60 anni dopo, il Concilio ancora da attuare? Giriamo la domanda a due sacerdoti
Sessant’anni: un periodo che, nella vita bimillenaria della Chiesa, può sembrare breve, ma che diventa lungo se lo si misura con la velocità della dinamica sociale e dei cambiamenti che hanno coinvolto l’umanità nello stesso periodo. Così il giorno inaugurale del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’11 ottobre 1962, può apparire ancora vicino, nei ricordi dei meno giovani che rivedono la paterna figura di san Giovanni XXIII rivolgersi alla luna e inviare un bacio a tutti i bambini del mondo, ma volte anche “lontano”, se si pensa all’esito delle indicazioni e sollecitazioni dettate dai padri conciliari.
Noi proviamo a improvvisare un commento di come il Concilio sia stato accolto e attuato e lo facciamo con l’aiuto di due autorevoli interlocutori monsignor Franco Semeraro, già parroco di San Martino e autore di un importante volume riguardante proprio l’accoglimento del Concilio nella nostra diocesi, e di don Ciro Santopietro, docente di Teologia fondamentale e Teologia delle religioni all’Istituto superiore metropolitano di scienze religiose Giovanni Paolo II.
A monsignor Semeraro abbiamo chiesto:
Alla luce dei sessant’anni e del lavoro che tu hai fatto proprio sull’accoglienza e attuazione del Concilio, credi che sia stata giusta eco alla ricorrenza e, soprattutto, giusta attenzione ai dettati del Concilio?
Il Concilio è stato il più grande avvenimento della Chiesa di questi ultimi secoli; dobbiamo riandare al Concilio di Trento del 1500 per ritrovare un evento del genere, ma l’impatto, dopo il primo momento di entusiasmo e di visione nuova, è andato lentamente scemando, soprattutto nelle nuove generazioni, sia laicali che presbiteriali. Esso diventa oggetto di studio nei seminari, come un fatto storico che è accaduto, ma non impegno di vita, di dinamismo ecclesiale. Questa è una grave ferita sull’arazzo immenso che il Vaticano II ha prodotto.
Qual è il segno più grande che avremmo dovuto cogliere e che non abbiamo colto?
Quello che Papa Francesco ci ripete sempre: una Chiesa in uscita, una Chiesa evangelizzatrice, che ripeta l’annuncio di sempre ma con un linguaggio nuovo, con una forza propositiva, con un dinamismo attento all’ascolto della precarietà del mondo d’oggi. Giovanni XXIII nel discorso al Concilio indicava: non una nuova dottrina ma un fuoco nuovo, di spiritualità nuova. Io ho l’impressione che il corpo dirigente della Chiesa, eccetto alcune eccezioni, non faccia che ripetere modi di vivere e di fare che il Concilio voleva fossero superati. Si voleva una Chiesa ricca di Spirito Santo, ricca di fuoco, ma abbiamo come l’impressione che ci sia un appannamento, una specie di velo di consuetudine, di ripetitività nell’annuncio della Chiesa.
Forse il Sinodo era un tentativo di riprendere quello stimolo, ma in che misura ci sta riuscendo?
Il Sinodo, parola che significa camminare insieme, trova difficoltà ad avere spazio nelle realtà parrocchiali, nella realtà ecclesiale. In fondo Papa Francesco ha voluto il Sinodo proprio per continuare ad accendere il fuoco del Vaticano II, ma il fuoco stenta ad alzarsi, vengono fuori delle fiammelline tenui. La mia sensazione è che vengano accese fiammelline che non alimentano il fuoco, come se fosse uno dei tanti adempimenti ecclesiastici che bisogna fare. Certo, ci sono eccezioni molto belle, anche nella realtà italiana, ma globalmente quello che si può intuire è un fuocherello che ancora non riesce a contagiare a diventare incendio
A chi spetterebbe il compito di alimentare questo fuoco?
Alla Chiesa, pastori e fedeli, per una comprensione nuova che essere cristiani significa immediatamente camminare insieme. Non esiste un potere decisionale assoluto, esiste un cammino di fede, di una Chiesa che cresce, che diventa lievito, fermento di Vangelo.
Don Ciro Santopietro non era ancora nato il giorno dell’apertura del Concilio ma sarebbe nato nell’anno della chiusura. Gli abbiamo domandato:
Guardando all’evento storico del Concilio e alla Chiesa di oggi quanto è rimasto delle indicazioni dei padri conciliari e dei loro documenti?
Il Concilio Vaticano II è un evento che certamente ha dato una svolta molto forte al cammino della Chiesa, come riforma, come rinnovamento, ma i documenti che ha prodotto, a mio avviso, vanno rivisitati per un ulteriore approfondimento, per trarre conseguenze di rinnovamento della Chiesa oggi. Il Concilio, oltre a dei contenuti rimasti un po’ eclissati, ci ha dato un metodo: essere attenti alla storia, alimentare un dialogo con il mondo per cogliere i segni dei tempi. E i segni dei tempi che in ogni fase storica ci vengono offerti sono appelli di Dio, sono luoghi teologici, ci invitano a incarnare il Vangelo nell’oggi, alla luce dei problemi e delle emergenze di oggi.
Pensi che il Sinodo sia uno sforzo di aggiornare il Concilio?
Sì, il Sinodo è un metodo che prende spunto dal metodo conciliare. Sinodo è una parola di origine greca, Concilio è di origine latina ma in pratica significano la stessa cosa, cioè: la capacità di camminare insieme, di fare comunione, ma anche di fare discernimento di quello che il Signore ci chiede oggi, in ogni momento della nostra vita e in ogni fase della storia.
Ma senti, come sacerdote e parroco, che il Sinodo viene colto nella sua importanza oppure la sua accoglienza è un po’ tiepida?
Io credo che il Sinodo nel quale Papa Francesco ha voluto incamminare la Chiesa sia un’occasione di grande importanza, ma non vi è nei suoi riguardi tutta questa attenzione, stiamo vivendo un momento di stanchezza e di smarrimento, soprattutto in Europa. È certamente un momento di sollecitazione, ma occorre esercitare la virtù della pazienza e invocare lo Spirito Santo perché il cammino sinodale sia la riscoperta del vero volto delle Chiesa che poi è: il popolo di Dio in cammino, riflesso della comunione trinitaria nella storia.