Non chiamate maltempo la crisi climatica!
Non è facile ammettere, è difficile confessare, è faticoso riconoscere e raccontare ciò che sta accadendo. Ossia che quasi non si avverte più dolore di fronte a notizie di uomini e donne, anziani e bambini, morti per le alluvioni o per le cosiddette piogge estreme, che non fanno più impressione le auto travolte dall’acqua o i paesi distrutti. Non per cinismo o per impassibilità oppure per indifferenza: è solo perché l’indignazione, la rabbia, lo sdegno sono molto dominanti. E perché, nello stesso momento, tutto ciò di cui viene data notizia sui giornali era previsto, annunciato. Si trattava soltanto di sapere dove e quando sarebbe successo. È scientifico, matematico, semplice, lo capirebbe anche un bambino: se le temperature estive sono state oltre la media anche di otto gradi, se abbiamo avuto una ondata di calore durata due mesi, se la temperatura dei mari è salita in modo esponenziale, significa che c’era in giro una energia in eccesso che, prima o dopo, si sarebbe scaricata con violenza. D’altra parte, siamo abituati all’alternanza fra periodi di calore estremo e piogge che, in mezza giornata, scaricano l’acqua che un tempo si sarebbe avuta in sei mesi. Sono anni, ormai, che accadono questi fenomeni. Eppure se si aprono in questi giorni i quotidiani tutto ciò è ancora chiamato maltempo, nubifragio, o perturbazione. Parole vuote che ormai non significano niente e che innanzitutto continuano ad assegnare una sensazione di casualità a tutto quello che casuale non è. Perché è la conseguenza scientifica, fisica e logica, della immissione di anidride carbonica nell’atmosfera e di conseguenza ha a che fare con la crisi climatica, con l’emergenza climatica, che qualcuno inizia a definire anche ecocidio. Su twitter, Greta Thunberg scrive di sé: “Nata a 375 ppm di CO2”. Cosa vuol dire? Era la quantità di anidride carbonica che c’era nell’atmosfera quando lei nacque. Una espressione di una consapevolezza profonda del problema climatico, consapevolezza latitante nel contesto politico e in questa campagna elettorale, che sta assumendo toni quasi buffi. Ricordate, nel film Operazione San Gennaro, l’audio-guida nella cappella del tesoro che si inceppava su “trenta miliardi”? E, in Così parlò Bellavista, il suocero che usciva dal coma solo per dire: “Nu milione … uanm ro’ priatorio”? Però si parla di energia. Come se l’energia non fosse legata alla questione della dipendenza dai fossili e dalla mancanza di indipendenza data solo dalle rinnovabili, come se la dipendenza dai fossili non fosse causa di queste sciagure. Sciagure che non bastano mai, come non sono bastati i dieci morti sulla Marmolada, e non basteranno gli 11 morti, fino a ora, di questa tragedia del clima. Purtroppo, spiace scriverlo, i morti sono inutili se non si è in grado di capire di cosa sono morti. Eppure ormai dovremmo avere un contatore che mette una dietro l’altra le morti per clima. Come i tantissimi anziani o ammalati che, questa estate, sono morti di canicola. La mortalità è accresciuta del venti per cento a luglio, molto più del Covid. Malgrado ciò, un dato del genere è stato relegato dai giornali nelle pagine interne. Molti scienziati, negli ultimi giorni, hanno chiesto alla politica di mettere il clima nei progetti, molti scienziati hanno analizzato i programmi dando punteggi e votazioni su ambiente, energia e clima. I Fridays for Future stanno incontrando gli esponenti dei partiti ed è chiaro che molta di questa risposta è data, da parte dei partiti, dalla ovvia volontà di farsi vedere su questi temi, anche per raccattare il voto giovanile. Che cosa succederà dopo le votazioni? E chi lo sa. Certo è che se dovessero verificarsi le previsioni, per il clima sarà un brutto clima: le rinnovabili andranno avanti solo per necessità, ma senza la spinta necessaria, si costituirà un gruppo di ricerca sull’atomo che non farà niente ma si spenderanno tempo e soldi, infine si spingerà moltissimo su carbone e gas. Soprattutto, non avremo politici che si occuperanno di emergenza climatica e di crisi climatica, politici che d’altra parte non abbiamo mai avuto. Sui giornali si continuerà a parlare di clima, in maniera però contraddittoria, scomposta. Nei tanti dibattiti televisivi il clima sarà ignorato, come è sempre stato; d’altronde perché accusare i politici di non aver parlato di clima in questa campagna elettorale se non c’è stato un solo programma, uno solamente, che abbia posto delle domande incalzanti su clima e ambiente? I giornalisti, nelle trasmissioni televisive, sono sempre gli stessi, sono sempre i direttori dei soliti giornali, una sorta di vero e proprio pensiero unico, nonostante dichiarino i loro punti di vista. Ecco, sarebbe ora che facessero, se non un passo indietro, almeno un passo di lato, che lasciassero la parola agli scienziati e ai giovani e non più giovani attivisti sul clima. Gli unici che di perturbazioni, di nubifragi e di maltempo non parlano. Gli unici che guardano, come tutti quelli che si occupano di clima, a questa straordinaria tragedia con una rabbia senza eguali. Perché no, non è caduto un asteroide sulla terra. È successo ciò che è affermato su tanti report scientifici, che c’è chi, fra gli scienziati e gli specialisti, vuole fare uno sciopero delle pubblicazioni sul clima e scendere in piazza. A questo punto siamo ridotti! Al momento, ci sono famiglie distrutte per sempre, a cui nessuno darà un risarcimento. Perché sono morti, appunto, per maltempo, non per una crisi che ha precisi responsabili, fra cui pure lo Stato italiano. Stato che non sta difendendo e proteggendo i suoi cittadini dalla più grande emergenza del presente e del futuro.