Letteratura

Alla poetessa tarantina Paola Mancinelli il premio di poesia Circolo Parasio di Imperia

31 Ott 2022

La poetessa tarantina Paola Mancinelli, con “Poesia e svelamento” ha vinto la nona edizione del Concorso Internazionale di Poesia organizzato dal Circolo Parasio di Imperia che ha visto concorrere autori da tutto il mondo, anche dalla Russia e che intende aprirsi ulteriormente all’est europeo. La cerimonia di consegna dei premi si è svolta nel salone delle conferenze del Monastero di Santa Chiara al Parasio di Porto Maurizio. “Per il Circolo – ha dichiarato la presidente Simona Gazzano – significa emozione ed orgoglio. L’emozione deriva dal constatare come il bisogno di fare poesia non venga mai meno, anzi, sembri aumentare esponenzialmente con il tempo che passa. Un’edizione che ci targhetta verso l’anniversario tondo dei 10 anni in concomitanza, una bella concomitanza, con il centenario della città di Imperia”.

L’attore Antonio Carli ha recitato per i presenti i testi premiati mentre al pianoforte, mentre la maestra Luisa Repola ha regalato momenti musicali di grande piacevolezza.

Oltre ai premiati, per la prima volta quest’anno è stato assegnato un premio alla carriera “Parasio Poesia”, che è andato al poeta Beppe Mariano. La giuria di qualità era presieduta da Gabriele Borgna, presidente onorario Giuseppe Conte.

Questo l’elenco dei premiati

1° posto: Paola Mancinelli con “Poesia è svelamento”

2° posto : Giancarlo Stoccoro con “E’ smarrita la pratica del riconoscimento dei volti”

3° posto: Valentino Fossati con “Cimitero, pendio sul fondovalle”

Menzioni d’Onore (ex aequo)

Claudia Di Palma con “Achille”

Monica Guerra con “Stanotte scende a morsi l’Eden”

Dario Marelli con “Comparse”

Giulio Medaglini con “L’altro me”

Daniela Pericone con “Le ombre danno alla città”

Annalisa Rodeghiero con “Tra le due rive”

Stefano Vitale ” E tu pendevi”

(La foto è di Francesco Lotito)

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Ecclesia

Festa di Ognissanti – Pace, cosa posso fare per te?

Mai come oggi è tempo di pace, tempo di perdono, tempo di incontro, tempo di credere che possiamo essere davvero custodi gli uni degli altri

foto Siciliani-Gennari/Sir
31 Ott 2022

di Ernesto Olivero

Quando ripenso alla nostra storia, mi commuovo. Ho davanti i volti di chi ci ha aiutato, guidato, anche corretto, lo sguardo dei “piccoli” che si sono tolti il pane di bocca per una carità, ma anche la vita buona dei “grandi” che hanno incrociato il nostro cammino. Penso a figure come padre Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, papa Paolo VI, Madre Teresa di Calcutta, dom Helder Camara, frère Roger della comunità di Taizé, Giovanni Paolo II e tanti altri. Poi, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Fu lui il primo a farci scoprire la profezia di Isaia, le parole che annunciano un tempo in cui le armi non saranno più costruite e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. All’epoca ero molto giovane e non avevo ancora tutto chiaro, ma nel cuore sentivo che forse Dio ci avrebbe usato per fare qualcosa del genere.

In fondo, l’Arsenale della Pace, la realtà di una vecchia fabbrica di morte trasformata in casa di vita, è nata proprio da quell’appuntamento. Oggi non ho problemi a vedere nell’incontro con La Pira, l’incontro con un politico santo. Perché riconosciuta o no a livello ufficiale, per me la santità ha quello stile, ha quella credibilità. La Pira ci ha aiutato a capire che un grande obiettivo non si realizza mai da solo, ma con impegno, con gradualità, con umanità. La pace è così: non è uno slogan da gridare nelle piazze o nei cortei. La pace, come la speranza e l’amore, è un fatto concreto, è una scelta di vita, è l’impegno radicale a lottare contro ogni ingiustizia. La forza di un ideale può essere dirompente, ma dobbiamo avvolgerlo continuamente di pazienza, di delicatezza: abbiamo bisogno di riscoprire ogni giorno le nostre motivazioni, di dire il nostro sì. A quel punto diventeremo indomabili, sentiremo l’urgenza di non tacere di fronte a migliaia e migliaia di guerre nella storia e a centinaia di milioni di morti. A non stancarci nel dire che le armi non devono essere più costruite perché uccidono e lo fanno tante volte, quando sottraggono investimenti allo sviluppo, quando lasciano sul campo morti e feriti, quando preparano la vendetta, quando devastano per sempre l’equilibrio dei reduci.

Credo che le tragedie della storia e la complessità geopolitica del mondo di oggi ci dicano che non è più tempo di aspettare. L’umanità può rinascere! Ognuno di noi può farlo, vivendo – se è credente – la santità come forma più alta del proprio essere al mondo. Da non credente, l’impegno continuo a cambiare, a convertirsi per convertire il corso negativo della storia. Tutto il resto non conta.

Mai come oggi è tempo di pace, tempo di perdono, tempo di incontro, tempo di credere che possiamo essere davvero custodi gli uni degli altri. Con il contributo di tutti, l’umanità può diventare come una famiglia, in cui ogni differenza, ogni colore, ogni cultura siano semplicemente le sfumature della fantasia di Dio. Un’umanità così sarebbe l’artefice di una vera rivoluzione, di una primavera di pace e di riconciliazione. E allora, prepariamo la pace con scelte e con gesti di giustizia! Facciamolo, non abbiamo paura, non esitiamo! Chiediamolo prima di tutto a noi stessi: “Pace, che cosa posso fare per te?”. Una domanda apparentemente piccola che però può cambiare il mondo. E per noi cristiani aprire una via di santità.

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Ecclesia

A colloquio con Orazio Coclite, la “voce” Rai che entra nelle case con gli eventi religiosi

31 Ott 2022

di Silvano Trevisani

Vi è mai capitato di incontrare un voce? Beh, sicuramente vi capita molto spesso di “riconoscere” le voci, di persone, anche lontane, autorevoli o pubbliche. Presentatori, attori, politici, o doppiatori che si identificano coi miti del cinema. Ma “incontrare” quella voce e comprendere che dietro c’è una persona con tutti i suoi valori, una storia con tutta la sua esperienza, accade molto raramente. Ebbene, a quanti ascoltano le trasmissioni di celebrazioni religiose, le Sante Messe trasmesse in tv, le liturgie presiedute dal Papa, come la seguitissima Via Crucis del Colosseo, la voce di Orazio Coclite sarà divenuta sicuramente familiare. Una voce profonda, melliflua, che espone i commenti liturgici in una forma intensa, coinvolgente, che San Giovanni Paolo II definì: “Un dono di Dio” e in quanto tale “da mettere al servizio degli altri”.

In questi giorni Orazio Coclite, giornalista di Radio Vaticana prestato alla Rai, è a Taranto per commentare le Sante Messe celebrate nella Cattedrale di San Cataldo e trasmesse da Rai Uno. La prima, presieduta dall’arcivescovo Filippo Santoro, è stata celebrata domenica scorsa, la prossima sarà celebrata dal parroco della Cattedrale, monsignor Emanuele Ferro, la mattina della festa di Ognissanti.

Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e scambiare con lui qualche battuta.

Quali segni offrono a suo parere, la Cattedrale e il cappellone, della religiosità locale?

Devo dire che questa mattina ho voluto visitarla da solo per osservarla con più attenzione e mi sono reso conto che la bellezza di questa cattedrale è qualcosa di straordinario. Ho visto che la chiesa ha diverse fasi e molti rimaneggiamenti. L’ubicazione sorprende, per com’è compressa nella città vecchia, non godendo di una vasta piazza davanti alla facciata, però è di una bellezza rara e devo dire che, assieme a Taranto, andrebbe scoperta nella sua integralità. Anche la scalinata e la chiesa di San Domenico sono sorprendenti e vedo che ci sono molti turisti per le strade, questo porta a dire che la cattedrale andrebbe valorizzata ancora di più. Ma che anche la fede andrebbe maggiormente manifestata dalla gente.

Pensa che l’isolamento della città, come di tutto il Sud, nel corso dei secoli, abbia nuociuto alla sua valorizzazione? Quanto al santo patrono, Cataldo, il cui culto era molto diffuso tanti secoli fa, le risulta, per le sue conoscenze, che sia sufficientemente conosciuto?

Devo dire, a questo proposito, che di solito, dopo la mia diretta, ricevo una marea di messaggi da parte di ascoltatori che commentano, in genere, la celebrazione, la liturgia, i canti, i luoghi… Ebbene, molti sono rimasti impressionati dalla bellezza dei luoghi che la regia ha valorizzato e si sono ripromessi di venire a vedere la Cattedrale e il cappellone. Posso ancora dire, come testimonianza, che tutta la celebrazione è stata molto apprezzata. Per quanto riguarda il santo… molti si chiedevano, e ci chiedevano, notizie, non avendolo mai sentito… però, come mi diceva Giovanni Paolo II, che per me è stato un grande maestro: “Non fare mai graduatorie di santi, perché sono tutti uguali”.

Devo anche confessare che, fermatomi a pregare un po’ di tempo davanti alla sua statua d’argento, ho visto sfilare gente, ma attratta dalla bellezza dei luoghi legati al santo, che forse non conoscevano. Quando mi sono inginocchiato a pregare mi guardavano come per chiedermi che stessi facendo, come se quello fosse solo un luogo museale. Forse il fatto di essere meridionali (io stesso sono calabrese e quindi legato a san Francesco di Paola), ci ha un po’ tagliati fuori, ci ha reso più dimessi. Ma ciò non capita certo a San Giovanni Rotondo.

Che effetto le fa entrare nelle case della gente? Ne sente la responsabilità?

Certo. So benissimo di entrare nelle case delle persone malate, dei sofferenti, di anziani immobilizzati… e so che devo saperci entrare, in punta di piedi, con grande responsabilità. Noi uomini di Chiesa dovremmo tutti essere consapevoli della nostra missione e guardare con attenzione costante e tanta fede al compito che ci attende. Dando il primato al “messaggio” e svolgendo il nostro lavoro con misura e sobrietà.

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Mondo

Tragedia di Halloween a Seul, vescovi coreani: “Autorità competenti indaghino a fondo sulle cause”

foto Ansa/Sir
31 Ott 2022

È il giorno del lutto e delle polemiche oggi in Corea del Sud a quasi 24 ore dalla tragedia di Halloween che ha portato a un bilancio – ancora provvisorio – di 154 morti. Rimane ancora senza risposta l’interrogativo su come un simile disastro sia potuto accadere in una zona della capitale, Itaewon, nota per la sua vita notturna. A chiedere chiarezza su quanto accaduto sono anche i vescovi cattolici del Paese. In una nota diffusa dalla Conferenza episcopale coreana e firmata dal segretario generale padre Cheol-su Lee, i vescovi scrivono: “Affidiamo alla misericordia di Dio le vittime che purtroppo hanno perso la vita nella tragedia avvenuta a Itaewon, Seoul, sabato 29 ottobre. Porgiamo le nostre più sentite condoglianze alle famiglie in lutto e preghiamo anche per la pronta guarigione e la pace dei feriti”. Unendosi a quanti stanno chiedendo di fare chiarezza su cosa abbia scatenato il panico e la ressa in cui sono rimasti schiacciati e soffocati i giovani ammassati oltre il limite e in vicoli stretti e senza via di fuga, anche i vescovi osservano: “Dobbiamo sforzarci di spezzare la catena dell’ingiustizia e dell’irresponsabilità che è diventata una pratica comune in questa società. Per farlo, dobbiamo prima essere fedeli ai nostri rispettivi ruoli. In particolare, per la pace e la sicurezza delle persone, le autorità competenti devono esaminare a fondo la causa e il percorso di questa tragedia e garantire che l’irresponsabilità e l’oblio non si ripetano”. L’auspicio dei vescovi cattolici è che si faccia il possibile perché “non ci siano più simili tragedie che colpiscono tante persone, soprattutto giovani”. “La vita e la dignità umana sono i valori più preziosi e nulla nella nostra società può avere la precedenza su di essa”. “In Dio, che è l’autore della vita e la fonte della misericordia – conclude la nota dell’episcopato coreano – la Chiesa cattolica in Corea prega per le vittime di questa tragedia e promette di condividere il dolore nei lutti e di camminare insieme”. Al coro dei vescovi si è unito anche l’arcivescovo di Seul. “In memoria di tutte le vittime – ha detto mons. Peter Chung Soon-taek -, mi auguro sinceramente che non si ripetano più queste tragedie”.

 

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Politica internazionale

Brasile: Lula è presidente per la terza volta

Luis Inácio Lula da Silva a 77 anni torna alla presidenza del Brasile dopo i due mandati dal 2002 al 2010, avendo sconfitto di misura il presidente uscente Bolsonaro

foto Ansa/Sir
31 Ott 2022

di Bruno Desidera (*)

“Lulinha paz e amor” è uno dei soprannomi con cui è conosciuto Luis Inácio Lula da Silva, che a 77 anni torna alla presidenza del Brasile per un terzo mandato, dopo i due dal 2002 al 2010, avendo sconfitto di stretta misura il presidente uscente Jair Bolsonaro (50,9 per cento contro 49,1 per cento). La differenza è stata di circa due milioni di voti, rispetto ai sei che separavano i due contendenti dopo il primo turno, in quella che è stata la campagna elettorale più incerta e “cattiva” di sempre, costellata anche ieri da polemiche e alcuni episodi di violenza.

Di “pace e amore” ne serviranno tonnellate, per provare a riportare un po’ di calma in un Paese spaccato in due,nel quale la destra (non sempre e non necessariamente “bolsonarista”) ha messo più radici di quello che si pensava, come mostra anche l’esito delle elezioni per i governatori. E anche stavolta, per il ballottaggio, il dato di Bolsonaro è stato sottostimato dai sondaggi. Per un soffio, al presidente uscente non è riuscita la clamorosa rimonta. Lula dovrà pilotare il Paese con una coalizione variegata, con un Parlamento in cui la destra è maggioranza e avendo contro la maggior parte dei Governatori. Anche per un “seduttore nato”, come lui, sarà durissima.

Da Lula nel suo primo discorso, è arrivato un messaggio di unità, di “paz e amor”, appunto. “Non esistono due Brasile”, ha affermato. Bolsonaro, invece, non si è ancora pronunciato, e non si è congratulato con il suo rivale, preferendo “andare a dormire”. E non manca un po’ di inquietudine per quello che potrà succedere oggi, dopo le scene degli ultimi giorni (ha fatto il giro del mondo, per esempio, il video della deputata Carla Zambelli che insegue brandendo una pistola un simpatizzante di Lula, per le strade di San Paolo).

La strategia di dividere la Chiesa. La divisione ha toccato, in modo profondo, anche l’appartenenza religiosa e la stessa Chiesa cattolica. Non nasconde la sua preoccupazione per quanto avvenuto in campagna elettorale il vescovo che più di tutti, forse, in questi mesi ha riflettuto sulla situazione politica, coordinando il gruppo di il gruppo di analisi congiunturale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile: dom Francisco Lima Soares, vescovo di Carolina (Maranhão). Il gruppo, formato da docenti ed esperti di varie discipline, ha elaborato due accurati studi sulle elezioni, uno durante la campagna elettorale e uno subito dopo il primo turno. E non ha esitato a parlare apertamente di “necropolitica”, di politica che “sfrutta” la morte. Il vescovo spiega: “Queste elezioni sono state caratterizzate da due fenomeni mai così evidenti e clamorosi, e tra loro collegati:l’uso dei social media per propagare fake-news e la strumentalizzazione della religione. È stata soprattutto l’estrema destra a tentare di spaccare la Chiesa, a piegare la devozione popolare verso la propria forza politica”. Il vescovo accenna alle decine di aggressioni, minacce, contestazioni aperte, che hanno dovuto subire in tutto il paese sacerdoti e anche non pochi vescovi e cardinali, come dom Odilo Scherer di San Paolo e dom Leonardo Steiner di Manaus. Spesso, per citare i fatti meno gravi, “singoli fedeli si alzano e apertamente contestano il sacerdote che sta parlando”. Non si tratta, spiega dom Lima, di giudicare un candidato o l’altro, ma di una propaganda oggettiva, fatta per strumentalizzare la religione, e di una strategia per dividere il Paese, anche geograficamente”.

Necessità di nuove vocazioni alla politica. Di fronte a questo, “la Chiesa, come ha fatto alla vigilia del voto il nostro presidente, dom Walmor Oliveira de Azevedo, insiste sull’unità. Se sarà confermata la vittoria di Lula, confidiamo che si possa procedere su questa strada”. Per la Chiesa “resta una grande sfida, va affrontata questa crisi etica, questo clima da guerra santa, e per questo è fondamentale suscitare tra i cattolici nuove vocazioni politiche, servono nuovi leader”.

Condivide la preoccupazione Francisco Borba, sociologo e docente alla Pontificia università cattolica di San Paolo, per la quale coordina il nucleo Fede e cultura, in collaborazione con l’arcidiocesi: “Bolsonaro nelle ultime settimane ha alzato i toni della campagna elettorale, ed è sembrato quasi in grado di rimontare. Uno degli elementi cardine di questa strategia è stata la campagna contro l’unità della Chiesa, con il rischio concreto di spaccare la Chiesa stessa, internamente. In questo momento, per i cittadini militanti, prima viene il capo-partito, e poi il Papa, i vescovi, i sacerdoti, in un clima di grande faziosità. Esiste una forte connotazione ideologica anche nel Pt, il partito di Lula, pensiamo alla mancata condanna del regime del Nicaragua. Ora, il punto di domanda è: chi educa, nella Chiesa, alla vita politica? Come riuscire a farlo?”.

La seconda constatazione offerta da Borba riguarda gli equilibri politici: “Il Paese è spaccato, ci sono anche molti cittadini confusi. I veri vincitori rischiano di essere i lobbisti”.

Ritrovato ruolo internazionale. Su un fronte, tuttavia, il ritorno di Lula appare importante, quello degli equilibri geopolitici e continentali. Ne è convinto Alfredo Luis Somoza, giornalista e analista di politica internazionale, docente all’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), che ci spiega: “Bolsonaro, in questi anni, si è limitato a flirtare con Trump e a mantenere i rapporti con la Russia di Putin. Nei decenni scorsi, con il primo Lula, il Brasile era stato il pilastro dell’integrazione del Continente, di organismi come Mercosur e Unasur. Negli ultimi quattro anni è scomparso dalla scena. Ma l’America Latina ha bisogno del Brasile! Non dimentichiamo, poi, che il Paese era stato protagonista della politica globale, con la creazione dei Paesi Brics, aveva anche avviato una politica verso l’Africa, soprattutto verso il Paesi di lingua portoghese, e con il Medio Oriente”. Contrariamente al parere di altri analisti, per Somoza, “Bolsonaro non ha inciso in profondità, se non per aspetti quasi delinquenziali, dalla gestione della pandemia a quella degli incendi in Amazzonia”. Ci sono, quindi le premesse per un ritorno del Brasile al posto che gli spetta”.

L’altro fattore continentale di notevole importanza è che, con la vittoria di Lula, quasi tutto il Sudamerica torna a essere guidato dalla sinistra, come una decina di anni fa. “Il ritorno di Lula potrebbe dare stabilità ai due nomi davvero nuovi del Continente, Boric in Cile e Petro in Colombia. Bisogna anche dire, però, che le situazioni sono molto diverse tra Paese e Paese. Ciò accadeva anche dieci anni fa, ma c’era un ‘collante’ che ora non vedo, c’era un’aspirazione comune a integrare la politica sudamericana, con un processo simile a quello europeo. Oggi non c’è un’agenda comune, e la sinistra deve affrontare non più un centrodestra liberale, ma una destra radicale”.

 

(*) giornalista de “La vita del popolo”

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Editoriale

Anche le parole vanno in guerra

(Dal film "Wargames" - Foto di archivio)
31 Ott 2022

di Emanuele Carrieri

Sono tanti quelli che ricordano la scena tratta dal film “Palombella Rossa”, diretto e interpretato da Nanni Moretti, dove il protagonista, Michele Apicella, schiaffeggia una giornalista per l’uso superficiale e grossolano di alcune forme linguistiche, urlandogli: “Le parole sono importanti!”. Le parole sono fondamentali, valgono, rappresentano uno dei grandi privilegi dell’uomo, gli consentono di comunicare, di tramandare i saperi, di suscitare le emozioni. Con le parole si fanno delle cose, come promettere, giurare e minacciare: tutte azioni che incidono sulla vita, talvolta in modo pesante, tanto che può bastare una parola per ferire, per sempre. Prendendo atto che le parole non sono una fuga di aria dalla bocca, ma si trascinano una moltitudine di significati e anche di azioni, ci si dovrebbe preoccupare non poco della recente escalation di parole attorno alla guerra in Ucraina con tanto di minacce nucleari policromatiche: la Russia che ammonisce l’Ucraina, l’Ucraina che accusa la Russia, la Russia che se la prende con gli Stati Uniti e l’intero Occidente e gli Stati Uniti che mettono in guardia la Russia. Il tutto su un sottofondo di sciabole tintinnanti che non si sentiva in modo così distinto dai periodi più difficili della guerra fredda, dalla crisi dei missili di Cuba dell’ottobre del 1962, in cui, in effetti, si andò vicini all’olocausto nucleare. Per tutta la durata della guerra fredda, la dottrina della “distruzione mutua assicurata” ha reso possibile quello che veniva definito l’“equilibrio del terrore”, cioè la consapevolezza, condivisa da Stati Uniti e Unione Sovietica, che, a un qualunque atto di guerra nucleare, sarebbe seguita una risposta talmente devastante da rendere folle l’aver intrapreso per primi le ostilità. Era un gioco – per citare un altro film, “Wargames”, diretto da John Badham e interpretato da Matthew Broderick – nel quale tutti perdevano e nessuno vinceva e che, in conseguenza di ciò, non valeva nemmeno la pena di iniziare, se non per un impulso di morte. Questa versione estrema della dottrina del bilanciamento dei poteri ci ha preservati in uno dei momenti più cupi della nostra storia recente. Solo che, con lo scioglimento del Patto di Varsavia, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la fine della sfera di influenza sul blocco orientale e della contrapposizione solitamente detta guerra fredda, il mondo è cambiato. Per alcuni versi in meglio, ma, per altri aspetti, in peggio. La situazione mondiale è diventata più fluida, più liquida, nuovi poteri regionali e anche globali, come la Cina, si sono presentati sullo scenario mondiale, una delle due super-potenze, la Russia, ha perso gran parte del suo status e del suo potere, ma non la sua capacità nucleare e l’altra, gli Stati Uniti, avvicenda momenti di disinteresse totale per tutto il resto del mondo, come durante la presidenza di Trump, a un attivismo benevolo, ma frenetico e forse impulsivo, mescolati ai sempre presenti interessi nazionali che, alla fine, sono quelli che dettano la politica estera. Se tutto il panorama geopolitico è cambiato, alla stessa stregua è cambiata la tecnologia nucleare e, purtroppo, anche la recinzione regolatrice che avrebbe dovuto controllarla e disciplinarla. Dopo moltissimi anni di enormi speranze, in realtà, gli accordi e i trattati sul disarmo perdono pian piano adeguatezza ed efficacia o, peggio, non vengono rinnovati e si assiste a una nuova corsa a produrre nuove armi di distruzione di massa. Al tempo stesso, in alcune regioni del mondo, per esempio il Medio Oriente, nuove nazioni aspirano a possedere armi atomiche, soprattutto se altri stati nella stessa area già le posseggono. Il caso di Israele e della sua mai proclamata capacità nucleare e quello del continuo slancio dell’Iran ad aggiungere l’atomica al suo micidiale arsenale è emblematico. Per non parlare dell’India e del Pakistan. E tutto alla faccia o alla salute dei trattati di non proliferazione e degli sforzi delle Nazioni unite per limitare il numero degli stati con delle capacità nucleari. Dal punto di vista della tecnologia, si è passati dai grandi missili balistici intercontinentali con testate multiple – erano l’intelaiatura dell’arsenale al tempo dell’“equilibrio del terrore” – allo sviluppo di vettori e di testate con una minore capacità distruttiva, da usare non per assicurarsi la mutua distruzione, ma all’interno di un conflitto di tipo tradizionale: è proprio questo lo sviluppo che fa più paura. Una volta svincolati dal tabù della distruzione dell’intero globo, infatti, a qualcuno può venire la voglia di provare a trarre un vantaggio da un conflitto limitato, capace di provocare un’immane distruzione, ma non di ardere il mondo, sempre che gli altri stiano a guardare. Questo è il cardine: gli altri, volenti o nolenti, non possono rimanere a guardare e l’escalation è assicurata. Questi sono i motivi perché sono sempre più preoccupanti queste continue minacce. Il rischio è che, considerato che tutti sono un piano inclinato, si arrivi a una guerra nucleare senza che nessuno ne abbia calcolato i rischi. O, peggio, ne abbia calcolato i rischi solamente per piccoli sviluppi, per modesti incrementi. Ma dallo shaker delle parole incandescenti allo tsunami di un “fungo atomico, il passo può essere molto breve e troppo veloce.

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Sport

Bella a metà: la Prisma subisce la rimonta di Padova e cede al tie break

foto Giuseppe Leva
31 Ott 2022

di Paolo Arrivo

Confermarsi senza discontinuità nel gioco e nel risultato. Divertire il pubblico che sceglie il campionato di pallavolo più importante al mondo: dopo la partita spettacolare con vittoria conquistata in rimonta a Verona, in casa della WithU, un successo frutto di una maiuscola prestazione corale (della performance dello schiacciatore italo-russo Antonov, tra i migliori), era questo l’obiettivo della Gioiella Prisma Taranto. Che ha fatto ritorno al PalaMazzola per sfidare la Pallavolo Padova nella quinta giornata della Superlega Credem Banca. Alla fine dell’incontro, la continuità non c’è stata: bella a metà, dopo aver vinto i primi due set, la Prisma ha subito la rimonta di Padova e ceduto al tie break, al termine di una battaglia durata due ore mezza. Sconfitta per 3-2 (25-19, 25-21, 21-25, 19-25, 14-16) e tanto rammarico. Perché la partita sembrava incanalata verso la vittoria, da tre punti peraltro.

Il match

Primo set combattuto. Sfruttando il turno in battuta di Gargiulo (risulterà tra i migliori, insieme a Stefani), arriva la zampata vincente degli ionici (20-17) che alzano il muro. Stesso copione nel secondo parziale. I “gioielli” allungano nel finale (25-21) blindando il risultato. Nel terzo set qualche errore di troppo per Taranto, ne approfittano gli ospiti (9-12) che crescono visibilmente nei fondamentali, e nella prestazione dello schiacciatore bulgaro Asparuhov. Il cambio di passo nel quarto parziale fa ben sperare (12-9), ma Padova non molla, sorpassa e allunga (17-22) trascinata da Petkovic. Il quale nel tie break parte a razzo (0-3). Si va al cambio campo sul 5-8. Il finale è mozzafiato: dopo aver annullato due match point agli ospiti, si torna in parità (14-14). Serve il video check per scovare il tocco a muro su una palla che avrebbe potuto portare in vantaggio i padroni di casa. Ma a far festa è Padova.

Il commento

Il centrale Gargiulo, nel post gara, sottolinea proprio l’elemento della discontinuità, come limite sul quale lavorare: “È stata una partita contraddistinta da alti e bassi, in cui non siamo riusciti ad esprimere un livello costante. Abbiamo comunque guadagnato un punto contro una squadra molto in forma in un campionato competitivo: resta l’amaro in bocca, ma questa deve essere una lezione per affrontare al meglio le prossime gare”.

 

Fotogallery by Giuseppe Leva

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Serie tv

Su Disney+ ‘Boris 4’, ritorno dell’irriverente serie cult

Occhi puntati sull’offerta streaming di fine ottobre: innanzitutto, dalla 17ª Festa del Cinema di Roma sbarca su Disney+ la serie brillante che racconta le (dis)avventure di una troupe che ambisce a entrare nell’olimpo delle piattaforme

foto: copyright Disney+
31 Ott 2022

di Sergio Perugini

Occhi puntati sull’offerta streaming di fine ottobre. Anzitutto, dalla 17ª Festa del cinema di Roma sbarca su Disney+ “Boris 4”, serie brillante e irriverente che racconta la produzione Tv oggi, le (dis)avventure di una troupe che ambisce a entrare nell’olimpo delle piattaforme. A firmare “Boris 4” sono sempre Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ricordano con tenerezza anche il collega-amico scomparso Mattia Torre. Il cast (fantastici tutti!) vede capofila: Francesco Pannofino, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti, Carolina Crescentini e Alessandro Tiberi. Su Sky e Now questa settimana si è consumato il finale di stagione della serie “House of the Dragon” (Hbo), atteso prequel del cult “Trono di Spade” (“Game of Thrones”). Ne abbiamo tracciato un bilancio. Il punto Cnvf-Sir.

“Boris 4” (su Disney+, dal 26 ottobre)
La troupe di “Boris” è tornata, finalmente! La serie tv satirica che ha raccontato il mondo della produzione televisiva generalista in chiave frizzante e anche un po’ cialtrona, dopo tre fortunate stagioni tra il 2007 e il 2010 e un’incursione al cinema nel 2011, è tornata con 8 nuovi episodi per prendere di mira le piattaforme streaming. Prodotta da Lorenzo Mieli con The Apartment – Fremantle in collaborazione con Disney+, la serie “Boris 4” è firmata come sempre da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ricordano e omaggiano anche il collega Mattia Torre, compianto regista-sceneggiatore scomparso nel 2019.

La storia. La fiction in Italia, come nel resto del mondo, è cambiata. Per i finanziamenti si guarda soprattutto alle piattaforme, dal soldo forte ma anche sotto scacco dell’algoritmo. Alessandro (Alessandro Tiberi) ha fatto carriera proprio in una delle più influenti realtà e così si batte per far decollare la nuova serie ideata da Stanis (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescentini), due rodati attori che ora hanno fondato la loro di casa di produzione, la Snip: So not italian production. La loro idea è girare “Vita di Gesù”, dove Stanis si intesta il ruolo, appunto, del Salvatore. A dirigere viene chiamato come sempre René Ferretti (Francesco Pannofino), che fa squadra con la sua fidata collaboratrice Arianna (Caterina Guzzanti) e il direttore della fotografia Duccio (Ninni Bruschetta). Perché il progetto decolli serve però il cosiddetto “lock” della Piattaforma, il raggiungimento della soglia di soddisfazione decretata dal temibile algoritmo…

copyright Disney+

Che “Boris” sia una serie acuta e graffiante è un fatto risaputo. Negli anni si è imposta come fenomeno cult quasi di matrice sociologica, venata di sfumature grottesche. La sua cifra caustica è il tratto distintivo dal quale non si può prescindere.E tale carica di provocazione non poteva mancare neanche in questa quarta stagione, come del resto fanno capire con schiettezza i due geniali autori Ciarrapico e Vendruscolo. “Boris – affermano – nel 2022 poteva ancora attaccare la buona vecchia tv per famiglie, tranquillizzante e intimamente ‘democristiana’? La risposta che ci siamo dati è che sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa. In qualche modo dovevamo far approdare i nostri improbabili protagonisti nel salotto buono della produzione internazionale di oggi: la Piattaforma”.
E così “Boris 4” si gioca tutta sulle (dis)avventure di un set sconclusionato di una serie Tv in cerca del grande salto internazionale: essere ammessa nella library di un colosso dello streaming. In verità, un colpaccio per la stessa Disney+, che sfrutta la carica comica del prodotto, lasciandosi anche prendere in giro. Una mossa di marketing di certo indovinata. Nella linea del racconto torna tutto il meglio del mondo di “Boris”, che declina il settore audiovisivo, il mondo di Cinecittà, con l’arte del vivacchiare, dove l’improvvisazione è sovrana e l’egocentrismo dilagante (i personaggi di Stanis, Corinna e Tatti Barletta ne sono la prova, che Sermonti, Crescentini ed Edoardo Pesce rendono alla perfezione, da applauso!).

Linea tematica che si aggiunge in questa quarta stagione è il colossal storico-religioso, appunto la vita di Gesù, topos-genere ricorrente tra cinema e Tv. Ovviamente, questo avviene secondo la maniera di “Boris”, con la cifra dello sberleffo e dell’ironia a briglia sciolta. Non c’è però mancanza di rispetto verso le figure bibliche o la dimensione religiosa, perché quello che “Boris 4” ridicolizza è l’uomo di oggi e la troupe sul set, marcatamente sciatti, superficiali e incolti. Un campionario umano tragicomico e disgraziato, di cui si ride, ma che non si può fare a meno di amare a livello spettatoriale. Sono un’allegoria deformata del nostro presente, delle nostre piccolezze e superficialità diffuse.Nell’insieme possiamo affermare che “Boris 4”, a dieci anni dall’ultimo ciak, non ha perso né smalto né graffio, tutt’altro: una comicità che trova ancora senso e posto nel panorama Tv odierno. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.

“House of the Dragon” (su Sky e Now)
Lunedì 24 ottobre, in linea con gli Stati Uniti, su Sky e la piattaforma Now è calato il sipario sulla prima stagione di “House of the Dragon”, prequel targato Hbo dell’acclamata serie “Il Trono di Spade” (“Game of Thrones”, 2011-19, 8 stagioni), a firma dello scrittore George R.R. Martin. Partita lo scorso 22 agosto (rilanciando 1 episodio a settimana, 10 in tutto), “House of the Dragon” ci riporta nel Medioevo fantasy di Westeros, dove l’umanità è inghiottita dalla vertigine del potere e della violenza. Una metafora potente del nostro presente, di una società preda di ambizioni sfrenate e di un egocentrismo esasperato.

La storia. A circa 170 anni prima della nascita della principessa Daenerys Targaryen, sul Trono di Spade siede re Viserys Targaryen (Paddy Considine). Una reggenza che traballa per il poco mordente del sovrano, ma soprattutto perché manca un erede maschio: Viserys è costretto a nominare come erede la figlia Rhaenyra (Emma D’Arcy). Quando il re si sposa in seconde nozze con la giovane Alicent Hightower (Olivia Cooke), in casa Targaryen arrivano finalmente due maschi, Aegon II ed Aemond. Ed è lì che si (ri)apre la partita per la corona. Spietata.

Sky_Italia_Copyright_HBO

Linea tematica in evidenza nel racconto è il protagonismo femminile:“House of the Dragon” ruota attorno al legame-contrapposizione tra due donne, la principessa Rhaenyra e la regina Alicent. Prima amiche, poi rivali, poi parenti, infine madri protettive e sanguinarie. Rispetto al “Trono di Spade”, va sottolineato che in questo prequel l’attenzione riservata ai personaggi femminili è decisamente superiore. Le figure maschili sbiadiscono all’orizzonte senza troppa consistenza, fatta eccezione per il principe ribelle Daemon (Matt Smith, sempre efficace, mettendo a segno un altro ruolo iconico dopo Doctor Who e il principe Filippo in “The Crown”).

La cornice visiva-stilistica è rimasta immutata: “House of the Dragon” somiglia infatti molto al “Trono di Spade”, marciando sullo stesso affascinante e magnetico binario.Scenografie, ambientazioni, costumi e musiche (bellissime, firmate sempre da Ramin Djawdi) conquistano per eleganza e accuratezza. Punto di fragilità della serie, firmata dagli showrunner Ryan Condal e Miguel Sapochnik (quest’ultimo ha rimesso però l’incarico), risiede invece nella linea narrativa: si sente troppo l’apparentamento con la serie originale, con il “Trono”, al punto da rimanere imbrigliata in un racconto che stenta a decollare, risultando di fatto di respiro corto. Nei 10 episodi sembra di essere in perenne attesa che qualcosa accada, che la situazione svolti o precipiti all’improvviso, un’attesa che non trova mai piena soddisfazione, risolvendosi in soluzioni sì acute e ricercate, ma senza troppo senso o pathos. A latitare sono incisività e originalità, preferendo la scialba comfort zone del “Trono”.Peccato, perché la confezione formale è pregevole ed elegante, superiore alla media di altre serie, frutto di un cospicuo investimento produttivo. Serie complessa, problematica, per dibattiti.

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Angelus

La domenica del Papa – Quando è questione di sguardi

Lo sguardo di Dio, afferma Francesco, “non si ferma mai al nostro passato pieno di errori, ma guarda con infinita fiducia a ciò che possiamo diventare”

foto Vatican Media/Sir
31 Ott 2022

di Fabio Zavattaro

Due sguardi che si cercano: da una parte Zaccheo che cerca il rabbi di Galilea; dall’altra Gesù che cerca il volto di quell’uomo su un albero di sicomoro. Non uno stinco di santo, il pubblicano Zaccheo di Gerico, capo dei pubblicani, degli esattori dei tributi che i giudei dovevano pagare ai romani; non godeva di buona fama nella sua città, tutti lo conoscevano e tutti ne avevano timore. I pubblicani spesso approfittavano della loro posizione per estorcere denaro alla gente e per questo erano considerati pubblici peccatori. Zaccheo si faceva vedere raramente in giro, ma quel giorno non poteva non uscire. La gente di Gerico – città antichissima con i suoi 8 o forse 9 mila anni di storia – si accalcava sulle strade per vedere Gesù, e lui voleva essere tra i primi a incontrarlo. Lui che con i soldi aveva sempre comperato tutto, quel giorno non riesce a conquistare la prima fila. Allora sale su un albero. Si sistema bene tra i rami e guarda, cerca il rabbi di Galilea che tutti vogliono toccare. Ha un posto privilegiato, ancora una volta. Lui vuole vedere, cercare quel volto, ma è Cristo che lo cerca, lo vede e gli dice: “Zaccheo scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”.
Che sorpresa: lui, un pubblicano, scelto tra tanti, forse, avrà pensato, proprio per il suo ruolo nella comunità. Anche per la gente di Gerico è una sorpresa: Cristo che predica bene ma razzola male, va a casa di un peccatore; parla di povertà e va a mangiare a casa del ricco ladro. Ma Cristo rompe il cerchio e va al di là gli schemi ovvi: d’altra parte, non ha detto che è venuto proprio per i peccatori? “Il figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, leggiamo in Luca.
Nei Vangeli, nella Bibbia si incontrano peccatori: Giacobbe, ad esempio, era un traditore, Pietro un pescatore irascibile; David un adultero, Giona un ateo, Paolo un persecutore dei cristiani. Zaccheo, il pubblicano, sente il bisogno di “cercare un altro sguardo”, dice papa Francesco all’Angelus, e “aspetta qualcuno che lo liberi della sua condizione, moralmente bassa, che lo faccia uscire dalla palude in cui si trova”.
Zaccheo, “piccolo di statura”, è sul sicomoro e Gesù lo cerca, gli dice di scendere, di aprire la sua casa; per vederlo deve alzare lo sguardo. Afferma Francesco: “Dio non ci ha guardato dall’alto per umiliarci e giudicarci; al contrario si è abbassato fino a lavarci i piedi, guardandoci dal basso e restituendoci dignità”. Questo incrocio di sguardi per il vescovo di Roma, riassume “l’intera storia della salvezza: l’umanità con le sue miserie cerca la redenzione, ma anzitutto Dio con misericordia cerca la creatura per salvarla”. Lo sguardo di Dio, afferma il papa, “non si ferma mai al nostro passato pieno di errori, ma guarda con infinita fiducia a ciò che possiamo diventare. E se a volte ci sentiamo persone di bassa statura, non all’altezza delle sfide della vita e tanto meno del Vangelo, impantanati nei problemi e nei peccati, Gesù ci guarda sempre con amore; come con Zaccheo ci viene incontro, ci chiama per nome e, se lo accogliamo, viene a casa nostra”.
L’invito di Francesco è duplice: da un lato chiede di guardare noi stessi e di cercare l’incontro con Gesù quando ci sentiamo inadeguati e ci rassegniamo; dall’altro, ci chiede quale “sguardo abbiamo verso coloro che hanno sbagliato e faticano a rialzarsi dalla polvere dei loro errori? È uno sguardo dall’alto, che giudica, disprezza, che esclude?”.
Per il papa “è lecito guardare una persona dall’alto in basso soltanto per aiutarla a sollevarsi. Ma noi cristiani dobbiamo avere lo sguardo di Cristo, che abbraccia dal basso, che cerca chi è perduto, con compassione”. Questo è lo sguardo della Chiesa.
Angelus nel quale Francesco, dopo la recita della preghiera mariana, ha parole per condannare l’attentato terroristico che a Mogadiscio ha ucciso più di cento persone, tra cui molti bambini: “Dio converta i cuori dei violenti”. Prega ancora, per le centinaia di vittime, soprattutto giovani, mentre, nella notte di Seul, festeggiavano lungo le strade della città. E prega sempre per la “martoriata Ucraina. Preghiamo per la pace, non ci stanchiamo di farlo”.

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Sport

“Endurance Kart Città di Taranto”, in gara per riassaporare e rivivere i vecchi ricordi

29 Ott 2022

di Paolo Arrivo

Rispolverare gli antichi fasti motoristici di un territorio che ha avuto un legame speciale con questa disciplina. È l’obiettivo dell’evento “Endurance Kart Città di Taranto”. Che si terrà domenica 4 dicembre presso Parco Cimino. Ad organizzarlo lo “Joni-CO Team”, con la collaborazione di Pista Fanelli e Asd Racing Sport.

LA COMPETIZIONE- L’evento, che ha il patrocinio del Comune di Taranto, consiste in una spettacolare gara di Endurance a squadre a bordo di kart quattro tempi di 270 c.c. di cilindrata. Avrà una durata di 4 ore. Dieci gli equipaggi impegnati, ciascuno composto da un massimo di sei piloti. La competizione è regolamentata dall’ACI Sport con regole capaci di assicurare la sicurezza lungo il percorso di gara.

AMARCORD, TRA PASSATO E PRESENTE- “I percorsi cittadini riecheggiano vecchi ricordi sportivi nei quali i piloti correvano a stretto contatto con il pubblico. Questo sarà possibile riviverlo in piena e totale sicurezza nel rispetto delle normative”. Così il responsabile tecnico dello Joni-CO Team Massimo Castellano introduce l’atteso evento. Oltre al tema della sicurezza, più volte rimarcato, il promotore dell’iniziativa aggiunge che i mezzi di gara sono messi a disposizione dalla Palmisano Karting.

Massimo Castellano

Con l’Endurance Kart Città di Taranto, che sarà iscritta al calendario ufficiale nazionale “Aci Sport”, si riaccende l’interesse verso questa disciplina. Qualsiasi evento creato, anche al di fuori del capoluogo ionico, della regione, è frutto della passione dei piloti. L’auspicio già espresso da Massimo Castellano è di raggiungere traguardi sempre più prestigiosi. Queste manifestazioni in primo luogo hanno il merito di chiamare a raccolta i piloti migliori, i più forti in circolazione, a livello internazionale. L’auspicio è che possa essere una bella mattinata di sport. E particolare: il rombo dei motori, nel piazzale antistante Cimino, farà da contraltare alla quiete respirabile dentro il parco, a due passi dal Mar Piccolo.

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Diocesi

Gmm: la storia dell’amicizia tra la diocesi di Taranto e quella di Zacapa (Guatemala)

29 Ott 2022

In questo video intervista, realizzato dalla TV San Pedro Apóstol di Zacapa e proiettato durante la veglia in preparazione alla giornata missionaria mondiale, don Mimino Damasi e don Luigi Pellegrino ripercorrono la storia dell’amicizia tra la nostra diocesi e quella di Zacapa in Guatemala e sottolineano l’importanza di una sensibilità missionaria per la nostra comunità ecclesiale.

L’intervento di don Edwin Portillo, vicario generale della diocesi guatemalteca, mette l’accento sul reciproco arricchimento generato da questo rapporto. Don Mimino è attualmente in Guatemala mentre don Luigi è stato fidei donum per 9 anni.

La missione in Guatemala rappresenta una ricchezza da valorizzare per la nostra diocesi e questo mese missionario è proprio l’occasione giusta per sollecitare, attorno a questa importante espressione della nostra Chiesa diocesana, attenzione e vicinanza.

 

 

 

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Società

È Martha Inés Romero (Colombia) la nuova segretaria generale di Pax Christi International

foto Pax Christi
28 Ott 2022

È Martha Inés Romero la nuova segretaria generale di Pax Christi International, il movimento cattolico mondiale per la pace e la nonviolenza. Entrerà in carica il 1° gennaio 2023. Ad annunciarlo è una nota di Pax Christi International. Con sede in Colombia, Martha Inés ha servito il Movimento per oltre 15 anni, incluso un mandato nel consiglio internazionale. Attualmente è la coordinatrice regionale per l’America Latina e i Caraibi, incarico che continuerà a ricoprire. “Sono onorata dell’opportunità di guidare Pax Christi International in questo momento difficile”, ha affermato Romero. “Non vedo l’ora di ascoltare e imparare dai nostri membri e partner impegnati in tutto il mondo. La diversità nel nostro movimento è la nostra principale forza, da cui possiamo attingere mentre trasformiamo le comunità attraverso la giustizia, la pace e la nonviolenza”. Martha Inés Romero sostituirà il Segretario Generale uscente Greet Vanaerschot, che va in pensione dopo 40 anni di servizio con diversi incarichi in Pax Christi International. Martha Inés si descrive come una “umile studentessa per tutta la vita” e porta una ricca esperienza di lavoro in tutte le Americhe e con partner globali. Ha studiato trasformazione dei conflitti presso il Kroc Institute for Peace (Usa) ed è stata membro del Catholic Peacebuilding Network. Ha contribuito alla trasformazione dell’insegnamento cattolico attraverso la promozione di una cultura di pace, nonviolenza e riconciliazione, prima nella Catholic Relief Services, contribuendo alla rete Caritas Internationalis, e poi in Pax Christi International, attraverso la partecipazione ai processi sinodali e alla Laudato Si’ Action Platform.

 

 

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