Taranto Crea nelle recenti amministrative, è risultato primo dei non eletti e, quindi, seriamente candidato a subentrare in Consiglio, e con Nino Carbotti, da sempre schierato con i verdi e che ha sostenuto la lista di Europa verde alle comunali.
Come valuta le dichiarazioni Giorgetti, lo chiediamo a Contrario.
Le dichiarazioni di Giorgetti le ho trovate ai limiti dell’imbarazzante, per due ordini di ragioni. La prima è che si parla addirittura di aumento quando allo stato attuale il sistema Ilva cade a pezzi, continua a produrre disastro ambientale e disastro sanitario e si muove all’interno di un’autorizzazione Aia che, nonostante i recenti ripensamenti, non si ritiene possa tutelare la salute. In questo quadro, pensare addirittura di aumentare la produzione sembra realmente uno schiaffo ulteriore alla comunità. La seconda è che si rilasciano dichiarazioni pubbliche con tanta leggerezza senza ancora far riferimento a un piano industriale che sia tale. Alla data di oggi nessuno sa come il governo voglia assicurare la produzione in un quadro di garanzie per l’ambiente e la salute.
Come pensate si debba reagire?
A oggi ritengo sufficiente la presa di posizione del sindaco, in prospettiva di un insediamento del Consiglio comunale che richiede ancora qualche settimana. Ma è fin troppo evidente che la dichiarazione del ministro appare velleitaria, persino imbarazzante, comunque inaccettabile.
A Nino Carbotti chiediamo una valutazione generale della situazione.
I fatti dicono che c’è la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che è abbastanza severa e invita lo Stato a prendere dei provvedimenti in merito a ciò che accade a Taranto; poi c’è una pronuncia dell’Organizzazione mondiale della sanità che è sullo stesso piano. Non va dimenticato che sia la procura che la Corte d’appello hanno rigettato la richiesta di dissequestro degli impianti esprimendosi su basi scientifiche; senza poi contare che è ancora in vita un’ordinanza del 2012 ancora pendente, nonostante le ripetute proroghe concesse per l’adeguamento alle disposizioni Aia, che vengono rinviate di anno in anno. Tutto ciò prefigura una situazione insostenibile. Il fatto di voler portare la produzione a 5,5 milioni di tonnellate, o magari a 8, è una follia perché quella fabbrica cade a pezzi. A parte l’inquinamento, si sfiora quotidianamente la tragedia.
Cosa fare?
La prima cosa da fare è rispettare l’ordinanza del giudice Todisco del 2012 e chiudere tutte le fonti inquinanti, poi il resto di vedrà. Ma non è concepibile che trascorrano altri dieci anni mentre si continua a inquinare e si commettono dei reati. Basta: si è consapevoli che vengono commessi reati? Allora bisogna fermarli. Poi possiamo parlare di eventuali progetti futuri ma il nostro obiettivo è sempre quello: chiusura delle fonti inquinanti, riqualificazione degli operai e dei quadri dirigenti in sinergia con l’Università: fare di Taranto, come già affermato dieci anni fa, un’area pilota per le bonifiche.
Il fatto che l’acciaio sia importante?
I dati rilevati da Siderweb ci dicono che l’Italia produce 24 milioni di tonnellate di acciaio, di cui 20 vengono prodotti in tutto il Paese con i forni elettrici. Perciç: dire che chiudere l’Ilva significa non produrre più acciaio è una favola.