La mossa disperata di un uomo disperato
Tanto tuonò che piovve: si dice quando un evento, un avvenimento, in linea di massima pregiudizievole o dannoso, avviene dopo che è stato preannunziato da ripetute avvisaglie. Non un evento inatteso, non una notizia inaspettata, non un fulmine a ciel sereno, visto che le voci si rincorrevano da parecchio tempo e la tanto attesa mossa di Putin era annunciata come imminente già da qualche giorno. E, d’altra parte, la disastrosa situazione sul campo delle truppe russe, in qualche maniera la rendevano indispensabile, sempre che non si volesse cambiare strategia e abbandonare le mire espansionistiche sull’Ucraina che hanno, al di là dei camuffamenti retorici, provocato l’invasione di febbraio. Ma non per questo il fulmine ha fatto meno rumore e causato meno danni, quantomeno alle speranze di pace. In prospettiva, ha aperto la porta a scenari terrificanti. In effetti, se si spoglia il discorso con cui è stata comunicata la nuova mossa, dalla solita retorica patriottarda – che ripesca i vecchi resti della “grande guerra patriottica”, il “regime nazista di Kiev”, e via dicendo – e dalle solite lamentazioni passivo-aggressive proprie del vittimismo che è ancora più profondo dell’anima russa, i punti salienti del discorso di Putin sono due, tutti e due molto preoccupanti. Il primo riguarda la decisione di cominciare la “mobilitazione parziale”, cioè richiamare in servizio di leva 300 mila riservisti. Non è ancora la mobilitazione totale sollecitata dai “falchi” che contano sempre di più al Cremlino, ma è una decisa escalation del conflitto. Avere più soldati al fronte è necessario per mantenere le conquiste territoriali in Ucraina fatte nei primi tempi dell’invasione. In effetti, si è visto sul terreno come l’offensiva degli ucraini sul fronte sud – e il logico riposizionamento dei russi per proteggere la costa dell’Ucraina occupata – abbia reso scoperto il fronte est, causando la disfatta della regione di Kharkiv con l’umiliante ritirata dei soldati del Cremlino. Ciò perlomeno sulla carta, perché l’esercito russo, come si è visto molte volte nei mesi di guerra, non è un mostro di efficienza e più soldati – pure non molto motivati – non è detto che lo rendano più solido. In ogni modo, ora sarà molto più difficile per gli ucraini cercare di far sbilanciare i russi approfittando della insufficienza di truppe di questi ultimi. Zelensky ci coglie quando dice che “Putin vorrebbe che l’Ucraina annegasse nel sangue, ma anche nel sangue dei suoi stessi soldati”. Osservata la strategia militare russa che prevede ardue battaglie di artiglieria, infatti, il bagno di sangue è assicurato, con, in più, le troppe vittime civili e innocenti che questo tipo di guerra comporta. Comunque, al di là dell’adeguatezza dell’aumento dell’impegno russo sul campo, la conclusione del Cremlino è chiara: non ha intenzione di cedere il territorio che ha conquistato, costi quel che costi. Questo conduce al secondo punto del discorso di Putin con cui è stata ufficializzata la nuova strategia, il più preoccupante. Con l’appoggio esplicito ai referendum “pilotati”, illegittimi per il diritto internazionale e per le persone capaci di intendere e di volere, che si stanno attuando nei territori occupati, Putin si sta tagliando qualsiasi ponte alle spalle, o meglio, così come nei cartoni animati sta segando il ramo su cui ha i piedi. Conquistato il prevedibile sì all’annessione, i territori ucraini occupati saranno per il Cremlino parte integrante della Russia, con tre conseguenze, tutte molto pericolose. La prima è la creazione di un nuovo, ulteriore impressionante ostacolo alle trattative di pace. Su quali basi intavolare il negoziato quando le due parti ritengono i territori contesi frammento integrante delle loro rispettive nazioni? Non c’è più mediazione possibile. Questo peserà come un macigno su un negoziato che non è mai davvero iniziato e, forse, mai lo sarà. Ma senza dialogo l’unica fine possibile della guerra è la sconfitta di una delle due parti, con incalcolabili sofferenze per i due popoli. La seconda conseguenza, nemmeno taciuta, è che, con l’annessione, diventa legittimo, per la dottrina militare russa, l’utilizzazione delle armi nucleari tattiche che servono a difendere l’integrità territoriale della Federazione. Una nuova formidabile minaccia a cui le diverse capitali del mondo, compresa la Cina di Xi Jinping, che, non a caso, chiede una tregua immediata, stanno già reagendo. L’utilizzazione di un ordigno nucleare da parte dei russi potrebbe condurre a una reazione di ugual tipo da parte della Nato. Questo avvicina molto la prospettiva, che si sperava fosse ormai scomparsa dall’orizzonte, di un conflitto nucleare nel cuore dell’Europa. Forse c’è ancora spazio, si spera, per la ragionevolezza, ma l’escalation è in ogni caso molto poco rassicurante. L’ultima conseguenza è psicologica: con questa mossa Putin ha rilanciato ancora la sua sfida. Ormai gli resta solo la carta della mobilitazione totale e quella delle armi nucleari. Ma si è messo con le spalle al muro da solo. Come si sa chi è con le spalle al muro non ascolta la voce della ragione. Ci sono buone probabilità che diventi ancora più violento. Ma ci sono ottime probabilità che, come un animale ferito e agonizzante, stia tentando di dare il suo ultimo colpo di coda, prima di trovare il luogo della quiete, il luogo in cui andare a spirare.