Mons. Santoro: “Il seme dell’amicizia è l’unico che dà frutti durevoli contro l’individualismo”
A colloquio con l’arcivescovo in occasione dell’avvio del nuovo anno pastorale. L’attenzione ai giovani e il ruolo delicato dei giovani sacerdoti. La politica divisa in tribù e il ruolo fondamentale dei credenti
In occasione del pellegrinaggio diocesano a San Giovanni Rotondo che segna l’avvio del nuovo anno pastorale per la diocesi, abbiamo rivolto alcune domande di approfondimento all’arcivescovo, Filippo Santoro.
Prima di addentrarci nei temi del nuovo anno pastorale proviamo a fare un po’ di bilanci. Quello che ci lasciamo alle spalle è stato un tempo complicato un po’ per tutti, tempo di cambiamenti a volte traumatici. A livello planetario abbiamo vissuto il dramma del covid, per altro ancora presente, ora la guerra in Ucraina, con le sue pesanti conseguenze economiche. Poi è arrivata la crisi di governo. Anche a livello locale abbiamo vissuto una crisi politica, conclusasi con l’elezione della nuova giunta comunale. Come vede la situazione dalla sua ottica di pastore?
Mentre la crisi mostra, a livello nazionale, tutta la sua gravità e ci mette di fronte a problemi concretissimi, come il costo del gas, il rincaro delle bollette e così via, a livello locale ci sono nuove opportunità, anche grazie all’intervento dell’Europa, che però sono ancora in attesa di piena attuazione. Ma direi che, nel piano sociale più generale, assistiamo a segnali di ripresa, per la città e il territorio che si stanno risvegliando dal covid, e questo vale anche per la nostra società, per i comuni della nostra diocesi: è come assistere al risveglio di un nuovo desiderio di protagonismo. Ma si nota anche a uno spirito nuovo nella vita cittadina, nelle nostre associazioni, che però attendono un’azione più coerente anche dal punto di vista politico. È evidente che, sulle questioni sociale, ambientale ed educativa, ci vuole una svolta vera, per dare origine a un processo di produzione che non sia legato al ciclo del carbone, ma alle nuove energie alternative che forniscano nuove opportunità lavorative, che evitino per i nostri giovani la necessità di emigrare. È indispensabile un’attenzione molto più alta alla formazione, alla cultura, alla scuola.
La Chiesa di Taranto ha vissuto, con la Settimana sociale, dei momenti molto intensi. Tutto questo ha lasciato una traccia nelle comunità locali, nelle parrocchie, nelle associazioni? Il seme piantato porterà dei frutti?
A livello di comunità di base la Settimana sociale è stata un grande momento sinodale, a dimostrazione che quando lavoriamo insieme facciamo bene le cose, con le nostre parrocchie e le associazioni. Ci sono stati 150 volontari di tutti i movimenti, i gruppi e le associazioni, si è respirata un’immagine della nostra arcidiocesi inserita nella vita della Chiesa italiana. Poi su temi profetici, come: il pianeta che speriamo, l’ambiente, il lavoro, il futuro, i giovani, c’è stata un’attenzione costante. I giovani erano un terzo dei partecipanti all’evento ed è stato un fattore significativo e su questi temi c’è una ripresa d’interesse a livello locale. Quello che a me sembra di debba sviluppare è proprio l’approfondimento dello specifico dell’identità cristiana portatrice dell’annuncio che viene dalla passione, morte e resurrezione di Cristo, l’esperienza del Mistero come un fatto nuovo che sconvolge la vita, dono dello Spirito che ci tocca, ci raggiunge e ci trasforma. È il modello proposto dal papa e dalla Cei nella sinodalità e che si sta sviluppando in questo periodo. Noi abbiamo già mandato contributi a Roma per il prossimo sinodo dei vescovi, e ora c’è un secondo anno di lavoro che portiamo avanti.
Veniamo ai temi del nuovo anno pastorale.
Noi partiamo da una pericope biblica che si riferisce al brano del Vangelo di Luca su Betania: il confronto tra Marta e Maria, anche perché a livello di Cei l’immagine che si è proposta è proprio quella definita: “Cantieri di Betania”. Che ci suggerisce un modo di essere e di lavorare. I temi fondamentali li ho così sintetizzati in tre temi concettuali: un primo tema che è quello dell’Amicizia, a partire proprio dall’amicizia tra Gesù, Marta, Maria e Lazzaro. Il clima da cui si parte è proprio la vicinanza di Gesù, che si manifesta anche, in un primo momento, nella risposta a Marta, che entra in dialogo con Gesù rimproverandolo perché inviti la sorella ad aiutarla nelle sue mansioni, ma ottenendo da Gesù una risposta chiara: “Marta, tu ti agiti e ti affanni per molte cose, ma di una sola cosa hai bisogno e Maria ha scelto la parte migliore”. Il bisogno fondamentale per Marta come per ogni uomo è il bisogno di un significato, di qualcosa che illumini e sostenga la vita. È proprio in un clima di amicizia che si scoprono i bisogni più grandi della nostra esistenza. Tutta una particolare attenzione è rivolta, perciò, a questo aspetto. È chiaro che proprio in questo clima di amicizia avviene la resurrezione di Lazzaro. In quell’evento, raccontato dal Vangelo di Giovanni al capitolo 11, c’è una posizione più matura di Marta che, all’inizio, mostrando lo stesso temperamento, si rivolge a Gesù, dicendogli che se fosse stato lì, Lazzaro non sarebbe morto, ma poi riconoscendo la sua onnipotenza. Gesù le chiede se crede che lui è la risurrezione e la vita e Marta gli risponde di sì: “Credo che tu sei il figlio di Dio”. Un’affermazione che va al cuore della questione. Marta va a fondo, non si ferma alle attività ma insiste sul “come” e sul “cosa”. E questo affondo non avviene se non dentro un clima di amicizia.
Un monito che si trasferisce alla Chiesa locale.
Naturalmente. Perché è importante sviluppare nelle nostre comunità un clima di solidarietà e di amicizia, tra le persone, i movimenti, le associazioni, tra sacerdoti e fedeli. Una possibilità di scoprire rapporti più semplici, diretti in cui riaffermare l’essenzialità bel bisogno spirituale, come ha fatto il Signore, che da amico ha corretto Marta e ha risuscitato Lazzaro e ha detto a Maria quel era il punto fondamentale.
La seconda parola tematica è: Sinodalità, che la Cei ci propone in questo tempo. E qui enumero tre aspetti di questo lavoro sinodale che la Cei chiama Cantieri di sinodalità. Indico la sinodalità della strada e del villaggio, vale a dire: interessarci della vita quotidiana in cui siamo immersi; il cantiere dell’ospitalità e della casa, cioè dell’accoglienza; il cantiere delle diaconie cioè del rendersi attenti, servitori, accoglienti. Pensiamo ancora una volta all’accoglienza dei senzatetto, degli emigrati ucraini, dei migranti nordafricani. Un terzo tema è l’immagine della Chiesa come Sacramento per il mondo, una funzione di segno di un realtà diversa per tutto il mondo. Ed è qui che si sviluppa il tema missionario.
A proposito dell’amicizia sociale coinvolgente, non ritiene che il laicato cattolico debba essere più protagonista, più visibile quando si affrontano le questioni sociali? A volte si coglie una certa ritrosia, o pudore, nell’intervenire in questioni sociali, morali, anche politiche, come indica anche la Cei?
Sicuramente. Ma prima ancora della Cei, è il papa che parla nella “Fratelli tutti” di amicizia sociale, perché l’amicizia non significa stare bene insieme, ma creare un legame forte perché il maggior ostacolo, in questi anni, è l’individualismo. L’amicizia è apertura, accoglienza, condivisione, perciò è un tema fondamentale. E allargandolo a 360 gradi diventa anche amicizia sociale, protagonismo nella vita pubblica. Certo, la Settimana sociale ha dimostrato che quando ci si incontra e si lavora seriamente si costruiscono cose buone. Abbiamo ragionato sull’ambiente, sul recupero degli “scarti”, sulle energie alternative. Oggi nella politica si assiste all’inquietante fenomeno delle tribù e noi dobbiamo invece essere segno di unità e costruzione. Mi rendo purtroppo conto che oggi, anche di fronte alle prossime elezioni, diventa difficile orientarsi al voto, perché c’è grande frammentazione.
A questo proposito lei ha scritto un articolo sull’“Avvenire”, nel quale tra l’altro rimprovera i politici di scarsa attenzione alla questione giovanile.
Nel quale sostengo proprio che l’aspetto che meno è trattato da tutti i partiti è quello dell’educazione, vera Cenerantola nei loro discorsi. L’altro aspetto pochissimo trattato è proprio quello della giovanile: così, con questa “amnesie politiche” non si costruisce il futuro, mentre è fondamentale la funzione educativa. In questo clima, noi siamo chiamati a essere Sacramento per il mondo, fermento di novità per il nostro territorio, perché le promesse che stiamo raccogliendo non rimangano solo promesse.
A volte, da giornalisti, siamo costretti anche a fare domande un po’ scomode, accogliendo segnali che ci vengono dal territorio. Come mai, molti si chiedono, si assiste alla scelta di giovani sacerdoti che, avendo ricevuto incarichi pastorali di una certa importanza, si tirano fuori, chiedono periodi di pausa o passano a incarichi più marginali, come se volessero scrollarsi di pesi gravosi?
Si tratta di casi molto limitati. In genere assistiamo all’operato di giovani sacerdoti che, messi a lavorare in parrocchie importanti, danno il meglio di sé. Costruiscono bene sia su Taranto come, ad esempio, su Martina Franca e in altre realtà. Poi ci sono anche casi di evoluzioni personali di fronte alle quali dobbiamo avere tutta l’attenzione e il rispetto. Certo, questo è un riflesso, anche se in casi ridotti, della grande questione dell’individualismo che si va affermando. Però c’è sempre un tempo di maturazione, di cammino e di crescita per le persone, testimoniato da tanti interessi positivi, particolarmente nei sacerdoti più giovani. Non facciamo nomi ma è evidente che parrocchie un po’ addormentate si sono svegliate proprio per l’azione di sacerdoti nuovi e di giovani che danno tutto per l’annuncio di Cristo e per la costruzione di una comunità viva.
D’altra parte un significativo numero di giovani sacerdoti sembra arrivare da parrocchie e territori dove maggiore è lo spirito di comunità.
Il cuore da cui sbocciano vocazioni sacerdotali vive, costruttive è proprio un’esperienza di parrocchia vivace, spalancata sul territorio che si lancia nell’annuncio della solidarietà. Tutte le espressioni della Caritas della diocesi sostenute dal Banco alimentare, che hanno dato un volto alla nostra Chiesa come protagonista nel tempo della pandemia, ne sono una dimostrazione.
Per concludere, vorrei chiederle del suo incarico per i Memores Domini e di quanto impegno le richiede.
Beh, quando ho ricevuto l’incarico ho detto a papa Francesco che guidavo una grande diocesi a lui mi ha risposto: “Assieme a quello, fai anche questo!”. L’attività naturalmente è aumentata ma è come se questo lavoro mi facesse andare al fondo della vocazione: i Memores Domini sono laiche e laici che dedicano tutta la vita al Signore, nell’esperienza della verginità e della povertà. Non fanno i voti perché don Giussani ha detto che già nel battesimo c’è tutta l’essenza della vita cristiana che con la forza dello Spirito ci fa testimoni nel mondo, ma vivono la fede con profondità assoluta. Per cui andare al cuore della vocazione cristiana vissuta come fanno i Memores Domini, non nelle parrocchie ma nella professione, nell’attività, nel mondo, è come farsi espressione di una spinta per tutta la nostra diocesi a essere solleciti a capire come la fede diventa presenza attiva profetica in mezzo alla gente.