L’eredità negativa di Boris Johnson
Mancavano solo i cartoni con gli oggetti personali per essere come il crack della Lehman Brothers. Dopo giorni in cui la processione di dimissioni di oltre cinquanta fra ministri e sottosegretari svuotava i palazzi, Johnson era asserragliato a Downing Street, escludendo di dimettersi di fronte a mezzo governo che lo invitava. Si distingueva il nuovo cancelliere dello scacchiere Nadhim Zahawi che esigeva le dimissioni di chi lo aveva assunto trentasei ore prima. L’implosione del governo era iniziata con le dimissioni del ministro della salute, seguite da quelle del cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak che hanno fatto precipitare la situazione avviando la fuga di deputati conservatori, un tempo leali a Johnson. Subentrati, ma mai fidarsi dei subentri. “Quando il gregge si muove, si muove” ha detto nel discorso che ha posto fine all’assedio continuato fino alle prime ore di giovedì, quando trapelavano le intenzioni di una exit, annunciata a ora di pranzo. Un discorso sconcertante per l’assenza di umiltà e vergogna, in cui Johnson non è nemmeno riuscito a pronunciare la parola dimissioni né a illustrare al popolo solo una delle ragioni che hanno spinto oltre metà dei suoi colleghi a chiederne la rimozione. Neanche una parola di angoscia per l’ultimo scandalo di una lunga serie, quello di avere fatto capogruppo un deputato palpeggiatore, sul cui conto aveva scherzato in dichiarazioni di due anni fa, emerse di recente. Nemmeno per avere imposto ai suoi lacchè di mentire e dire che non sapeva nulla delle sue condotte strane. Neppure per le vicende che hanno corroso la fiducia nei suoi confronti negli ultimi anni. Resterà per sempre il premier che ha violato la legge per vari party durante un lockdown da lui stesso ordinato, colpevole di una politica anti covid folle, così folle da avere causato migliaia di morti, e di politiche illegali e razziste come deportare i richiedenti asilo in Ruanda o la legge che viola il protocollo sull’Irlanda del Nord, da lui stipulato e siglato. Il tutto dopo aver difeso il bullismo di ministri e la corruzione di parlamentari e aver promosso delle impunità sulle regole che si applicano sempre e solo agli altri. Sembra passata una eternità da quando tutelava le violazioni del lockdown di un suo consigliere, per poi cacciarlo quando è stato trovato in viaggio e da malato di covid. È l’uomo che ora chiede ai deputati conservatori di defenestrarlo e senza attendere il successore, che il Tory Party non potrebbe eleggere prima di fine settembre. Enorme è il rischio che Johnson usi questi mesi da premier per condizionare la scelta del successore o per tentare una inversione di prospettiva che lo riporti in auge. Cosa resta dell’uomo e del progetto che nel 2019 batterono il Labour Party di Jeremy Corbyn con lo slogan “get Brexit done”? Mentre continuano le negoziazioni con l’Ue sui nodi mai risolti, non c’è traccia di un dibattito pubblico su come stia andando la Brexit, ormai accettata anche dal Labour Party. Non si parla di politica in questa crisi al buio che nasce dal “problema lassù in cima”, come lo ha presentato un ministro dimissionario. Non si capisce cosa voglia fare Johnson. Aspettare tempi migliori per rilanciarsi? Rimanere in carica per poter organizzare il party del matrimonio nella residenza di campagna del premier, in un nuovo abuso di potere che ricorda la censura per avere avuto fondi del partito per ristrutturarsi la casa a Downing Street? Come ha chiarito il premier scozzese, Johnson è sempre stato incapace di governare, per evidenti difetti caratteriali, un rapporto inadeguato con la verità e l’assenza di standard minimi di moralità. Ha potuto farlo solo perché sono sempre più intrinseci alla costituzione materiale del modello Westminster, dove da Blair in poi sono cresciuti i poteri del premier e diminuite le prerogative del Parlamento, al punto che per rimuovere il primo è occorso il sì quasi unanime del secondo e fino all’ultimo un Johnson trumpiano ha ventilato la possibilità di sciogliere il Parlamento che ne voleva le dimissioni. Le ultime mosse di Johnson ci dicono di lui tutto quello che serve sapere della sua concezione del potere e del suo rapporto con la democrazia. Ha ammesso di un incontro con l’oligarca russo Alexander Lebedev prima di nominare il figlio alla Camera dei Lord, una notizia che varrebbe un nuovo scandalo. Ha respinto ancora la richiesta di un referendum sull’indipendenza scozzese, una notizia in cui lo scandalo è che non faccia scandalo. Sullo sfondo rimane la Brexit, la madre di tutte le bugie e la ragione di fondo della infelice parabola di un leader senza umiltà, senza vergogna, senza ideali.