A colloquio con Orazio Coclite, la “voce” Rai che entra nelle case con gli eventi religiosi
Vi è mai capitato di incontrare un voce? Beh, sicuramente vi capita molto spesso di “riconoscere” le voci, di persone, anche lontane, autorevoli o pubbliche. Presentatori, attori, politici, o doppiatori che si identificano coi miti del cinema. Ma “incontrare” quella voce e comprendere che dietro c’è una persona con tutti i suoi valori, una storia con tutta la sua esperienza, accade molto raramente. Ebbene, a quanti ascoltano le trasmissioni di celebrazioni religiose, le Sante Messe trasmesse in tv, le liturgie presiedute dal Papa, come la seguitissima Via Crucis del Colosseo, la voce di Orazio Coclite sarà divenuta sicuramente familiare. Una voce profonda, melliflua, che espone i commenti liturgici in una forma intensa, coinvolgente, che San Giovanni Paolo II definì: “Un dono di Dio” e in quanto tale “da mettere al servizio degli altri”.
In questi giorni Orazio Coclite, giornalista di Radio Vaticana prestato alla Rai, è a Taranto per commentare le Sante Messe celebrate nella Cattedrale di San Cataldo e trasmesse da Rai Uno. La prima, presieduta dall’arcivescovo Filippo Santoro, è stata celebrata domenica scorsa, la prossima sarà celebrata dal parroco della Cattedrale, monsignor Emanuele Ferro, la mattina della festa di Ognissanti.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e scambiare con lui qualche battuta.
Quali segni offrono a suo parere, la Cattedrale e il cappellone, della religiosità locale?
Devo dire che questa mattina ho voluto visitarla da solo per osservarla con più attenzione e mi sono reso conto che la bellezza di questa cattedrale è qualcosa di straordinario. Ho visto che la chiesa ha diverse fasi e molti rimaneggiamenti. L’ubicazione sorprende, per com’è compressa nella città vecchia, non godendo di una vasta piazza davanti alla facciata, però è di una bellezza rara e devo dire che, assieme a Taranto, andrebbe scoperta nella sua integralità. Anche la scalinata e la chiesa di San Domenico sono sorprendenti e vedo che ci sono molti turisti per le strade, questo porta a dire che la cattedrale andrebbe valorizzata ancora di più. Ma che anche la fede andrebbe maggiormente manifestata dalla gente.
Pensa che l’isolamento della città, come di tutto il Sud, nel corso dei secoli, abbia nuociuto alla sua valorizzazione? Quanto al santo patrono, Cataldo, il cui culto era molto diffuso tanti secoli fa, le risulta, per le sue conoscenze, che sia sufficientemente conosciuto?
Devo dire, a questo proposito, che di solito, dopo la mia diretta, ricevo una marea di messaggi da parte di ascoltatori che commentano, in genere, la celebrazione, la liturgia, i canti, i luoghi… Ebbene, molti sono rimasti impressionati dalla bellezza dei luoghi che la regia ha valorizzato e si sono ripromessi di venire a vedere la Cattedrale e il cappellone. Posso ancora dire, come testimonianza, che tutta la celebrazione è stata molto apprezzata. Per quanto riguarda il santo… molti si chiedevano, e ci chiedevano, notizie, non avendolo mai sentito… però, come mi diceva Giovanni Paolo II, che per me è stato un grande maestro: “Non fare mai graduatorie di santi, perché sono tutti uguali”.
Devo anche confessare che, fermatomi a pregare un po’ di tempo davanti alla sua statua d’argento, ho visto sfilare gente, ma attratta dalla bellezza dei luoghi legati al santo, che forse non conoscevano. Quando mi sono inginocchiato a pregare mi guardavano come per chiedermi che stessi facendo, come se quello fosse solo un luogo museale. Forse il fatto di essere meridionali (io stesso sono calabrese e quindi legato a san Francesco di Paola), ci ha un po’ tagliati fuori, ci ha reso più dimessi. Ma ciò non capita certo a San Giovanni Rotondo.
Che effetto le fa entrare nelle case della gente? Ne sente la responsabilità?
Certo. So benissimo di entrare nelle case delle persone malate, dei sofferenti, di anziani immobilizzati… e so che devo saperci entrare, in punta di piedi, con grande responsabilità. Noi uomini di Chiesa dovremmo tutti essere consapevoli della nostra missione e guardare con attenzione costante e tanta fede al compito che ci attende. Dando il primato al “messaggio” e svolgendo il nostro lavoro con misura e sobrietà.