Viaggio apostolico

Imam Akkad (Grande Moschea di Roma): “Francesco nella terra in cui si incontrano due mari, all’insegna del dialogo e della fraternità”

foto Sir
04 Nov 2022

di Maria Chiara Biagioni

“Il Regno del Bahrein è un arcipelago di 33 isole. In lingua araba, significa ‘terra dei due mari’. Già dal nome di questo paese, la visita di papa Francesco si presenta come un viaggio all’insegna dell’incontro, del dialogo e della fraternità, in continuazione con il progetto intrapreso da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb a proseguire nell’impegno comune preso insieme nel Documento sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi”. Così Nader Akkad, imam della Grande Moschea di Roma, presenta al Sir, il “significato” del viaggio apostolico di Papa Francesco nel Regno del Bahrein dove domani, il papa parteciperà alla chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”. Avrà poi un incontro privato con il Grande Imam di Al-Azhar e subito dopo con i Membri del “Muslim Council of Elders” presso la Moschea del “Sakhir Royal Palace”. Il Bahrein – spiega l’imam Akkad – è un arcipelago del Golfo Persico in cui si incontrano le acque dell’Arabia Saudita e del Qatar. In lingua araba, Bahr, significa “mare”. “Bahrein” è il duale di questo sostantivo: indica pertanto una “terra tra i due mari”. Ed è il mare il vero protagonista di questo Paese, non la sua terra.

Imam Akkad, il Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana è stato firmato nel 2019. Cosa è cambiato in questi anni?

Dobbiamo ricordare che la visita oggi di papa Francesco nel Regno del Bahrein è la settima tappa in un paese arabo e la decima in un paese musulmano. Vuol dire che il papa ha scelto il dialogo con il mondo arabo e con l’islam. Il Bahrein rappresenta pertanto una tappa di un percorso che papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha intrapreso. Tutto è partito dall’incontro di papa Francesco e il Grande Imam Al-Tayyeb in Egitto che ha poi portato i due leader religiosi a mettere su carta il loro impegno per il dialogo e la fraternità ad Abu Dhabi, nel 2019. Da quel momento, i due leader hanno iniziato ciascuno nel suo ambito e insieme a diffondere la pace, la fraternità e la convivenza pacifica nel mondo e in particolare tra i credenti delle rispettive religioni. Con questo spirito, papa Francesco ha visitato il Marocco, l’Iraq, il Kazakhistan. Con lo stesso spirito, Sua Eminenza Al-Tayyeb ha partecipato lo scorso anno all’incontro di preghiera per la pace al Colosseo su invito della Comunità di Sant’Egidio.

Come andare avanti?

I passi che possiamo attenderci sono quelli che possono compiere due ambasciatori di pace. Chi lavora nella pace, non sarà mai disoccupato. Papa Francesco e al-Tayyeb hanno preso entrambi l’impegno di diffondere una cultura del dialogo tra il mondo musulmano e il mondo cristiano, proponendo una narrativa dell’incontro al posto di una narrativa dello scontro. Continueranno a farlo. Penso in particolare al Libano dove le comunità cristiana e musulmana attendono papa Francesco. Nell’ultima visita in Kazakhistan, papa Francesco ha dichiarato con forza di non abusare delle religioni per scopi e ideologie che inneggiano al conflitto. Sono dichiarazioni importanti in un mondo scosso da venti di guerra e per la prima volta dopo tanti anni, addirittura sfidato da una minaccia nucleare.

Negli anni scorsi c’era la lotta contro il terrorismo. Ora il mondo è spaventato dalla guerra e dal ritorno delle armi atomiche. Quale il ruolo delle religioni e degli ambasciatori della pace?

Hanno un ruolo importantissimo. Soprattutto quando l’umanità è scossa da violenza e conflittualità, ai leader religiosi è chiesto un maggiore impegno. Gli ambasciatori della pace hanno oggi la responsabilità di dire che c’è sempre un’alternativa alla guerra e che l’alterativa allo scontro è la pace. La guerra è la madre di tutti peccati perché in guerra avvengono tutte le atrocità e violenze di ogni tipo di violenze. In guerra si distrugge la vita umana e la vita sulla terra di cui gli uomini sono chiamati ad essere sempre custodi. La guerra è sempre e per tutti una sconfitta e questa consapevolezza chiede oggi di far tacere le armi.

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