The Crown 5: i controversi anni ’90 di Elisabetta e della famiglia reale
Su Netflix, la 5ª stagione dell’acclamata e pluripremiata serie firmata da Peter Morgan
Finalmente The Crown 5! Dopo due anni di lavorazione, Netflix ha rilasciato dal 9 novembre la 5ª stagione dell’acclamata e pluripremiata serie firmata da Peter Morgan, “The Crown”, dedicata a Elisabetta II e alla Casa reale Windsor. Una stagione che giunge a poche settimane dalla morte della sovrana (lo scorso 8 settembre) e a un anno dalla scomparsa del principe Filippo. Netflix ci ha permesso di vedere in anteprima i dieci nuovi episodi, che si giocano su buona parte del decennio ’90, quando la corona avverte crepe e sussulti di un mondo prossimo al cambiamento. Le sfide più difficili non vengono dallo scacchiere internazionale, ma dal palazzo: Buckingham Palace è chiamato infatti a fronteggiare la fine del matrimonio tra il principe Carlo e Lady Diana. Un divorzio sofferto, diventato un casus mediatico senza precedenti. In “The Crown 5” il cast si rinnova completamente e a impersonare la regina, dopo le applaudite Claire Foy e Olivia Colman, c’è la veterana Imelda Staunton. Accanto a lei noti comprimari hollywoodiani: Jonathan Pryce, Dominic West ed Elizabeth Debicki. Il punto Cnvf-Sir.
La Corona al capolinea?
Il futuro ha cambiato segno? È la domanda che si sono posti i filosofi Miguel Benasayag e Gérard Schmit all’inizio del nuovo Millennio (“L’epoca delle passioni tristi”, Feltrinelli 2004), un quesito che ben si applica alla stagione 5 di “The Crown”, giocata sul decennio Novanta, fino all’arrivo al governo del laburista Tony Blair (1997). Con la stagione 4 avevamo lasciato infatti la corona inglese a fare i conti con la fine del mandato di Margaret Thatcher. Ora al numero 10 di Downing Street siede il conservatore John Major (Jonny Lee Miller), che si relaziona con la regina Elisabetta (Imelda Staunton) in maniera pacata e rassicurante, diventandone in più di un’occasione prezioso punto di riferimento.
A turbare Buckingham Palace è la “cortina di ferro” scesa tra il principe di Galles e Lady D. (Dominic West ed Elizabeth Debicki), che dopo una malriuscita seconda “luna di miele” in Italia vivono ormai in abitazioni separate. Le loro incomprensioni risultano evidenti agli occhi dei media e iniziano a trapelare scomode rivelazioni su tabloid e programmi tv. Compresa la discussa intervista “concessa” da Lady Diana alla Bbc, al giornalista Martin Bashir (Prasanna Puwanarajah) del programma “Panorama” nel 1995; l’emittente britannica si scuserà formalmente con la famiglia reale solamente nel 2022.
“The Crown 5” segue dunque passo passo l’implosione del matrimonio tra Carlo e Diana, scandagliando anche sofferenze e affanni del primogenito William, della regina e del consorte Filippo, preparando al contempo il terreno per l’ingresso sulla scena della famiglia Al-Fayed, Mohammed Al-Fayed (Salim Daw) e suo figlio Dodi (Khalid Abdalla).
Se Elisabetta si scopre fragile
Compito gravoso poggia sulle spalle di Imelda Staunton. Dopo Claire Foy (S. 1-2) e Olivia Colman (S. 3-4) – incoronate come migliori attrici tra Golden Globe ed Emmy Award –, a Staunton spetta l’onore-onere di traghettare “The Crown” negli anni della maturità, sia anagrafica della sovrana sia della serie. L’attrice vanta un curriculum solido e di tutto rispetto tra teatro e cinema – tra i suoi film “Shakespeare in Love”, “Il segreto di Vera Drake”, “Harry Potter e l’Ordine della Fenice” nel ruolo di Dolores Umbridge e “Ricomincio da noi” –, anche se il ruolo di Elisabetta II può rivelarsi insidioso persino per una fuoriclasse.
Staunton porta di certo la sua cifra personale nel personaggio: fedele alle caratteristiche della sovrana, al noto rigore istituzionale, riesce a introdurre delle sfumature diverse rispetto a quelle messe in campo da Foy e Colman. Vediamo infatti una regina Elisabetta sì ferma, risoluta e riflessiva, ma anche più permeabile alle emozioni, alla commozione.In alcuni raccordi sembra quasi attraversata da un senso di smarrimento e fragilità (nel legame con Filippo o al momento della dismissione del Royal Yacht Britannia). Una prospettiva originale e inedita, a tratti fin troppo. Sembra quasi di vedere Elisabetta alla prova del futuro, vacillare dinanzi al crocevia di un mondo che va perdendo le sue ascisse e ordinate, per prepararsi al salto del nuovo Millennio. Staunton è indubbiamente una garanzia per la serie, che sa portare a casa il risultato con professionalità e raffinatezza; a ben vedere, però, sembra che le manchi quel piglio di incisività che ha reso di fatto iconiche le interpretazioni di Foy e Colman. La sua Elisabetta è a un passo dalla perfezione, ma risulta purtroppo poco memorabile.
Lady D. passa “al contrattacco”
Diverso è il discorso per la Lady Diana tratteggiata da Elizabeth Debicki. L’attrice australiana, che si è imposta all’attenzione del pubblico con la miniserie “The Night Manager” (2016) e il colossal “Tenet” (2020) di Christopher Nolan, ha gestito egregiamente il ruolo che probabilmente ne cambierà la carriera: la sua Lady D. funziona, e molto, per mimesi interpretativa – sbalorditiva la somiglianza fisica e la gestualità –ma anche perché ha saputo compiere un cambio di passo di senso rispetto a quella giovanile tratteggiata con efficacia da Emma Corrin.
In “The Crown 5” Diana è ormai una donna adulta e consapevole, madre di due preadolescenti (William fa ingresso a Eton College), che è stanca di sopportare la solitudine in cui è stata relegata dal palazzo, in primis da Carlo e in generale dalla famiglia Windsor. È una donna che soffre, ma che ora pensa anche a reagire.
E questo è proprio il sentiero che percorre la serie: una Diana che si apre sempre di più al mondo, accettando consapevolmente il titolo di “principessa del popolo”. La Diana della Debicki assume un ruolo decisamente centrale nel racconto, al punto da mettere in penombra l’evidente protagonismo di Elisabetta, cui la serie è dedicata.
Peter Morgan non delude
L’ideatore e sceneggiatore Peter Morgan – che ha firmato i copioni di “The Queen” (2006) di Stephen Frears e di “Frost/Nixon” (2008) di Ron Howard – è il vero perno della serie Netflix “The Crown”.La sua gestione del racconto, della linea narrativa, si conferma magistrale e superiore alla media. Anche in “The Crown 5” questo si avverte, per come dosa gli avvenimenti, per come crea eleganti e dolenti suggestioni. Ad esempio, la feroce uccisione della famiglia Romanov messa in parallelo con una battuta di caccia nei boschi inglesi, richiamando quanto messo in scena nell’episodio iniziale della stagione 4, l’attentato a Lord Mountbatten. Ancora, il parallelismo tra Elisabetta, la stabilità della corona e il destino del Royal Yacht Britannia, vero filo rosso di tutta la quinta stagione.
A essere del tutto onesti, quest’ultima stagione di “The Crown” qualche incertezza narrativa la presenta: anzitutto lo sguardo sociale, l’affondo sulla condizione del Paese, purtroppo viene meno. Sbiadisce sullo sfondo. È vero che non sono più gli anni conflittuali della Thatcher, ma manca sostanzialmente il termometro sociale. Altro elemento di fragilità risulta l’eccessivo insistere sull’implosione del matrimonio tra Carlo e Diana – comprensibilmente l’elemento narrativo più popolare, di maggior richiamo –, che rischia però di appiattire e semplificare la consolidata densità di un racconto stratificato, acuto e mai banale.Detto questo, “The Crown 5” è una serie che lascia il segno. In maniera inconfondibile.