Caritas: “In Italia la ‘povertà ereditaria’: si tramanda per 5 generazioni”
In Italia, se si nasce in una famiglia povera, occorrono 5 generazioni per salire la scala sociale (la media Ocse è di 4,5 anni). Viene chiamata “povertà intergenerazionale” o “ereditaria” e si usa la metafora dei cosiddetti sticky grounds e stichy ceilings. I “pavimenti e soffitti appiccicosi” sono quelli che impediscono ai giovani di riscattarsi da situazioni sociali difficili. Sei assistiti Caritas su 10 risultano “poveri intergenerazionali”: sono rimasti cioè intrappolati nei “pavimenti appiccicosi”. Tra i nati da genitori senza alcun titolo, quasi 1 su 3 si è fermato alla sola licenza elementare. Con 5,6 milioni di poveri assoluti in Italia (il 9,4% della popolazione, pari a 1 milione 960 mila famiglie), di cui 1,4 milioni bambini (fonte Istat), l’Italia risulta anche l’ultima tra i Paesi industrializzati per mobilità sociale ed educativa: solo l’8% dei giovani con genitori senza titolo superiore ottiene un diploma universitario (la media Ocse è del 22%). Al contrario, la percentuale sale al 65% per i figli dei laureati (dati Ocse). Per i nati in famiglie poste in fondo alla scala sociale diminuiscono le chanches di salirne i gradini: il 28,9% resterà nella stessa posizione sociale dei genitori. L’Italia ha in Europa anche il triste primato dei Neet: 3 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni, pari al 25,1% del totale, che non studiano né lavorano. Sono alcuni dei dati emersi dal Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia intitolato “L’anello debole”, realizzato da Caritas italiana e presentato oggi a Roma. Tra i beneficiari Caritas i casi di povertà intergenerazionale pesano per il 59,0%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato (rispettivamente 65,9% e 64,4%). Più del 70% dei padri degli assistiti Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e il 42,8% ha invece sperimentato una “mobilità discendente”. Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale ma non trova un impiego adeguato agli studi.