Ecclesia

La carovana della pace è partita per l’Ucraina

La terza missione della rete #StopTheWarNow si è data appuntamento da tutta Italia a Gorizia. Divisi in piccoli gruppi, ciascuno con un pulmino carico di aiuti

foto Sir
30 Ago 2022

di Maria Chiara Biagioni

10 mezzi, 50 volontari, una decina di tonnellate di aiuti umanitari e 2.600 chilometri da percorrere nel cuore dell’Europa orientale per raggiungere, via Budapest, la martoriata Ucraina, prima Odessa e subito dopo Mykolaiv. Il popolo della pace si mobilita ancora una volta. La terza carovana della pace della rete #StopTheWarNow è partita questa mattina all’alba dandosi appuntamento da tutta Italia a Gorizia. Siamo divisi tutti in piccoli gruppi, ciascuno con un pulmino carico di aiuti. Ci sono i ragazzi di Acmos, i volontari del Focsiv e della San Vincenzo, rappresentanti della Caritas Andria e Pax Christi con il suo presidente. Tra i partecipanti a questa nuova carovana c’è infatti anche mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura, in rappresentanza dei Vescovi italiani. Insomma una carovana della pace sostenuta da 175 organizzazioni della società civile italiana.

C’è la consapevolezza di andare incontro a un popolo che ha fame e sete e che da sei mesi vive sotto la minaccia degli attacchi missilistici. Ma c’è anche il desiderio di mettersi in cammino per condividere con loro angoscia e paura.

“Dopo sei mesi di guerra – ci dice Giampiero Cofano, segretario generale della comunità Papa Giovanni XXIII e coordinatore del progetto #StopTheWarNow – purtroppo ad oggi non c’è nessun tentativo di pace all’orizzonte. Solo le armi hanno diritto di parola. Nessun tavolo è stato ad oggi convocato. Nessuna prospettiva di negoziazione si intravede all’orizzonte. Eppure negli ultimi giorni abbiamo visto alcuni segnali positivi come l’apertura dei porti e la concessione da parte della Russia di far entrare gli ispettori Aiea nella centrale nucleare. La speranza è che si possa partire da questi piccoli segni”.

Cofano ci spiega anche che questa terza carovana è il frutto delle relazioni che i volontari della Giovanni XXIII hanno saputo costruire in questi mesi di guerra, prima a Odessa e ora a Mykolaiv, con la gente locale. È stato infatti un rappresentante della Regione di Mykolaiv a invitare i volontari di #StopTheWarNow aprendo le porte dei rifugi e offrendo la possibilità di condividere con la gente del posto gli spazi della loro vita tra bisogni, paure e il sogno che le bombe tacciano per sempre. “Un lavoro paziente”, dice Cofano, che ha reso possibile trasformare la relazione “in amicizia”.

foto Sir

Questa mattina, prima di partire, sulla chat dei partecipanti è arrivato un messaggio di augurio di don Tonio Dall’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi. “Essere accanto alle persone che subiscono la quotidiana violenza dei bombardamenti e dei missili, della paura e della precarietà – scrive – è il modo più efficace per vivere la fraternità universale a cui siamo chiamati tutte e tutti. Gesti come quelli che sin dall’inizio abbiamo inteso mettere in atto come #StopTheWarNow non sono né eclatanti, né decisivi, né efficaci secondo i canoni geostrategici e politici, ma nella mappa dell’umanità sono di gran lunga i più importanti, segnano un solco”.

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Diocesi

A Grottaglie i solenni festeggiamenti in onore del patrono san Francesco De Geronimo

29 Ago 2022

di Silvano Trevisani

Con la solenne intronizzazione delle venerate immagini della Vergine SS. Della Mutata e di San Francesco, nel corso della celebrazione eucaristica presieduta da don Emidio Dellisanti, in occasione del suo 25° anniversario di sacerdozio, lo scorso 26 agosto, sono partiti a Grottaglie i solenni festeggiamenti in onore del patrono principale san Francesco De Geronimo. Fino al 3 settembre, si svolgerà il solenne novenario, che è celebrato dai sacerdoti della vicaria e che culminerà, domenica 4 settembre, festa patronale, nella solenne concelebrazione eucaristica che sarà presieduta, alle 18, da monsignor Alessandro Greco, vicario generale della Arcidiocesi di Taranto, nel 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Alle 19 muoverà la solenne processione del simulacro che attraverserà le principali vie della città.

Ricco il programma delle manifestazioni civili. Dopo la presentazione avvenuta domenica scorsa, da parte dell’Associazione Piccolo Teatro di Grottaglie, della pubblicazione “Racconti della tradizione popolare grottagliese”, promossa dalla pluriassociazione San Francesco De Geronimo, giovedì 1 settembre, in piazza San Francesco doppio spettacolo musicale, a partire dalle 20, con l’Associazione musicale Revival Gruppo 2000 e i Briganti del Duca di Marino Cavallo. Venerdì 2 settembre, nel Castello episcopio, ore 20, recital del pianista Luciano Lanfranchi, per iniziativa del Grottaglie Music Festival in collaborazione con l’Associazione Amj Paisiello. Sabato 3 settembre, alle 20, concerto all’organo rinascimentale nella Collegiata Maria SS. Annunziata, del maestro Francesco Scarcella, cui seguirà, alle 22, il concerto di pizzica del Gruppo musicale Ritmo binario. Domenica 4, in piazza Regina Margherita, al rientro della processione, spettacolo pirotecnico curato da Itria Fireworks di Martina Franca.

Infine, martedì 6 settembre alle 20, nel Castello, concerto Yong people for music, delle pianista atrina Palileva del conservatorio di Kiev e Aurora Soloperto, a cura del Grottaglie Music Festival in collaborazione con l’Associazione Amj Paisiello.

La Pro Loco di Grottaglie, col patrocinio del Comune di Grottaglie, e la collaborazione del Comitato festeggiamenti, propone, infine, 3 tour alla scoperta dei luoghi di San Francesco de Geronimo. Nei giorni 2-3-4 settembre, alle ore 17, si potrà visitare: il Santuario, la Chiesa della Madonna del Lume, la Chiesa madre, dove si incontrerà don Eligio Grimaldi. Prenotazione necessaria, tramite Whatsapp o canali Social. Luogo di incontro: Santuario San Francesco de Geronimo. Il tour è gratuito.

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Sport

La scivolata fuoricampo di Mastrangelo, che errore! Ma lo sport (è vero) significa prevenzione

Una schiacciata dell'ex centrale della nazionale italiana
29 Ago 2022

di Paolo Arrivo

Un’uscita infelice. Non c’è dubbio: un’offesa, per quanto non voluta, a quanti sono impegnati nella lotta contro il male, e meritano di ricevere le migliori cure. Perché siamo tutti uguali di fronte alla sofferenza e alla malattia. Come anche alla morte. E in ospedale ci puoi finire pure per pura sfortuna, vittima di un incidente di cui non hai colpa alcuna. Hanno fatto discutere, ma a ben rileggerle, contestualizzandole, le parole di Luigi Mastrangelo non sono così folli quanto questa esternazione: “Bisogna investire di più nello sport, togliendo magari qualcosa alla sanità”. Il candidato alle Politiche lo ha detto a margine della presentazione delle liste a Bari. “Non dico di togliere tutto alla sanità – ha precisato poi – ma qualcosina si può dedicare allo sport, visto che nello sport viene stanziato sempre molto poco e nella sanità tantissimo. Se è vero, come diciamo da sempre, che lo sport fa bene e ci fa stare meglio, perché dobbiamo aver bisogno di prendere una medicina se possiamo star bene semplicemente facendo sport?” Una castroneria nella castroneria. Dire che nella sanità si è stanziato tantissimo. Va salvato il senso di quanto detto prima: lo sport come medicina utile alla prevenzione, capace di ridurre in modo significativo la possibilità di contrarre certe gravi patologie, merita per questo più attenzione. Prendere o lasciare, Luigi Mastrangelo è questo, chiamato a fare esperienza. Lo vedremo ministro dello Sport nel prossimo governo? Lui riconosce di non avere alle spalle un adeguato percorso politico “come hanno avuto altri che hanno ricoperto quella carica ma sono a disposizione del mio partito, potrei prenderlo in considerazione”.

Al netto di questo episodio increscioso, del suo impegno in politica a sostegno della Lega di Matteo Salvini (scelta opinabile anche questa, secondo l’elettorato moderato o di sinistra), LM è stato e resta orgoglio della Puglia, per le gesta compiute nel mondo della pallavolo: con la nazionale italiana, l’ex pallavolista nativo di Mottola, ha vinto 2 World League e 3 Campionati europei; con i club si è aggiudicato il tricolore insieme al Piemonte volley nella stagione 2009-10, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe, 4 Coppe Cev e una Supercoppa europea. Un atleta tra i più amati e seguiti. Naturalmente anche dalla comunità ionica – nella stagione 2008-09 ha giocato per la Prisma, e quindici anni prima rappresentando i colori della “Magna Grecia”.

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Francesco

La domenica del Papa – Il posto dell’umile

“L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”

foto Vatican media/Sir
29 Ago 2022

di Fabio Zavattaro

Diciannove giorni prima, nella notte del 9 aprile 2009, un terremoto di magnitudo 5,8 aveva praticamente raso al suolo la città e ucciso 309 persone. Il 28 aprile a L’Aquila arriva papa Benedetto XVI e, superando le resistenze degli addetti alla sicurezza, entra nella basilica di Santa Maria di Collemaggio ferita dalla violenza del sisma e avvolta dalle impalcature. Pochi passi per raggiungere la teca con i resti di papa Celestino V, e poi quel gesto che ancora oggi, dopo la rinuncia del 2013, fa riflettere: si toglie il pallio, e lo pone sul cristallo.

Domenica 28 agosto, papa Francesco entra nella basilica di Collemaggio, ancora sotto restauro, e si ferma a pregare davanti la teca di Pietro del Morrone monaco eremita benedettino, eletto papa nel 1294 con il nome di Celestino V. Per la prima volta un papa compie il rito dell’apertura della Porta santa della basilica, battendo tre volte sull’anta di sinistra con un ramo d’ulivo del Getsemani: è la 728ma Perdonanza celestiniana. Un tempo di perdono, dice Francesco, che non deve limitarsi a una sola volta l’anno, “ma sempre. È così, infatti, che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato”.

È il papa del “gran rifiuto”, come si legge nel terzo canto dell’Inferno della Divina commedia di Dante. Ma “Celestino V non è stato l’uomo dei ‘no’, è stato l’uomo dei ‘si’” dice Francesco nell’omelia della messa celebrata sul piazzale della basilica. Questo perché, ricorda, “non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili. Proprio perché sono tali, gli umili appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà”. È ai miti che Dio rivela i suoi segreti: “nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie”. Celestino è stato “testimone coraggioso del Vangelo” e in lui “noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la Misericordia”. Ci ha lasciato “il privilegio di ricordare a tutti che con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati”.

Omelia nel giorno in cui il Vangelo pone in primo piano la parabola del banchetto nuziale e della scelta del posto da occupare: “quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto”. Ovviamente non è una lezione di galateo, né tantomeno una forma di protocollo da rispettare; ciò che Cristo mette in evidenza, nel brano lucano, è l’umiltà: è il messaggio delle beatitudini, della capacità di scegliere una strada diversa da quella che il mondo propone; di non seguire le mode, spesso passeggere, del tempo. Il valore di ognuno non dipende dal posto che occupa in questo mondo. “L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”. E il cristiano sa che la sua vita è “una carriera alla maniera di Cristo … Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore. Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione”. L’Aquila sia davvero “capitale di perdono, di pace e di riconciliazione”; e per l’intercessione di Maria auspica “per il mondo intero il perdono e la pace”

Il papa ha voluto presenti in prima fila i familiari delle vittime del terremoto che hanno realizzato una Cappella della Memoria: “la memoria è la forza di un popolo, e quando questa memoria è illuminata dalla fede, quel popolo non rimane prigioniero del passato, ma cammina e cammina nel presente rivolto al futuro, sempre rimanendo attaccato alle radici e facendo tesoro delle esperienze passate, buone e cattive. E con questo tesoro e queste esperienze va avanti”: Jemo ’nnanzi!

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L'argomento

Dopo il femminicidio a Bologna: “Proteggere le donne che denunciano e accelerare indagini e provvedimenti”

Non si ferma la scia di sangue contro le donne: l’ultima vittima massacrata per mano dell’ex compagno che, denunciato lo scorso 29 luglio, non aveva subito alcun provvedimento

foto Siciliani-Gennari/Sir
29 Ago 2022

di Giovanna Pasqualin Traversa

Uccisa la sera del 23 agosto mentre era al telefono con la sorella che ha sentito l’aggressione in diretta. Alessandra Matteuzzi, 56 anni, è stata massacrata a martellate dall’ex compagno, il calciatore Giovanni Padovani, 27 anni, che non accettava la fine della relazione. All’indomani del femminicidio, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto di “svolgere con urgenza accertamenti” in merito ai provvedimenti non presi dopo la denuncia per stalking fatta dalla vittima contro il suo assassino, lo scorso 29 luglio.

È un torrente in piena Isolina Mantelli, presidente del  Centro calabrese di solidarietà con sede a Catanzaro, all’interno del quale è attivo dal 2012 anche “Mondo rosa”, centro antiviolenza e casa rifugio per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli. Impegnata con passione h24 sul campo, Mantelli ci parla di “ennesima morte annunciata”. “Quello che mi colpisce e inquieta è il regime di terrore in cui è vissuta questa donna. Un terrore apparentemente inascoltato – ma l’indagine chiesta dalla ministra Cartabia farà chiarezza – per quasi un mese da chi avrebbe dovuto dare risposte”. Mantelli non si sbilancia in attesa degli esiti di questi accertamenti, ma una cosa è certa, scandisce: “Dopo la sua denuncia del 29 luglio non è successo nulla; eppure Alessandra Matteuzzi aveva allertato la sorella ed anche un vicino di casa. Ammesso che la magistratura abbia i suoi tempi tecnici e che siamo in periodo di ferie, il femminicidio è un grave allarme sociale e questi segnali non dovrebbero mai essere sottovalutati, altrimenti facciamo il gioco degli assassini”.

Il procuratore di Bologna Giuseppe Amato ha escluso un caso di “malagiustizia” ed ha spiegato che per concludere le indagini occorreva attendere il rientro dalle ferie di “alcune persone da sentire”.
È presto per esprimere opinioni su una vicenda ancora da chiarire, ma mi sembra che in casi di emergenza come questo si dovrebbe poter attivare una corsia preferenziale con procedure d’urgenza più agili come l’ascolto di testimoni in videochiamata ma soprattutto, in attesa di concludere le indagini, si dovrebbe mettere in sicurezza la donna che ha sporto denuncia.

Mi metto nei panni di Alessandra: camminare guardandosi alle spalle, avere paura della propria ombra e del minimo rumore, essere costretta a parcheggiare l’auto in strada anziché nel garage per ridurre al minimo il percorso a piedi verso casa, non sentirsi sicura in nessun luogo… un terrore che invade la vita e ti uccide un po’ alla volta, anche se sei ancora viva.

Ci troviamo di fronte ad un copione già visto infinite volte…
Una donna adulta, indipendente, realizzata nella professione a fronte di un “fanciullone” che la considera un oggetto di sua esclusiva proprietà. Per l’ennesima volta, di fronte all’abbandono, scatta nella mente maschile un cortocircuito: o mia o di nessun altro. Una violenza distruttiva legata all’incapacità di gestire la frustrazione del rifiuto. Che educazione avrà avuto questo uomo? Continuiamo a non trovare risposte sul piano culturale, questo è il vero problema. Mancano le uniche risposte utili a tentare di prevenire un fenomeno che non è arginabile solo con misure giudiziarie e provvedimenti punitivi.

Ma il codice rosso? Forse un divieto di avvicinamento avrebbe potuto evitare questa morte?
Credo che il codice rosso lo preveda; in questo caso non so dove sia finito… Le leggi esistono, ma probabilmente vengono applicate in base alla sensibilità delle diverse magistrature. Forse si poteva imporre il braccialetto elettronico…

Misure che però vengono spesso bypassate dagli autori di femminicidio…
Purtroppo, quando un uomo decide di eliminare “l’oggetto di sua proprietà” che non lo vuole più non lo ferma nessuno, ma l’uccisione di una donna è sempre preceduta da campanelli d’allarme, troppo spesso sottovalutati, che consentirebbero invece di identificare un probabile futuro assassino.

In quei casi come intervenire?
Bisogna tentare di fermarli in tempo inviandoli in comunità di recupero per uomini maltrattanti. Esistono strutture chiuse nelle quali, durante le fasi di indagine e ascolto dei testimoni, i magistrati potrebbero inviarli costringendoli, intanto, ad iniziare un percorso riabilitativo. Questo metterebbe in sicurezza anche la donna che ha denunciato dal momento che il periodo successivo alla denuncia è il più pericoloso. Per fermare la violenza contro le donne dobbiamo educare quelle che saranno le prossime generazioni, ma nel frattempo dobbiamo tentare di recuperare per quanto possibile i violenti di oggi, mettere in sicurezza le vittime e accelerare i tempi di indagine. Altrimenti continueremo a fare il gioco di questi assassini.

Lei sottolinea l’importanza di educare al rispetto della donna fin da piccoli.
Ci vorrebbe una rivoluzione culturale. Noi siamo impegnate con “Mondo rosa” in un’attività capillare di prevenzione andando a parlare nelle scuole, nelle parrocchie, in Comune, nei servizi sociali. Il potere maschile sulle donne si esprime in tanti modi. Qui in Calabria ve ne sono alcune sottoposte a violenza di tipo economico: donne che lavorano e sono costrette a consegnare i loro guadagni al marito al quale debbono poi chiedere 10 euro per andare dal parrucchiere… Come possiamo pensare ad un cambiamento se permangono ancora sacche nelle quali una certa cultura maschilista  e prevaricatrice è accettata e considerata “normale” dalle stesse donne? Abbiamo tanto lavoro da fare anche con loro per aiutarle a sviluppare un’autocoscienza, ma nel momento in cui aprono gli occhi e si ribellano esponendosi al rischio di ritorsioni e violenze, debbono sapere a chi rivolgersi per chiedere protezione. Se Alessandra avesse chiesto aiuto ad un centro antiviolenza, se fosse entrata nel loro sistema di protezione, si sarebbe salvata? Non lo so, ma non posso fare a meno di interrogarmi.

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Francesco

Papa Francesco: “L’Aquila sia capitale di perdono, pace e riconciliazione”

Il pontefice è stato il primo della storia ad aprire la Porta santa della basilica di Santa Maria in Collemaggio, dando inizio alla Perdonanza celestiniana

foto Vatican media/Sir
29 Ago 2022

di M. Michela Nicolais

“Che L’Aquila sia davvero capitale di perdono, di pace e di riconciliazione”. Dalla basilica di Santa Maria in Collemaggio, simbolo della ricostruzione dopo il terremoto del 6 aprile 2009, papa Francesco ha concluso con questo auspicio l’omelia, prima di aprire – primo pontefice a compiere questo gesto nella storia – la Porta Santa a fianco della basilica e dare inizio così alla 758ª edizione della Perdonanza celestiniana. Il viaggio del Papa a L’Aquila è cominciato in piazza Duomo, con l’incontro privato con le famiglie vittime del sisma e il saluto alla città. Due le parole chiave dell’intera giornata: resilienza e misericordia. L’ispirazione: Celestino V, da Dante erroneamente dipinto come “colui che fece il gran rifiuto”. Durante l’Angelus, ancora una volta Francesco ha pregato per il popolo ucraino e per tutti i popoli in guerra.

“Troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo”, denuncia Francesco a Collemaggio: “L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”, il monito: “Il cristiano sa che la sua vita non è una carriera alla maniera di questo mondo, ma una carriera alla maniera di Cristo, che dirà di sé stesso di essere venuto per servire e non per essere servito”. “Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore”, la tesi del papa: “Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione, e tutte queste miserie”.

 

“Voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi”, l’omaggio alla resilienza degli aquilani, che fa eco a quello pronunciato in piazza Duomo, insieme all’invito a portare avanti la ricostruzione con la collaborazione di tutti. “Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri”, la raccomandazione di Francesco: “Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria”.

“Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un terremoto dell’anima, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria”, attualizza il papa: “In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. Ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza”.

Nella città che da secoli mantiene vivo il dono che Celestino V le ha lasciato, Francesco ricorda a tutti che “con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati. Essere perdonati è sperimentare qui e ora ciò che più si avvicina alla risurrezione. Il perdono è passare dalla morte alla vita, dall’esperienza dell’angoscia e della colpa a quella della libertà e della gioia”.

“Partire dalla propria miseria per arrivare al perdono”, la strada indicata a braccio dal papa. Poi il ricordo, sempre a braccio, del volo in elicottero da Roma a L’Aquila, e dei giri fatti dal pilota per poter atterrare a causa della scarsa visibilità: “Il pilota girava, girava, alla fine ha visto un piccolo buco ed è entrato lì, è riuscito. Con la miseria succede lo stesso”. Nell’omelia, il papa rovescia l’interpretazione tradizionale della figura di Celestino V, definendolo “uomo del sì”, la cui cifra è l’umiltà, che “non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie”. “La forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli”, spiega Francesco. In questo senso, “Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria”.

“Che questo tempio sia sempre luogo in cui ci si possa riconciliare, e sperimentare quella Grazia che ci rimette in piedi e ci dà un’altra possibilità”, l’invito finale: “Sia un tempio del perdono, non solo una volta all’anno, ma sempre, tutti i giorni. È così, infatti, che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato”.

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Mondo

Le suore di Casablanca

SS. Francesco - Viaggio Apostolico in Marocco: Visita al Centro Rurale di Servizi Sociali 31-03-2019
29 Ago 2022

di Renato Zilio missionario scalabriniano a Casablanca
Casablanca – «Elles vivent en communauté, elles meurent en communauté!» (vivono in comunità e muoiono in comunità) mi soffia qualcuno, discretamente, al funerale. Si, sono tutte là, presenti, disseminate tra i banchi di chiesa. Sono una ventina di missionarie francescane di Maria, la maggior parte anziane, con alle spalle 40/50 anni di Marocco. Tutta una vita nell’insegnamento, nella sanità, negli ospedali, nell’associazionismo. Una vita spesa a fondo perduto per questo popolo del Marocco, coltivando ogni giorno una sorprendente fraternità. Sì, tutte erano attorno alla suora morente per l’ultima Ave Maria. Tutte attorno alla bara in questa chiesa immacolata, ispirata dai tappeti alle pareti all’arte araba. Tutto qui si vive nel mistero dell’incarnazione. Sopra la bara dei simboli, presentati come sempre uno a uno all’inizio della celebrazione. Una croce di san Damiano. Le regole di vita, che lei amava mettere in pratica. Dei lumini, per gli incontri quotidiani, luminosi, con i giovani musulmani : l’insegnamento era la sua passione. Una armonica, perfino, con cui amava allietare momenti di comunità. Qualcuno, poi, ricorda il percorso di vita, tra Algeria e Marocco, mettendo in luce le sue qualità, passate inosservate, forse… Come quella stupenda – ereditata dalla sua terra di Normandia – «di saper dire tutto e saper sentirsi dire tutto». La franchezza!

In un altro quartiere, dal nome di Bourgogne, si notano povertà e trascuratezza. Già da lontano, tuttavia, una piccola siepe vi attira: è fiorita, curata. Crea un altro clima, anzi, si fa messaggio. Povertà e bellezza possono coabitare insieme. Ed è qui che abitano anche loro, le Piccole sorelle di Gesù. Nate nel deserto dell’Algeria come un dono di Dio, quando il deserto sa farsi fecondo, ne portano sempre le caratteristiche, come i cromosomi di un carisma: semplicità, essenzialità, preghiera e fraternità. Sono distribuite in piccole comunità nel Marocco, ben radicate in mezzo alla gente, seppure di tante nazionalità. Parlano arabo come tutti e vivono il mistero di Nazareth in terra d’islam. Coltivano la contemplazione e la fratellanza universale, ereditate da Charles de Foucauld. Alla messa che celebriamo nella loro umile, accogliente cappella le ostie sono pezzetti di pane preparati con cura dalle loro vicine di casa, musulmane. «È per la vostra preghiera» dicono, felici che si preghi anche per loro.
L’islam non è un’ideologia, vi ripetono le Piccole sorelle, ma sono persone. Che esse incontrano ed amano quotidianamente. E questo traspare in loro ad ogni occasione, come per l’ultima arrivata, pronta a fare un duro lavoro di strada, cioè la pulizia del quartiere. Ed è per conoscere la gente. In verità, il loro senso del servizio nelle piccole cose le rende grandi. In un altro quartiere ancora vivono le Clarisse. Sarà un po’ difficile trovarle, si dovrà forse suonare al campanello di qualche vicino… Un muro alto, bianco, nessuna iscrizione fuori come già facessero parte dell’invisibile: è il loro monastero. Sono di varie parti dell’Africa, la superiora è italiana. Al loro canto si aggiunge il suono allegro delle nacchere, del tamburello ed altri strumenti, come in un qualsiasi villaggio africano. Il clima austero del monastero ritorna subito dopo. Allora, il silenzio si fa mistico. La preghiera sale dall’anima stessa.
Era il desiderio di Chiara d’Assisi di venire un giorno nella terra dell’islam, come fu per Francesco. Il desiderio risale a otto secoli fa e il giorno è oggi, con loro. «Il nostro impegno è la preghiera vissuta in questo Paese con i voti di castità, povertà, obbedienza e clausura», vi diranno, misurando le parole. Preparano le ostie per le varie parrocchie della diocesi. Dalle loro mani, inoltre, escono biscotti dorati dall’intenso profumo di vaniglia. Discretamente, come un ospite gradito, i biscotti entrano nelle case musulmane. Fino a quando qualcuno esclamerà: «Abbiamo finito i biscotti ‘de nos soeurs!’». Ed eccoli, allora, di nuovo al monastero… Queste «donne che pregano» sono una grazia per i cristiani. Ma anche testimoni apprezzate per il popolo musulmano che le circonda. Sono segno dell’importanza vitale della presenza di Dio nell’esistenza di ogni essere umano. Da non dimenticare, poi, le tre suore venute recentemente alla chiesa di St. Francois dal Benin, per vari servizi pastorali alla comunità, in particolare, la catechesi: sono le Oblate Catechiste Piccole Servanti dei poveri.  Nel quartiere “Oasi” si erge un imponente e bella costruzione, l’Ècole du Carmel St. Joseph. È diretta da suore venute dal Libano, parlano tranquillamente arabo o francese. Fa parte delle scuole cattoliche, ma di cristiano c’è ben poco, si direbbe, a prima vista… Tutto il migliaio di allievi è, infatti, musulmano, il corpo insegnante è musulmano, così pure il personale di servizio. Ma resta la sostanza. I valori a cui si ispira la scuola sono evangelici, come il rispetto dell’altro, la solidarietà, l’apertura di mente e di cuore, la sincerità, il perdono. Tutto sta scritto nei suoi regolamenti. E, in terra d’Islam, é una bella novità!.
Nel quartiere «Roches Noires», vi sorprenderà una suggestiva chiesa gotica con le sue altissime guglie, diventata una frequentata moschea. Il quartiere, svuotato della presenza francese, aveva a suo tempo visto naturale questa scelta : un luogo di preghiera per altri fedeli, un’altra fede.
Rimane in piedi, però, un segno della presenza di Cristo. A due passi, infatti, abitano le suore di Madre Teresa. Verrà ad aprirvi una giovane con un bimbo tra le braccia e poi un’altra con un pancione di otto mesi,… sono una ventina di ragazze-madri accolte qui con i loro piccoli. Vivono come in una grande famiglia, imparano a stare insieme, a trovare un piccolo lavoro, a far crescere il loro bambino. Ad affrontare una vita, in fondo, che per la società musulmana è una vergogna e una maledizione. Ma per le suore di Madre Teresa sono proprio loro, in fondo, a pronunciare quelle parole scritte in cappella, accanto al Cristo crocifisso: I thirst (Ho sete). Sì, hanno sete di dignità. Qualcuno vi racconterà, poi, il lungo cammino di riconciliazione con le rispettive famiglie, quando la mamma della ragazza si presenterà, finalmente, un giorno per vedere il bambino…
Ma se capitate il martedi, le suore le trovate indaffaratissime in cucina. Per tutto il giorno preparano il cibo, che poi distribuiranno il giorno dopo agli incroci delle strade di Casablanca. Dove si ferma il loro pulmino, come per un alveare, arriva subito attorno uno sciame di giovani migranti subsahariani. Sono là a chiedere di solito l’elemosina alle auto, ferme al semaforo. E sono centinaia. Per loro, queste suore sono un segno della provvidenza di Dio. Un segno del cielo. «Ci sono persone nel mondo così affamate – ricordava Gandhi – che Dio non puo’ apparire loro se non in forma di pane». “Ma quando mai vi riposate… ?” faccio a una di loro, indiana, stanca ma sorridente, nel suo bel sari bianco e blu. «Lo faremo lassù» mi fa, alzando l’indice. E sarà per ricevere, finalmente, l’abbraccio del Signore, che hanno servito fino alla fine. Negli ultimi. E in terra musulmana… che tutte hanno immensamente amato.
Sì, per davvero, benedette suore di Casablanca!

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Sport

Serie C, avvio non facile per il Taranto: sulla sua strada Monopoli e Catanzaro

L'ex tecnico del Taranto, Giuseppe Laterza
28 Ago 2022

di Paolo Arrivo

Lo abbiamo visto al Premio atleta di Taranto, qualche giorno fa, per ritirare un riconoscimento meritato. Lo rivedremo in riva allo Jonio a sfidare la sua ex squadra. Tra poco, sarà lo stesso Giuseppe Laterza il primo avversario dei rossoblu nella nuova stagione. Così ha deciso il calendario deliberato dal Consiglio direttivo di Lega. La buona notizia è che il campionato parte, domenica 4 settembre, dopo essere stato rinviato – l’avvio era previsto per il 25 agosto. Il Taranto dovrà vedersela appunto con il Monopoli allenato dal tecnico di Fasano. Una trasferta ostica. Non meno facile sarà la prima partita in casa, allo stadio Erasmo Iacovone, contro il Catanzaro, che è accreditato come la squadra favorita del torneo che sta per cominciare. Sono previsti 5 turni infrasettimanali, una sosta tra Natale e capodanno. L’ultima giornata sarà domenica 23 aprile.

SERIE C. Il campionato parte in quanto il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di Teramo e Campobasso. Le due squadre speravano nella riammissione nella terza serie del calcio italiano. Prima della sentenza del Consiglio di Stato erano arrivati i responsi negativi di Covisoc, Consiglio Federale, Collegio di Garanzia del Coni e Tar del Lazio. Con l’accoglimento della sospensiva, il presidente della quinta sezione, Barra Caracciolo, aveva dato qualche speranza ai tifosi. Il Campobasso, nella migliore delle ipotesi, potrebbe ripartire dal campionato di serie D. Sconfessato il presidente Mario Gesuè: i giudici hanno evidenziato che alle irregolarità riscontrate da parte dell’Agenzia delle Entrate, la società “non ha dato seguito né con l’integrale corresponsione delle somme dovute all’atto della ricezione delle stesse né ponendo in essere ritualmente e tempestivamente la procedura di rateazione”. La Lega Pro resterà a 60 squadre. Sono venti quelle incluse nel girone C, nel quale giocherà il Taranto: Monopoli, Catanzaro, Turris, Fidelis Andria, Gelbison, Foggia, Latina, Juve Stabia, Audace Cerignola, Potenza, Giugliano, Picerno, Vibonese, Virtus Francavilla, Avellino, Crotone, Pescara, Monterosi Tuscia, Messina.

Ecco il calendario completo dei rossoblu per la stagione regolare:

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Diocesi

L’esperienza del campo estivo diocesano dei seminaristi teologi

foto: seminario diocesano di Taranto
28 Ago 2022

Anche quest’anno il gruppo dei seminaristi teologi della nostra arcidiocesi ha vissuto l’esperienza del campo estivo dal 22 al 25 agosto nel Centro “La pace” di Benevento.
Sono stati giorni pienamente incentrati sulla bellezza della vita fraterna che, sebbene costituita nel contesto formativo del seminario, ha sempre bisogno di essere consolidata mediante tempi di sosta e di condivisione. Godendo del paesaggio tutto particolare del Sannio, abbiamo sperimentato lo stupore di ritrovarci insieme, ancora una volta, per scoprire come il Signore, che ci chiama a seguirlo più da vicino, parli attraverso i luoghi, le circostanze e le persone che incrociano i nostri passi.

Dopo aver visitato la cittadina variopinta e vivace di Vietri sul mare, abbiamo visitato il borgo di Pietrelcina, terra natale di San Pio. Qui, passeggiando tra i vicoli stretti e scenari pittoreschi, ci siamo lasciati accompagnare dalla sua testimonianza di vita sacerdotale totalmente spesa per la Chiesa e, proprio per questo, donata a ogni uomo gli si avvicinasse. È stato significativo riconoscere con i nostri stessi occhi che la sua santità è sgorgata dal grembo semplice di una vita ordinaria capace di fare spazio allo straordinario di Dio. Altrettanto interessante è stato avventurarci negli scavi della Cattedrale beneventana, accompagnati direttamente dagli stessi archeologi addetti ai lavori. Le strutture, le opere e i reperti lì custoditi sono segno di una storia lunga e complessa, che ancora oggi continua a parlare alle nuove generazioni, invitandole alla responsabilità e alla ricerca costante. Inoltre, sono stati giorni in cui ripartire facendo tesoro delle parole consegnateci dal nostro arcivescovo, durante uno dei momenti di ascolto. Mostrandoci la necessità di avere a cuore la testimonianza evangelica da portare agli altri, egli ha sottolineato l’importanza della disponibilità, quale strumento ed espressione chiara della gratuità e della libertà del discernimento che stiamo vivendo, per poter servire con entusiasmo e con gioia la nostra Chiesa diocesana, secondo lo stile di Dio che, come ha affermato papa Francesco, non può che essere lo stile della vicinanza, della prossimità.

In fondo la parola più bella che, come giovani viandanti e cercatori, possiamo pronunciare nelle nostre comunità e ovunque siamo, non può che essere quella della comunione che crea ponti, intesse dialoghi, costruisce pace.

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Sport

Umtiti e la voglia di normalità

La commozione del calciatore all'aeroporto
27 Ago 2022

di Paolo Arrivo

Ci sono almeno due buone ragioni per dare questa notizia esaltante. Il filo conduttore è l’emozione: quella dimostrata da un’intera cittadinanza, dai cento tifosi che hanno accolto il neo difensore del Lecce, Samuel Umtiti, all’aeroporto di Brindisi; il sentimento di stordimento provato dallo stesso calciatore che, avvicinato dai giornalisti, nella ressa, non riusciva neanche a parlare. L’episodio è di uno di quelli che riconcilia il tifoso con la concezione più romantica del calcio. C’è poi anche, ed è predominante, il risvolto economico legato ad una precisa mossa di marketing, a beneficio della società giallorossa e dell’intero territorio.

CHE SOPRESA! “La sua è una bella storia da raccontare, questa è un’operazione incredibile di mercato, in primis dal punto di vista tecnico. Mi ha colpito la grande umiltà di Umtiti: ha voglia di rimettersi in pista in un campionato e in una piazza importante”. Così il presidente del Lecce Saverio Sticchi Damiani ha commentato l’arrivo in prestito dal Barcellona per un anno del campione del mondo in carica. Aggiungendo che si è trattata di una delle grandi intuizioni del direttore Pantaleo Corvino. Che inizialmente l’aveva tenuta nascosta allo stesso presidente, prima che la trattativa decollasse. L’improvviso sogno si è materializzato facendo gli interessi di entrambe le parti: “Il Salento aveva bisogno di Umtiti e Umtiti aveva bisogno del Salento”. Ovvero cercava una certa normalità, che deve aver trovato non in una metropoli, ma in una città della Puglia. A dimostrazione di come anche i personaggi affermati subiscono il fascino dei buoni sentimenti e non soltanto quello del danaro.

STORIA DI UNA FAVOLA. Nato il 14 novembre 1993 a Yaoundé, la capitale del Camerum, Samuel Umtiti si trasferì con la famiglia in Francia quando aveva solamente 2 anni, in cerca di una vita migliore. Sempre in tenerissima età, cominciò a giocare a calcio, nel Ménival. A 9 anni entrò nel settore giovanile dell’Olympique Lione. Era talmente forte, superiore agli altri, che uno dei suoi allenatori gli proibì di usare il suo sinistro formidabile. Nel 2016 fu acquistato dal Barcellona. Nello stesso anno fu utilizzato dalla nazionale francese agli Europei, sino alla finale. Nel 2018 si è laureato campione del mondo con la stessa Francia. Da allora è stato perseguitato da problemi al ginocchio, che lo hanno messo fuori squadra. Ora la nuova rinascita.

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Sport

Un test emozionante: il ritorno in Formula 1 di Antonio Giovinazzi

26 Ago 2022

di Paolo Arrivo

Dovrebbe essere il sogno di ogni pilota. Come l’Olimpiade per l’atleta, la serie A per il calciatore, il Giro d’Italia per il ciclista corridore: quello di Antonio Giovinazzi in Formula 1 non può che essere un gradito ritorno. Il martinese 28enne correrà il Gran premio d’Italia a Monza e il GP degli Usa ad Austin. Sarà in pista venerdì 9 settembre e il 21 ottobre. A dargli questa opportunità, il team statunitense Haas. Che darà assistenza al pilota di riserva della scuderia Ferrari. Guenther Steiner, team principal della Haas, è apparso entusiasta. Soddisfatto naturalmente lo stesso Antonio Giovinazzi: “Sono così felice di avere l’opportunità di guidare di nuovo nelle sessioni ufficiali di F1, oltre alla guida al simulatore è importante testare una vera macchina e non vedo l’ora di rimettermi tuta e casco”. “Sarà un’opportunità per prendere confidenza con le auto di nuova generazione – precisa ringraziando il team Haas e la Ferrari – è il modo migliore per essere pronti, se dovessi essere chiamato come pilota di riserva. Guidare su piste impegnative ed emozionanti come Monza ed Austin renderà il test ancora più emozionante”.

CHIUSO UN CAPITOLO, SE NE APRE UN ALTRO. Antonio Giovinazzi è stato impegnato nel Mondiale di Formula E, quest’anno, al volante della monoposto elettrica, con il team Dragon-Penske Autosport. Si tratta di una esperienza che il pilota voleva fare. La molla era la curiosità, gli stimoli dati da un’avventura nuova, inedita; ma il campionato non è andato come sperava – zero punti in quindici gare. Il format non aiuta i debuttanti, ha dichiarato. I pochi test a disposizione non lo hanno aiutato. In ogni caso ritiene di aver imparato tanto. La Formula E è tutt’altra cosa rispetto alla F1: lo stile di guida, completamente diverso, impone di adattarsi alla macchina. Che è proprio differente per il carico aerodinamico, per le gomme, per sterzo e fase di frenata. Il confronto con gli altri piloti è stato impari. Poco male. Il morale del pugliese è alto, grazie a questa nuova opportunità, tappa della carriera cominciata con i kart.

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Francesco

Salta l’incontro tra il Papa e Kirill a Nur Sultan

foto L'Osservatore Romano (www.photo.va)/Sir
26 Ago 2022

“Sono molto dispiaciuto della notizia che questo incontro non potrà avvenire. Difficile per me dire cosa ha fatto ritenere il Patriarca non opportuno andare a Nur Sultan. Non penso però che sia la fine di un canale di dialogo. Anzi, direi che ci sono tutti i segni per poter continuare e intensificare il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa”. Così mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi cattolici della Federazione russa – raggiunto dal Sir – commenta la decisione del Patriarca di Mosca Kirill di non recarsi in Kazakistan per il Congresso dei leader delle religioni mondiali del 14-15 settembre, e di conseguenza di non incontrare “a margine” papa Francesco. “Certo – aggiunge l’arcivescovo cattolico di Mosca -, occorre più che trovare altri canali di dialogo, continuare con pazienza su quelli attuali. I leader cristiani hanno la potenzialità di tessere sentieri di pace. Il papa sta riprendendo con forza questa prospettiva, soprattutto quando sottolinea il perdono. Io penso che i leader cristiani dovrebbero iniziare loro un cammino e un percorso di purificazione della memoria, di perdono reciproco e di accoglienza e potrebbero anche sedersi attorno ad un tavolo, anche al di là del Forum, per iniziare innanzitutto a guardarsi negli occhi e a vedersi nella prospettiva dell’Eterno. Allora forse verrà anche il desiderio di essere degli autentici artigiani della pace, come dice il papa”.

Non si dice per nulla sorpreso della notizia don Stefano Caprio, uno dei più grandi conoscitori del mondo russo e del Patriarcato di Mosca in Italia, in partenza ai primi di settembre per Nur Sultan, dove parteciperà anche lui alla settima edizione del Congress of Leaders of World and Traditional Religions. “Era nell’aria”, dice subito, “anche perché non era mai stato fissato un incontro né comunicata ufficialmente la partecipazione del patriarca Kirill”. Caprio ricorda la visita che tre settimane fa, aveva fatto a Roma il capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, il metropolita Antonij di Volokolamsk e “anche se non era stato reso pubblico il contenuto del suo incontro con il papa, si era capito che il Patriarca non intendeva andare a Nur Sultan per non esporsi in un contesto in cui sarebbe stato in minoranza sia nei confronti dei leader delle altre religioni, ed evitare così di essere sottoposto ad una pressione troppo pacifista, sia nei confronti del Kazakistan stesso che si trova in un momento di tensione con la Russia perché non riconosce le ragioni russe né riguardo all’annessione della Crimea né tantomeno alla guerra in Ucraina”. “Sarebbe stato troppo imbarazzante per il Patriarca che interviene solo quando è sicuro di dire la sua senza contraddizioni”. Insomma – taglia corto l’esperto – il contesto interreligioso che offriva Nur Sultan, “era troppo ecumenico” e “l’idea della riconciliazione di tutte le religioni e di tutte le etnie in un territorio post sovietico, è esattamente il contrario di quello che la Russia sta cercando di imporre, cioè una ripresa della superiorità della Russia”.

L’incontro bilaterale tra Kirill e Francesco è stato sospeso e “finchè va avanti la guerra – osserva l’esperto -, sarà difficile questo incontro e poiché la guerra non pare arrivare ad una conclusione, per il momento è stato messo tutto da parte”. Don Caprio mette però in guardia dal pensare che sia stata la guerra in Ucraina a fermare il dialogo tra Roma e Mosca. “Il dialogo ecumenico era già bloccato da diversi anni”, argomenta l’esperto. “E lo è da quando i russi hanno rifiutato di valutare insieme alle altre chiese la questione del primato e da quando c’è stata la rottura con Costantinopoli. Sono tutte vicende dell’ultimo decennio. L’incontro a L’Avana aveva in un certo senso chiarito da parte ortodossa che non si voleva più un dialogo teologico sui contenuti e il papa aveva accettato questa posizione dando la disponibilità di collaborare a livello culturale e umanitario. La guerra ha interrotto anche questa collaborazione, però è evidente che appena si placa il conflitto, l’urgenza umanitaria diverrà prioritaria”.

Una cosa comunque è certa: “il Vaticano cerca di lasciare sempre le porte aperte”. “Il fatto che il papa abbia ricevuto il metropolita Antonji – osserva don Caprio – vuol dire che il dialogo continua e continua a livello alto”. Il dialogo aperto tra leader religiosi è importante “non tanto per le vicende belliche. Quelle hanno una loro logica su cui le autorità religiose possono influire ben poco. Quello che è importante è il dopo. L’Ucraina sta cercando, soprattutto laddove il conflitto è meno intenso, di tornare ad una certa di normalità e lì c’è bisogno di una unità ecclesiastica tra tutte le realtà religiose presenti sul territorio a partire dalla chiesa ortodossa autocefala, la chiesa legata al Patriarca di Mosca, i greco-cattolici e i cattolici di rito latino. Tutto ciò implica il superamento di secoli di diffidenze e litigi ma il processo della riconciliazione e della pace passa anche attraverso il tentativo di intraprendere un cammino di avvicinamento tra le Chiese”.

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