Emergenze sociali

Università Cattolica: “Dalla ricerca risposte
per combattere la siccità in agricoltura”

Il web magazine “Secondo Tempo” con il contributo di docenti della Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali del campus di Piacenza dell’Ateneo del Sacro Cuore ha analizzato l’impatto dell’insufficienza idrica nei vari ambiti della filiera

foto Ansa/Sir
26 Lug 2022

di Gigliola Alfaro

Fiumi in secca, campi allo stremo, agricoltura sempre più in difficoltà. La siccità che sta colpendo l’Italia nel 2022 sta mettendo a dura prova le imprese agricole italiane. Le piogge si sono dimezzate con un impatto devastante sulle produzioni nazionali favorito dal caldo record. Nelle nove Regioni che hanno dichiarato lo stato di emergenza (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Lazio, Umbria, Liguria e Toscana) 332mila imprese agricole rischiano di chiudere i battenti mentre i danni hanno già superato i 3 miliardi di euro. “Secondo Tempo”, web magazine dell’Università Cattolica, con il contributo di docenti della Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali del campus di Piacenza dell’Ateneo del Sacro Cuore ha analizzato, nel reportage “L’estate senza pioggia”, l’impatto dell’insufficienza idrica nei vari ambiti della filiera e come si sta muovendo la ricerca scientifica per dare risposte alle criticità prodotte dalla grave insufficienza.

“Il compito che ci aspetta nei prossimi anni – spiega Marco Trevisan, preside della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica – è quello di elaborare misure di sostenibilità, per tutelare l’acqua nella sua totalità tramite una programmazione condivisa delle misure di prevenzione e salvaguardia, visti i tempi necessari per la formazione e il ricambio naturale delle acque. Infatti, l’acqua è una risorsa rinnovabile, ma limitata e non omogeneamente distribuita, inoltre solo il 2,5% dell’acqua complessivamente presente sul pianeta è acqua dolce e utile per la vita”. “Il cambiamento climatico in atto – prosegue Trevisan – crea alcune situazioni, che, se non verranno adeguatamente contraste, potranno creare pesanti ripercussioni sulla nostra vita e sulle attività agricole in particolare. L’aumento delle temperature, il cambiamento nella distribuzione delle piogge accompagnati alla cementificazione e al mancato ripristino della sostanza organica dei suoli stanno lentamente portando alla desertificazione di ampie aree, un tempo fertili e coltivate”.

L’agricoltura già nell’ultimo decennio è stata chiamata a produrre di più per soddisfare la crescente richiesta mondiale e in modo sostenibile. Una sfida che si è complicata per il cambiamento climatico. “Per vincerla – ricorda Luigi Lucini, docente di Chimica agraria – occorre cercare soluzioni nuove. Un ambito di ricerca su cui l’Università Cattolica sta lavorando negli ultimi anni è quello relativo ai biostimolanti: molecole o microrganismi, non sono né fertilizzanti né pesticidi quindi parliamo di prodotti naturali, che vengono utilizzati in agricoltura”.“Nei nostri laboratori – spiega Edoardo Puglisi, docente di Microbiologia agraria – abbiamo imparato a isolare microrganismi dalla rizosfera e poi abbiamo diverse tecniche che ci aiutano a selezionare i migliori microorganismi con caratteristiche, ad esempio, di resistenza allo stress idrico e di reperimento di nutrienti”.

Un ruolo sempre più rilevante lo avranno le nuove tecnologie. “Oggi, con l’agricoltura di precisione, attraverso sensori, droni, modelli di calcolo, possiamo leggere i diversi tipi di suolo, caricarli su delle mappe predittive e con l’impiego di macchine avanzate come ranger e pivot possiamo fornire l’apporto idrico esatto per ogni zona del terreno”,precisa Stefano Amaducci, docente di Cereal grains, processing and technology, che aggiunge: “L’agricoltura del futuro sarà sempre più legata alla disponibilità di fattori produttivi connessi e intelligenti che, con il supporto di piattaforme informatiche e big data, ci permetterà di avere una quantità di dati tali che le scelte fondamentali saranno prese dalle macchine e non più dall’agricoltore”.

“L’agricoltura viene tacciata di essere uno dei settori che spreca più di tutti – sottolinea Vincenzo Tabaglio, docente di Agricoltura di precisione – perché il 60% o il 70% dell’acqua è prelevata a scopo agricolo. Quando diciamo che l’irrigazione per scorrimento ha una bassa efficienza nell’uso dell’acqua vuol dire che la commisuriamo al sistema agrario in sé. Poniamo che l’efficienza di questo sistema sia del 40%. Questo significa che meno della metà del volume di acqua viene utilizzato per la coltura. Il restante 60% non viene perso ma restituito al territorio: può essere riutilizzata dagli appezzamenti a valle oppure rifornire le falde, oppure tornare nei fiumi”. Ci sono anche metodi più efficienti: “Uno dei più conservativi lo usiamo anche nella azienda agricola sperimentale della Facoltà. Sono i sistemi di subirrigazione ad ala interrata in modo permanente: con questo sistema l’efficienza può arrivare fino al 95% ma non restituisce nulla al territorio”.

(Foto: “Secondo Tempo”)

“L’approccio genetico – spiega Adriano Marocco, docente di Genetica agraria – può contribuire a migliorare la resistenza alla siccità se affiancato a tecniche agronomiche conservative e all’irrigazione. Oggi l’obiettivo è di utilizzare l’editing del genoma, che consente di modificare geni già presenti nei genomi per regolarne l’efficacia”. Continua: “Come genetisti dobbiamo sfruttare tutte le informazioni a disposizione per produrre piante che abbiano una maggiore efficienza nell’uso dell’acqua, che siano più tolleranti al secco, e che siano capaci di produrre in condizioni in cui l’acqua è meno abbondante. In sintesi: produrre di più con minori risorse disponibili. Questa è la sfida del futuro”.

foto: “Secondo Tempo”

Per Stefano Poni, docente di viticoltura, “gli stress idrici ricorrenti rappresentano un esempio molto tipico di quello che significa cambiamento climatico. Una problematica che rischia di avere un impatto negativo sulla produzione e sulla qualità dei prodotti e quindi può inficiare un concetto molto forte come quello del Made in Italy sul quale il nostro Paese punta in chiave merceologica in modo molto netto”. L’olivo rappresenta per estensione la coltura arborea più importante in Italia, coprendo circa 1 milione e 150mila ettari. “Se all’inizio degli anni Duemila la produzione di olio era costantemente superiore al mezzo milione di tonnellate – ricorda Sergio Tombesi, docente di arboricoltura generale e coltivazione arboree – negli ultimi anni abbiamo subito un drastico calo con produzioni generalmente più che dimezzate. Le cause sono molteplici ma sono aggravate dai cambiamenti climatici che causano un incremento di eventi estremi che favoriscono attacchi parassitari, quindi stress biotici, e un incremento degli stress abiotici come gelate primaverili e siccità primaverili estive con ripercussioni sulla qualità e la quantità degli oli prodotti. La risposta a queste sfide sta nella formazione e nella ricerca, ambiti in cui è attivo il nostro Ateneo: è infatti necessario formare i tecnici che devono comprendere le cause dei fenomeni e agire svincolandosi spesso dalla consuetudine”.

L’acqua è fondamentale per gli allevamenti zootecnici e in particolar modo per le lattifere. “Parte di quest’acqua – dice Antonio Gallo, docente di Nutrizione e alimentazione animale – può essere assunta con gli alimenti, un’altra parte deve essere assunta per abbeverata. L’acqua negli allevamenti viene poi utilizzata per pulire le superfici in cui gli animali vivono oppure per ridurre le temperature degli animali o per regolamentare la loro temperatura corporea soprattutto in periodi molto caldi con un alto tasso di umidità. Per questo motivo negli allevamenti sono attivi una serie di sistemi atti a ridurre il consumo di acqua come le fotocellule che rilevano la presenza dell’animale per evitare inutili sprechi e i meccanismi di riciclo delle acque sporche”.

“La situazione è molto critica perché è tutto il bacino del nord Italia ad essere interessato dalla siccità. Il Po ha una portata del 20% rispetto a quello abituale”, afferma Paolo Sckokai, docente di Economia agro-alimentare. A proposito dell’uso irriguo il professore spiega che “occorre gestire bene sia la quantità sia il prezzo dell’acqua, entrambi regolamentati e non lasciati al mercato libero.

Gestire la quantità vuol dire gestire bene gli stoccaggi dell’acqua, che va accumulata quando arriva. Non esistono solo i grandi invasi ma anche sistemi di accumulo meno impattanti. Inoltre, occorre usare bene le reti di distribuzione e oggi esistono tecniche che riducono al minimo la dispersione”.

 

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Festival

Malattie rare – Al Giffoni Next Generation, presentato il cortometraggio “Hai mai visto un unicorno?”

Prodotto da Famiglie Sma, Osservatorio malattie rare (Omar) e GoGo Frames, con la regia di Antonella Sabatino e Stefano Blasi

foto: Omar e Famiglie Sma
26 Lug 2022

È stato presentato durante Giffoni Next Generation, rassegna di Giffoni Innovation Hub, nell’ambito del Giffoni Film Festival in corso fino al 30 luglio a Giffoni Valle Piana, il cortometraggio “Hai mai visto un unicorno?” prodotto da Famiglie Sma, Osservatorio malattie rare (Omar) e GoGo Frames, con la regia di Antonella Sabatino e Stefano Blasi. I riflettori si accendono su due famiglie che convivono con l’atrofia muscolare spinale (Sma), una patologia genetica rara che indebolisce progressivamente le capacità motorie. Alla proiezione e al dibattito hanno partecipato circa 200 ragazzi, che si sono confrontati con i relatori su diversi temi, tra cui la disabilità e le difficoltà quotidiane da affrontare, il linguaggio corretto per parlarne e l’importanza della scienza, di come questa sia in grado di cambiare radicalmente la storia della malattia e la vita di chi ne è affetto. Il film è stato realizzato con il contributo non condizionante di Novartis Gene Therapies.
I piccoli protagonisti del cortometraggio sono Aurora e Antonio con Sma di tipo 1, la forma più severa della patologia. Il film si divide nel raccontare la loro storia, tra Milano e Bari: Aurora, con il padre Antonio, e Antonio, con i genitori Tiziana e Nicola, nella loro quotidianità. Le storie si intrecciano senza incontrarsi mai, tra visite e fisioterapia, ma anche giostrine, picnic e un momento di relax in riva al lago. Coprotagonista silenziosa la scienza, che negli ultimi anni è riuscita a cambiare la storia di una patologia che fino al 2017 non aveva terapie, e oggi può contare su diverse opzioni efficaci. Le voci (e i volti) scientifici che ne parlano sono Emilio Albamonte e Marika Pane.
L’obiettivo del documentario è indubbiamente quello di far conoscere al pubblico la Sma, ma anche sensibilizzare su ciò che la disabilità significa nella vita di tutti i giorni e modificarne la percezione nella società. Dalla difficoltà nel percorrere una strada, anche breve, per i limiti imposti dalle barriere architettoniche, alla necessità di trovare il giusto linguaggio per parlarne Aurora e Antonio – con i genitori – accompagnano lo spettatore in questo mondo, mostrando quali siano i loro limiti, ma anche tutte le straordinarie risorse per superarli e conviverci.
“All’interno della nostra comunità la speranza sta conquistando sempre più terreno rispetto alla paura. Lo dobbiamo alla ricerca, già da qualche anno assistiamo a cambiamenti epocali – ha affermato Anita Pallara, presidente di Famiglie Sma –. Quello di cui abbiamo bisogno ora è che la stessa energia e positività si rifletta all’interno della nostra società. I nostri problemi sono sì diversi, ma anche simili, a quelli di chiunque altro. Un cortometraggio che ci racconti, e l’opportunità di presentarlo al pubblico di Giffoni, è un passo importante verso questa direzione”.

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Viaggio apostolico

Francesco a Maskwacis: “Chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”

La richiesta del papa durante l’incontro con le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit

foto Vatican media/Sir
26 Lug 2022

di M. Michela Nicolais

“Oggi sono qui, in questa terra che, insieme a una memoria antica, custodisce le cicatrici di ferite ancora aperte. Sono qui perché il primo passo di questo pellegrinaggio penitenziale in mezzo a voi è quello di rinnovarvi la richiesta di perdono e di dirvi, di tutto cuore, che sono profondamente addolorato”. È il cuore del primo discorso in Canada, pronunciato dal papa a Maskwacis durante l’incontro con le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit. “Chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni”, le parole di Francesco: “Sono addolorato. Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”. “Sebbene la carità cristiana fosse presente e vi fossero non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini, le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche”, la denuncia del Papa: “Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo. Addolora sapere che quel terreno compatto di valori, lingua e cultura, che ha conferito alle vostre popolazioni un genuino senso di identità, è stato eroso, e che voi continuiate a pagarne gli effetti”. “Di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli”, il “mea culpa” di Francesco: “Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”.

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Sport

Il dio di Stano e la pazienza dell’atleta

25 Lug 2022

di Paolo Arrivo

Non sarà uno sport televisivo, che possa appassionare a bordo strada gli spettatori; ma quando vedi il corridore più forte tagliare il traguardo per primo, con la bandiera dell’Italia in mano, non puoi che condividere le sue stesse emozioni. I brividi che ti percorrono quando compi una grande impresa. Così il marciatore Massimo Stano si è aggiudicato i Mondiali di atletica di Eugene in Oregon, nella 35 chilometri, precedendo il giapponese Masatora Kawano e lo svedese Perseus Karlstrom. Con il suo trionfo il pugliese di Grumo Appula ha interrotto un digiuno durato diciannove anni per l’Italia – l’ultimo a vincere l’oro iridato fu, nel salto con l’asta, Giuseppe Gibilisco.

LA GARA. MS ha chiuso la prova con il tempo di 2h23’14. Che ha significato il nuovo record nazionale. Il campione olimpico, trionfatore a Tokyo nella 20 km di Sapporo, ha dapprima raggiunto il giapponese Daisuku Matsunaga, partito a tutta; a 8 chilometri dal traguardo cominciava a menare il cambio di ritmo nel gruppetto di testa, ridottosi a tre elementi a 3 km dall’arrivo; Karlstrom cedeva, Kawano veniva distanziato all’ultimo chilometro, fino a 10 metri, grazie a un’azione spettacolare dell’azzurro. Che prima di arrestare la sua corsa faceva in tempo a raccogliere il tricolore.

IL RAPPORTO CON LA FEDE. Oltre alle grandi prestazioni nel mondo dello sport, dell’uomo è noto il percorso religioso: sposato con Fatima Lotfi, atleta di origini marocchine, si è convertito all’Islam. Il suo pensiero: “Ognuno sceglie di fare quello che vuole. Io ho una moglie marocchina e per questo la mia è stata anche una scelta di cuore: non ci vedo niente di scandaloso”. Vero, non c’è niente di scandaloso. Non lo è agli occhi del cristiano che, come ricorda papa Bergoglio, non è chiamato a fare proselitismo. Siamo tutti accomunati sotto lo stesso cielo. E il nostro Dio, paziente e misericordioso, attende ogni sua creatura. Con la stessa pazienza dell’atleta. Che prima di firmare una grande impresa deve allenarsi con perseveranza e con metodo, in ogni stagione.

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Emergenze sociali

Arcivescovo Ghizzoni (Ravenna): “Creare un clima di cura e attenzione che permetta la prevenzione degli abusi sui minori”

foto d'archivio Sir
25 Lug 2022

“Rispettare i piccoli e i minori e tutelarli dalle violenze, dai maltrattamenti, dalle trascuratezze affettive e educative, dagli abusi sessuali, dalla violenza assistita in casa e in ogni altro luogo, è un dovere che nasce dal rispetto per la vita altrui e dal diritto di ciascuno, anche se piccolo o fragile, di essere salvaguardato nella sua integrità fisica, sessuale, affettiva e spirituale”. Lo ha affermato l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni, in occasione della festa patronale di sant’Apollinare. “È un cambio culturale che ci è chiesto, perché tutti gli ambienti, le attività e soprattutto le persone che sono in mezzo ai ragazzi e ai minori, siano scelti e formati al rispetto della loro dignità. E siano vigilanti sui ragazzi e su quelli che li avvicinano”, ha ammonito l’arcivescovo. “Noi – ha proseguito – responsabili della comunità cristiana e della comunità civile, educatori e genitori, religiosi e laici, dobbiamo essere alleati per creare un clima di cura e attenzione che permetta la prevenzione, per evitare che accadano abusi. Episodi drammatici che lasciano tracce mortali o sofferenze inguaribili nella psiche e nell’anima degli adolescenti e degli adulti vulnerabili”. “Già sono in atto misure da parte della nostra Chiesa diocesana con il Servizio di tutela e il Centro di ascolto per i minori”, ha spiegato mons. Ghizzoni, sottolineando che “abbiamo iniziato una collaborazione anche con strutture e associazioni laiche della nostra città. È un cammino che deve assolutamente crescere. Anche qui si può e si deve vincere una lotta per la vita e per la sua dignità”.

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Editoriale

La caduta di Draghi, l’imboscata dei filo Putin

Foto Ansa - Sir
25 Lug 2022

di Emanuele Carrieri

Guardare al di dentro e al di fuori, al di là e al di qua, al di sopra e al di sotto deve essere nel Dna di chi prova a fare analisi politica. Per un semplice motivo: la diffusione di utili menzogne. Occorre perciò grattare la superficie, per arrivare a una pista che faccia capire cosa ci sia dietro certi comportamenti dei politici. La crisi politica ha visto protagonisti M5S e la Lega, ai quali si è accodata FI: non c’è alcuna questione di politica internazionale. Ufficialmente. Negli effetti che derivano dalla caduta del governo, emergono rilevanti questioni di politica estera. Notevoli quelli che riguardano due temi importanti per il futuro del Paese e delle sue istituzioni democratiche: le scelte pro Ucraina e pro UE che hanno distinto il governo Draghi. I partiti della crisi hanno nella loro storia incrociato Putin, l’uomo che fra lo scorso e l’attuale decennio ha aggredito i paesi vicini a più riprese e che sta conducendo in Ucraina una guerra di conquista territoriale. Berlusconi nel ’94 da capo del governo provò a inserire la Russia nel G7 durante la presidenza di turno italiana e replicò, in parte, con la Nato nel 2002. Nella seconda occasione si spinse addirittura a dire che la Russia doveva essere accolta nell’UE, istituzione che diventò, anni dopo, per le autorità russe obiettivo da abbattere. Restò alta la frequentazione fra Putin e Berlusconi, che si manifestò in una forte empatia nel privato e nelle prese di posizione pubbliche nelle quali si rimbalzavano stima e legittimazione. Nel maggio scorso, di fronte alle stragi che i missili russi attuano in Ucraina, Berlusconi dichiara ai suoi riuniti: “In Ucraina bisogna arrivare al più presto a una pace. Credo che l’Europa unita deve fare una proposta di pace, cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin”. La Gelmini, che poi ha lasciato il partito, si dissocia: “L’Italia non può essere il ventre molle dell’Occidente e soprattutto non può esserlo per colpa di FI”. La frequentazione della Lega è più rozza ma colleziona episodi che sono pittoreschi: l’incontro dell’ottobre del ’18 a Mosca con Savoini, collaboratore di Salvini. Presiede l’istituzione culturale Lombardia – Russia, ma di cultura nemmeno l’ombra: con i tre interlocutori russi parla di coincidenti visioni politiche e di compravendita di petrolio. Non casualmente lo accompagnano un avvocato internazionalista e un consulente fiscale. La Lega da tempo guarda alla Russia come un modello di riferimento: nei quasi dieci anni del lento distacco da Mosca della politica romana, Salvini lavorerà contro le sanzioni e nel giugno 2022 organizza un viaggio da Putin, al quale sarà costretto a rinunciare. In quanto a Conte e al M5S, hanno accumulato indizi di una linea filorussa che non trova riscontro nemmeno negli altri due casi richiamati. Da presidente del Consiglio nella drammatica fase iniziale della pandemia, accettò la penetrazione dei militari russi nel cuore della nostra tragedia, fra Bergamo e Roma, con una condotta tuttora sotto la lente di ingrandimento delle autorità preposte alla nostra sicurezza nazionale. Alla luce dei pochi richiami, si capisce il senso della frase detta da Draghi al Senato chiedendo la fiducia: “Dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere le interferenze da parte della Russia e delle altre autocrazie nella nostra politica e nella nostra società”. L’altro punto nevralgico della politica estera italiana è la costruzione europea. Dando per acquisita la tiepidezza con cui Lega e FdI guardano all’UE, è enigmatico il M5S, che non si dichiara sovranista come gli altri due, e vari punti del suo manifesto risultano in linea con l’Unione. Ma nel programma elettorale del ’14 M5S chiedeva il “referendum per la permanenza nell’euro”. Cinque anni dopo, nella trattativa di governo con il Pd, Di Maio dirà di voler “restare nell’UE e nell’euro, ma con un’Italia protagonista”. E Conte non ha alterato quella posizione, cercando casa prima nel PSE e poi fra i verdi europei, due gruppi di convinti europeisti. La campagna elettorale dirà se scorie del passato scorrono ancora nelle vene del M5S. Da ciò, la convinzione sul fatto che il laccio intorno al collo del governo Draghi sia stato stretto anche per ragioni di politica estera. La partita sulla guida del prossimo governo si giocherà sui consensi elettorali dei partiti guida dei due schieramenti e sulla capacità del vincente di raggranellare in parlamento voti sufficienti a governare. Certo è che il ritiro di Draghi costerà parecchio alla politica estera del nostro Paese: si guardi a come abbia risolto meglio di ogni altro paese UE la grana dell’approvvigionamento energetico, riaprendo al tempo stesso all’Italia le vie dell’Africa, dopo decenni di colpevole dimenticanza del ceto politico italiano. Qualcuno sogna il miraggio di un nuovo governo Draghi … Un sogno da film di fantascienza.

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Vita sociale

Il 1° agosto, a Castellaneta, la festa di Avvenire dedicata al Sud come ‘risorsa’

foto: diocesi di Castellaneta
25 Lug 2022

Si terrà lunedì 1° agosto 2022 a Castellaneta Marina nel piazzale Kennedy (antistante la parrocchia Stella Maris), la festa di Avvenire.
Organizzata dalla diocesi di Castellaneta, in collaborazione con il quotidiano Avvenire, Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), il Periodico Adesso (aderente alla Fisc) e la parrocchia Stella Maris di Castellaneta Marina, quest’anno si tratterà il tema del Sud, con un occhio particolare alle energie dei giovani. L’evento è realizzato con il contributo di TechnoAcque, Fondazione don Eustachio Montemurro Onlus, BCC Marina di Ginosa, GreenOil, SAAV e Lome Super Fruit. Tra gli ospiti il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, l’incaricato regionale per la pastorale giovanile don Davide Abascià e l’attore Lino Guanciale.

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Viaggio apostolico

Papa Francesco in Canada – I capi delle First Nations: “Momento storico, ma non finisce qui. È solo un inizio”

(Foto ANSA/SIR)
25 Lug 2022

di M. Chiara Biagioni
Parlano alla stampa i capi delle First Nations alla vigilia dell’arrivo in Canada di Papa Francesco. Un pellegrinaggio sui luoghi del dolore. Nella terra delle “scuole residenziali”, sostenute purtroppo anche dalla Chiesa cattolica in tutto il Paese per contribuire a quella politica di “assimilazione” che ha provocato vittime e traumi persistenti. Si stima che, a partire dal 1883, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit siano stati obbligati a frequentare queste scuole e che a causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila hanno trovato la morte

“È un momento storico importante per i sopravvissuti del sistema scolastico residenziale e del danno causato dalla Chiesa cattolica. Siamo stati colpiti tutti da questo sistema, direttamente o indirettamente. Queste scuse riconoscono quanto abbiamo vissuto e creano un’opportunità per la Chiesa di riparare ai rapporti con i popoli indigeni in tutto il mondo. Non finisce qui: c’è molto da fare. È un inizio”. Prendono la parola ad uno ad uno, per la prima volta in terra canadese, alla vigilia della visita di Papa Francesco. Sono i capi delle First Nations, Ermineskin Cree Nation, Louis Bull Tribe, Sioux Nation. All’incontro con la stampa, ci sono anche gli anziani e i sopravvissuti alle scuole residenziali. A parlare per primo è il Gran Capo George Arcand Jr., della Confederazione delle Prime Nazioni del Trattato n. 6 (Confederacy of Treaty Six). Le loro dichiarazioni vengono distribuite alla stampa dalla Conferenza episcopale canadese.

Il viaggio in Canada di papa Francesco – dal 24 al 30 luglio prossimi – sarà un pellegrinaggio sui luoghi del dolore. Nella terra delle “scuole residenziali”, sostenute purtroppo anche dalla chiesa cattolica. Saranno numerosi gli incontri che il papa avrà con le popolazioni indigene. A Maskwacis, comunità nel centro di Alberta, a circa 70 km a sud di Edmonton, Francesco incontrerà le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit, una rappresentanza delle quali era stata ricevuta in Vaticano dal 28 marzo al 1° giugno scorsi. A loro aveva promesso che sarebbe andato personalmente in terra canadese per esprimere parole di perdono e sostenere un percorso di riconciliazione. Nell’arcivescovado a Québec, il Papa incontrerà per circa un’ora e mezza una delegazione di indigeni presenti nella città francofona. Da qui il pontefice partirà in aereo per Iqaluit, capitale del territorio canadese di Nunavut, situata a sud del Circolo polare artico. Qui Francesco si recherà nella locale scuola elementare per incontrare privatamente un gruppo di alunni delle ex scuole residenziali. Si stima che, a partire dal 1883 fino agli anni ‘60 del secolo scorso, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit sono stati obbligati a frequentare una delle 139 scuole distribuite in tutto il Paese, rompendo il legame con le loro famiglie, con la loro lingua e cultura. La decisione rientrava nel quadro della politica di assimilazione. A causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila di questi bambini hanno trovato la morte.

“Molte delle nostre persone hanno chiesto al papa di visitare le nostre terre e di porgere le scuse”, ha detto il Gran capo George Arcand Jr. “Questo atto è una parte importante del loro viaggio di guarigione”. “Sono portatori di traumi inimmaginabili. Per molti, il riconoscimento di questo dolore è un passo importante verso la riconciliazione”. Il Gran Capo racconta di aver avuto l’opportunità di trascorrere del tempo con molte delle persone sopravvissute alle scuole residenziali. Ascoltare le loro storie e la sofferenza che hanno vissuto, è molto doloroso. Molti non sono riusciti purtroppo a tornare a casa. Nelle tombe recentemente ritrovate, molti corpi di bimbi giacciono senza nome. Il loro ritrovamento ha suscitato un’onda di choc e orrore in tutto il mondo. “Anche se questi danni non possono mai essere annullati, per dimenticare, credo che ci debba essere il perdono”, dice il Gran Capo. I popoli canadesi hanno voglia di voltare pagina ma sanno che “solo attraverso il perdono possiamo costruire nuovi ponti e ricostruire le nostre comunità”.

Il capo Randy Ermineskin, della Ermineskin Cree Nation, chiede giustizia. È la nazione che ospiterà a Maskwacis una tappa della visita del Papa. “Anche se ci è voluto troppo tempo – dice – siamo grati che questo giorno sia finalmente arrivato e che si stia svolgendo nella nostra comunità”. Non sarà facile ricordare. “Come sopravvissuto, so che ciò che accadrà, sarà doloroso. Solo vedere le foto delle scuole, ricordare i corridoi, le aule, come siamo stati trattati, è doloroso”. “Cos’è la giustizia?”, chiede. “Vogliamo che la verità su ciò che è successo in queste scuole, sia condivisa con il pubblico. Tutti devono sapere cosa ci è successo in modo che non accada mai più”. Anche Desmond Bull, capo della tribù Louis Bull, è un sopravvissuto. “Sono stato derubato della mia lingua che ora sto lentamente reimparando”, dice. “Gli eventi della prossima settimana potrebbero pesare molto e aprire vecchie ferite. Chiedo ai sopravvissuti di essere forti”.

“Per alcuni del nostro Popolo, la visita di Papa Francesco evoca sentimenti complessi”, spiega Capo Tony Alexis, della Sioux Nation. “Alcuni Popoli delle Prime Nazioni sono cattolici praticanti e loro vedono questo incontro come un momento di festa e riconoscimento. Mentre alcuni membri della comunità sono arrabbiati e stanno ancora lottando, non vogliono perdonare la Chiesa perchè le sue azioni hanno cambiato per sempre la traiettoria delle loro vite. Per altri, le scuse sono una conferma della loro esperienza: segna l’inizio del loro viaggio di guarigione, li aiuta a trovare la conclusione di cui hanno bisogno per andare avanti”. “La mia speranza è che le scuse di papa Francesco portino guarigione ai sopravvissuti e alle loro famiglie. Sono un riconoscimento del ruolo della Chiesa nel danno e nel dolore causato ai popoli indigeni che vivono in Canada”. “Hanno cercato di portarci via lo spirito, ciò che ci rende forti”, dice l’anziano e sopravvissuto Rod Alexis, della Sioux First Nation. “Sono cattolico praticante e vado a messa. Ma a volte chiedo al Creatore: ‘Dio, mi senti? Perché siamo trattati così? Cosa abbiamo sbagliato? Abbiamo aperto i nostri cuori quando sono venuti in questa terra, abbiamo mostrato loro come sopravvivere, ma in cambio ci hanno mostrato qualcosa di diverso”. “Ringrazio il Papa per venuto tra noi. Porta il peso della fede cattolica, ma quelli che sono venuti prima di lui, in nome della fede cattolica, sono quelli che hanno fatto male. Questo è ciò di cui questo paese ha bisogno: non portateci via lo spirito, la tradizione e le nostre anime. Questo è quello che ci hanno fatto. Ci hanno portato via lo spirito. Dobbiamo guarire”.

Nei giorni scorsi, la Conferenza episcopale canadese ha fatto sapere che il Fondo per la riconciliazione indigena ha già raccolto 4,6 milioni di dollari dalle diocesi cattoliche in tutto il paese, come parte di un impegno nazionale volto a raccogliere 30 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. Il Fondo – assicurano i vescovi – è stato progettato per soddisfare i più elevati standard di trasparenza e buon governo ed è supervisionato da un Consiglio di amministrazione composto da leader indigeni di tutto il Canada. Al consiglio di amministrazione si è aggiunto recentemente anche Graydon Nicholas. È stata la prima persona indigena nel Canada atlantico a conseguire una laurea in giurisprudenza e ha prestato servizio come consulente in molti casi importanti che coinvolgono i diritti delle persone indigene. Il Fondo servirà per finanziare il processo di guarigione e riconciliazione, il lavoro di ricerca nei cimiteri sui siti di ex scuole residenziali, e la promozione di iniziative educative e e culturali.

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Viaggio apostolico

Papa Francesco è arrivato in Canada. Le parole sul volo e il programma di oggi

(Foto Vatican Media/SIR)
25 Lug 2022

Il Papa è arrivato ieri in Canada per il suo 37° viaggio apostolico alle 11.20, le 19.20 ora di Roma. In volo per Edmonton, introdotto dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha salutato i circa 80 giornalisti, di oltre dieci nazionalità diverse, con queste parole: “Grazie di questo servizio e anche di questa compagnia: io la vivo come una compagnia… Grazie per il vostro lavoro. Mi piacerebbe salutarvi come sempre. Credo che ce la faccio a girare, possiamo andare”. Quello in Canada, ha ribadito Francesco, “è un viaggio penitenziale, facciamolo con questo spirito”. Poi il pensiero del Santo Padre è andato ai nonni e alle nonne, nella Giornata a loro dedicata: “Sono coloro che hanno trasmesso la storia, le tradizioni, le abitudini e tante cose. Oggi ci vuole: tornare ai nonni – dirò così come un leitmotiv –, nel senso che i giovani devono avere contatto con i nonni, riprendere da loro, riprendere le radici, non per rimanere lì, no, ma per portarle avanti, come l’albero che prende dalle radici la forza e la porta avanti nei fiori e nei frutti. Sempre ricordo quel poema di Bernárdez: tutto quello che l’albero ha di fiorito gli viene da quello ha di sotterrato, che sono i nonni. E vorrei ricordare anche, come religioso, i vecchi e le vecchie religiosi, i ‘nonni’ della vita consacrata: per favore, non nasconderli,
sono la saggezza di una famiglia religiosa; e che i nuovi religiosi e religiose, i novizi, le novizie abbiano contatto con loro: loro ci daranno tutta l’esperienza di vita che ci aiuterà tanto ad andare avanti. Ognuno di noi ha dei nonni e delle nonne, alcuni sono andati, altri sono vivi; ricordiamoli oggi in un modo speciale. Da loro abbiamo ricevuto tante cose, prima di tutto la storia”.Il programma papale di oggi prevede, alle 8.45 (16.45 ora di Roma), dopo la Messa in privato, il trasferimento in auto a Maskwacis, il cui nome in lingua indigena significa “colline dell’orso”, dove alle 10 (18) è in programma l’incontro con le popolazioni indigene First Nations, Mètis e Inuit. Francesco sarà accolto nella chiesa dedicata alla Madonna dei Sette Dolori dal parroco e da alcuni anziani, poi proseguirà su una golf car al Bear Park Pow-Wow Grounds, dove sarà accolto da una delegazione di capi indigeni provenienti da tutto il Paese: qui terrà il suoi primo discorso, in lingua spagnola come tutti gli altri del viaggio, seguito dal saluto di alcuni capi. Alle 11.45 il rientro in seminario. Nel pomeriggio, alle 16.30 (00.30), il Papa si recherà in auto nella chiesa del Sacro Cuore, sede di una comunità mista di cattolici dei popoli indigeni e non. L’incontro con le popolazioni indigene e con i membri della comunità parrocchiale è previsto alle 16.45 (00.45). Accolto dal parroco, Francesco entrerà insieme a lui nell’edificio accompagnato da suoni di tamburo. Dopo il benvenuto del parroco e di due parrocchiani, Francesco terrà il suo secondo discorso, preceduto da un canto indigeno: poi la preghiera del Padre Nostro, il saluto ad alcuni fedeli e la benedizione della statua dedicata a Santa Kateri Tekakwitha, la prima indigena del Nord America ad essere stata riconosciuta santa dalla Chiesa cattolica. Alle 17.45 (01.45) il rientro seminario di St. Joseph.

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Editoriale

Da Francoforte a casa nostra. Cosa cambia con i nuovi tassi di interesse

(Foto ANSA/SIR)
25 Lug 2022

di Paolo Zucca
Ma perché le banche centrali aumentano o diminuiscono il costo del denaro? Quando abbassano i tassi vogliono dare una spinta all’economia, creare lavoro, rendere meno oneroso utilizzare un prestito per la casa o per l’impresa. Quando rendono il denaro più caro, come è avvenuto giovedì, vogliono (almeno in tempi normali) evitare che troppa benzina entri nel motore con il rischio di far correre troppo l’economia e i prezzi
I mercati finanziari, cioè le Borse dove si scambiano azioni, obbligazioni, merci e tanto altro, non sono un buon termometro dell’economia. Non deve stupire se il primo aumento dopo 11 anni dei tassi di interesse ufficiali (0,5% deciso giovedì dalla Banca centrale europea) sia stato assorbito senza gravi danni. Era atteso e nelle ultime settimane si era capito che non sarebbe stato solo uno 0,25%.

Da Francoforte l’intervento della Bce entrerà nelle case e nelle imprese.

Molto schematicamente, chi ha risparmi potrà sperare di veder remunerati maggiormente i propri depositi bancari e postali ma anche i prestiti che le famiglie fanno ad esempio, anche se non è chiaro a tutti, allo Stato quando sottoscrivono un Btp o un altro titolo governativo. La remunerazione si alzerà di qualcosa non certo abbastanza per recuperare quanto viene mangiato da un’inflazione pesantissima tra l’8 e il 9%.

La Bce entrerà in casa pesantemente per chi ha bisogno di prestiti di breve durata o di lunga durata. Ad esempio un nuovo mutuo che costerà di più. Per chi ha già mutui in corso si appesantisce la rata del mutuo variabile. Chi ha un mutuo a tasso fisso è abbastanza tranquillo soprattutto se riesce a mantenere compatibile il proprio introito con la rata da pagare.

Ma perché le banche centrali aumentano o diminuiscono il costo del denaro? Quando abbassano i tassi vogliono dare una spinta all’economia, creare lavoro, rendere meno oneroso utilizzare un prestito per la casa o per l’impresa. Quando rendono il denaro più caro, come è avvenuto giovedì, vogliono (almeno in tempi normali) evitare che troppa benzina entri nel motore con il rischio di far correre troppo l’economia e i prezzi. Insomma usano freno e acceleratore. Fra guerra, pandemia, costo dell’energia questo gioco di pedale non è facile. Frenare la corsa dei prezzi e dare smalto all’economia muovendo i tassi di interesse. Altri interventi sono previsti nei prossimi mesi.

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Hic et Nunc

Animali feriti, amministrazione comunale e Wwf lanciano un numero verde dedicato

25 Lug 2022

Sarà il Wwf Taranto a gestire il recupero e l’assistenza degli animali selvatici feriti.
L’assessore all’Ambiente Laura Di Santo, dopo una ricognizione che ha visto partecipe anche l’assessore alla Polizia Locale Cosimo Ciraci, ha dato indirizzo alla sua direzione affinché individuasse un operatore adeguato alla delicata natura del servizio.
«I cittadini che dovessero trovare un animale selvatico ferito – ha dichiarato Di Santo – potranno chiamare il WWF Taranto al numero verde 800954446, attivo tutta la giornata, o in alternativa al 3715818471. Il servizio è completamente gratuito: risponderà un operatore che, acquisite tutte le informazioni necessarie, rapidamente si recherà sul posto per il recupero, il soccorso e il trasporto dell’esemplare. Al cittadino è richiesto solo di rimanere sul posto per guidare i volontari o per avvisarli in caso ci siano sviluppi che rendano inutile l’intervento, per esempio se l’animale, sebbene ferito, si sia allontanato».
Gli operatori del Wwf Taranto provvederanno a effettuare un primo soccorso veterinario per poi, in base alle condizioni dell’animale, provvedere al suo rilascio in libertà o trasferirlo al “Centro di Recupero Animali Selvatici” di Manduria dove riceverà le cure del caso e si provvederà alla sua riabilitazione.
La Polizia Locale, spesso destinataria di segnalazioni di questo tipo da parte dei cittadini, ha garantito la più ampia collaborazione per smistare le telefonate al servizio gestito dal Wwf.

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Francesco

La domenica del Papa – Un pellegrinaggio penitenziale

25 Lug 2022

di Fabio Zavattaro

Pellegrinaggio penitenziale. Così papa Francesco ha definito il suo viaggio in Canada, iniziato domenica mattina, che si svolge dopo cinque incontri avuti dal papa con le popolazioni indigene canadesi, tra il 28 marzo e il primo aprile. Proprio in questo ultimo incontro Francesco aveva parlato di “strade ulteriori da percorrere insieme” per contribuire alla “ricerca trasparente della verità e per promuovere la guarigione dalle ferite e la riconciliazione”. Le comunità native hanno subito ferite e violazioni dei loro diritti a seguito delle politiche di assimilazione culturale, cioè le cosiddette “scuole residenziali” istituite dal governo e gestite dalle chiese cristiane – un sistema nato alla fine dell’Ottocento e proseguito fino alla metà del secolo scorso – per rieducare i giovani nativi allontanandoli dalle loro tradizioni e dalla cultura del loro popolo. Già nel 1987, il 20 settembre, visitando le popolazioni native a Fort Simpson, Giovanni Paolo II parlò di dignità delle popolazioni native e di “rispetto della chiesa per il vostro antico patrimonio, per le vostre numerose tradizioni ancestrali, degne di grande riguardo”. Indossando un abito liturgico con le frange e disegni tipici della comunità indigene, papa Wojtyla disse: “la storia ci documenta con chiarezza come nei secoli la vostra gente sia stata ripetutamente vittima dell’ingiustizia a opera dei nuovi arrivati i quali, nella loro cecità, spesso considerarono inferiore la vostra cultura”. Così afferma “il diritto a una giusta ed equa misura di autogoverno” e chiede “risorse adeguate e necessarie per lo sviluppo di un’economia vitale”.

Francesco, con il suo viaggio fa un ulteriore passo in avanti nel dialogo con i popoli nativi, auspicando un “cammino che permetta di riscoprire e rivitalizzare la vostra cultura – diceva alla delegazione dei popoli indigeni il primo aprile – accrescendo nella chiesa l’amore, il rispetto e l’attenzione specifica nei riguardi delle vostre tradizioni genuine”.

Viaggio che è iniziato con il papa che, rivolgendosi ai giornalisti presenti sul volo papale, ha ricordato la giornata dei nonni e delle nonne che, ha detto, “sono coloro che hanno trasmesso la storia, le tradizioni, le abitudini”. L’anziano, il nonno, nelle popolazioni di cultura orale, ha un ruolo di primo piano; così Francesco chiede ai giovani di “tornare ai nonni, nel senso che i giovani devono avere contatto con i nonni, riprendere da loro, riprendere le radici … per portarle avanti, come l’albero che prende dalle radici la forza e la porta avanti nei fiori e nei frutti”. Parole che forse troveranno ulteriore approfondimento nei discorsi che pronuncerà in questa visita canadese, la quarta di un papa in quelle terre.

Viaggio, ancora, che trova ulteriore motivo di approfondimento nelle parole del Vangelo di questa domenica, diciassettesima del tempo ordinario. Lungo tre domeniche Luca ci ha proposto una sorta di cammino che ha come primo punto l’atto della misericordia, il buon samaritano che si china e aiuta il sofferente; come secondo l’ascolto della Parola, Maria e Marta; e come terza parte del cammino del discepolo la preghiera. Se la preghiera del Padre nostro ci dice quale deve essere il nostro modo di stare davanti a Dio, la parabola – evidenzia lo spirito dell’amicizia, che fa sì che uno accetti, a mezzanotte, di importunare e, l’altro, di essere importunato, a causa di un ospite inatteso giunto dopo un lungo viaggio – ci rivela quale relazione Dio mette in atto con le persone, il modo di essere e di agire del Padre che ci interpella personalmente e ci chiede di trasformare il nostro modo di agire.

Il testo che ci propone Luca è più corto di quello presentato da Matteo, perché sono omesse, o attenuate, espressioni tipicamente ebraiche. Comunque “siamo di fronte alle prime parole della Sacra Scrittura che apprendiamo fin da bambini. Esse si imprimono nella memoria, plasmano la nostra vita, ci accompagnano fino all’ultimo respiro”, affermava papa Benedetto XVI. Preghiera, il Padre nostro, che guarda anche alle necessità umane, e per questo chiediamo che ci venga dato il nostro pane quotidiano e ci vengano perdonati i nostri peccati, “anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore”. E proprio a causa dei bisogni e delle difficoltà di ogni giorno, Gesù esorta con forza: “io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.

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