Il Paese si spacca alle urne, ma il Rosatellum premia il centrodestra anche da noi
Sono passati solo quattro mesi dalla trionfale elezione di Rinaldo Melucci, espresso dal Pd, a sindaco di Taranto, e pochi giorni dalla plebiscitaria elezione a presidente della Provincia. Lo stesso si potrebbe dire per molte altre città d’Italia, in cui il centrosinistra aveva surclassato il centrodestra, eppure il risultato delle politiche fa voltare pagina. È chiaro e scontato che le amministrative recitano un altro copione rispetto alle politiche, eppure i risultati di ieri qualcosa di chiaro ci dicono. E ci permetterete di riandare a quanto scritto solo pochi giorni fa quando annotavamo che i sistemi elettorali aberranti come il Rosatellum (come l’Italicum, il Porcellum ecc…) escogitati da maggioranze che pensano di assicurarsi così il futuro, finiscono col punire proprio chi li aveva promossi. Così Renzi, che allora guidava ancora il Pd, è stato quasi annientato dal suo Rosatellum e salvato in corner solo da un Calenda che adesso, finalmente, dovrà occultare la sua “agenda Draghi”, sempre ammesso che sia mai esistita, che non ha interessato proprio nessuno. Renzi però, nella sua conclamata vena distruttiva, un successo lo ha ottenuto, provocando la debacle del Pd e, con essa, di tutto il centrosinistra. Lui e Calenda avevano imposto il “no” al campo largo, escludendo tassativamente l’alleanza con il M5S: tale scelta ha spianato la strada al centrodestra che pure ha meno voti degli altri messi insieme e che ringrazia doppiamente. Ma Renzi e Calenda, hanno di nuovo sbagliato a farsi i contri: loro prevedevano l’annientamento dei 5 Stelle che invece hanno più che doppiato la loro lista.
Un altro elemento che avevamo puntualizzato era la prevedibile frattura tra Nord e Sud. Ed è quello che si è verificato, data la voglia del Nord di difendere la sua opulenza e la necessità del Sud di creare un argine, che ha trovato nei 5 Stelle, e non nel Pd, l’interprete più accreditato, tanto che il partito di Conte risulta il primo nel Sul. Per quel che ci interessa, anche in Puglia il partito di Conte è il più votato, anche se il sistema elettorale, che impone alleanza elettorali, che poi non danno nessuna garanzia di tenuta politica, ha premiato il centrodestra, marginalizzando il Pd e i suoi alleati. Uno dei rischi più concreti è che i fondi del Pnrr, già rivisti rispetto al secondo governo Conte, vengano dirottati in maniera più consistente verso il Nord, visto che Giorgia Meloni ha più volte espresso l’intendimento di ridiscuterlo.
È quanto accaduto a Taranto. In provincia, per quanto riguarda il Senato, la coalizione di dx, che appoggiava Vita Maria Nocco, risultata eletta, ha ottenuto il 42,51, ma FdI il 24,76, a fronte del 30% di Roberto Fusco dei M5S e del trascurabile 18,96 di Maria Grazia Cascarano del centrosinistra (Italia Viva addirittura al 4%); ma a Taranto città i Cinque Stella hanno quasi pareggiato, col 34,55, l’intero centro destra (34,77), mentre FdI non arriva da solo al 23.
Risultato simile anche alla Camera, dove risulta eletto il candidato del centrodestra, Dario Iaia, già sindaco di Sava, e dove il candidato del Pd, il “tarantino” Giampiero Mancarelli, nonostante la debacle del suo partito, ha qualche punto in più rispetto al risultato del Senato con il 23,33, surclassato da Annagrazia Angolano di M5S col 32,65.
È evidente che anche il Sud ha risentito, anche se molto meno, dell’ondata che investiva il Paese, ma è stato il sistema elettorale a decidere l’andamento. Ma l’Italia ormai da tempo aveva deciso di spostarsi verso l’unico partito che non aveva partecipato al governo Draghi che, non lo abbiamo mai nascosto, secondo noi è stata una vera iattura, che non ha attuato nessuno dei programmi che sarebbero stati nella sua agenda e che ha fortemente nuociuto a chi lo ha appoggiato, soprattutto tra i più esasperati, come Di Maio e Tabacci il primo dei quali non rientrerà neppure in Parlamento, nonostante il suo ruolo di ministro degli Esteri, e pur essendo stato paragonato, un po’ frettolosamente, ad Andreotti. La scelta di Conte, di dissociarsi non solo da Draghi ma anche da Beppe Grillo che di Draghi era stato uno dei più tenaci sostenitori, ha premiato: non solo egli personalmente ha recuperato oltre 5 punti percentuali, ma ha anche affrancato definitivamente il M5S dal “vecchio” movimento. Il Pd dovrà affrontare, ora, un’ennesima rivoluzione che non potrà non tener conto della posizione di chi, Emiliano prima di tutti, aveva avvertito che annientare il campo largo, come ha fatto Letta con una scelta incomprensibile sarebbe stato un errore fatale per il centrosinistra.