Scuola, sport, politica: troppa confusione tra educazione, repressione e ambizione
Tanti strani segni ci vengono dalla cronaca e dalla politica in questi giorni. Soprattutto sul piano educativo. Se è opportuno punire severamente, ad esempio, gli abusi e le molestie compiute dagli insegnanti nei confronti degli alunni, ci pare esagerato l’allarme e l’enfasi che viene dato alle denunce delle ginnaste di ritmica. Hanno improvvisamente scoperto, anche dopo importanti successi sportivi, di essere state vessate e sottoposte a un regime repressivo per mantenere la forma: dieta ferrea, rimproveri continui, disciplina ossessiva, obbligo, per le donne, di indossare fasce di contenimento per il senso. Ma non sono una novità: tutte le discipline sportive comportano obblighi impliciti per chi voglia avere successo, soprattutto nell’atletica, leggera o pesante che sia, nella ginnastica, artistica o ritmica, nel nuoto sincronizzato, ma un po’ in tutte le discipline. La stessa cosa avviene, più o meno, anche per la danza classica. Quello che invece non comprendiamo è proprio: come si faccia a scegliere di praticare discipline così rigide se non si ha voglia di pratiche inumane. Perché secondo noi sono pratiche inumane quelle che si attuano, ma che vengono volontariamente accettate da chi fa sport con la precisa idea di primeggiare, di avere successo. Come si possono fare acrobazie in sovrappeso? Neppure i calciatori vengono impiegati in squadra se hanno messo su chili, non parliamo dei pugili che devono obbligatoriamente rientrare nel peso a qualsiasi costo.
Ci chiediamo ancora: perché non hanno rinunciato alla carriera se era così dura? Potevano scegliere di praticare sport alla de Coubertin, se volevano solo essere in forma. La ginnastica ritmica e altre discipline similari sono note per la maniacalità che impongono e che, a nostro parere, incide anche sull’equilibrio mentale. Ma che sono scelte liberamente.
Poi scopriamo e vediamo le immagini del padre-allenatore che picchia selvaggiamente la figlia quattordicenne tennista perché compie degli errori e capiamo che l’assillo del successo è una sorta di malattia sociale diffusa. E ricordiamo, così, quando abbiamo assistito a partitelle di calcio tra minori che vedevano i genitori inveire selvaggiamente se qualcosa limitava le “prestazioni” dei propri figli, tutti candidati a diventare nuovi Maradona, arrivando alla violenza.
Insomma: anche tanta passione che nostri colleghi giornalisti dimostrano nel raccontare episodi che si incrociano con pagine politiche non proprio costruttive, togliendole la precedenza, meriterebbe riflessioni più attente.
Ma per fortuna capita di assistere anche alla maturità di qualche genitore che si rende conto che difendere a oltranza i propri figli, sempre e senza condizioni, è un errore. Mi riferisco a quanto accaduto a Pontedera, dove un professore ha colpito con un pugno l’allievo che lo irrideva ed è stato sospeso. Ebbene: la madre di quell’alunno, lungi dal rincarare la dose contro l’insegnante, ha ammesso che suo figlio ha sbagliato e che va punito.
Ecco, finalmente, un esempio di chiarezza educativa!
L’aria di repressione che gira in questi giorni non ci piace. Non ci piace la legge anti-rave non perché giustifichiamo i rave che sono raduni spesso organizzati dai trafficanti di droga, ma non ci piace il fatto che invece di colpire i rav (già vietati per legge) si colpiscono tutti gli assembramenti di ogni tipo. Non è una svista quella compiuta dal governo e lo dimostrano le dichiarazioni del deputato di FdI Mollicone, secondo il quale il decreto deve essere usato anche contro le occupazioni, e fa escplicito riferimento ai centri sociali ma non a Casapound.