La domenica del Papa – Vegliare: l’attesa fatta di pazienza e di liberazione
È una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale
Vegliare è il verbo che Matteo ci consegna in questa domenica, la prima del tempo di Avvento, tempo di attesa e di speranza: “la porta oscura del tempo, del futuro è stata spalancata – scrive Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi – chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”. Nella pagina del Vangelo Matteo ci chiede di essere sempre pronti ad accogliere il Signore, di ‘custodire’, per usare un verbo caro a Francesco, la speranza. Gesù è sul monte degli Ulivi, aveva detto ai suoi discepoli che il tempio sarebbe diventato un mucchio di rovine, senza indicare né il giorno, né l’ora. Ecco allora l’invito a vegliare, e a custodire la propria fede.
“Tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere”, definisce l’Avvento padre David Maria Turoldo, che chiede al Signore di venire a vincere la notte, i silenzi, le solitudini. Tempo del ‘già e non ancora’, di un Dio che è presente nel nostro cammino, che ci accompagna e ci parla. Il Signore viene, ci fa visita, “si fa vicino e ritornerà alla fine dei tempi per accoglierci nel suo abbraccio”, afferma papa Francesco nelle parole che precedono la preghiera mariana dell’Angelus. Il Signore “è presente nel nostro cammino, ci accompagna e ci parla”, ma forse siamo distratti da tante cose e “questa verità rimane per noi solo teorica; sì, sappiamo che il Signore viene ma non la viviamo questa verità, oppure immaginiamo che il Signore venga in modo eclatante, magari attraverso qualche segno prodigioso. Invece è quotidianamente con noi, “si nasconde nelle situazioni più comuni e ordinarie della nostra vita. Non viene in eventi straordinari, ma nelle cose di ogni giorno. E lì, nel nostro lavoro quotidiano, in un incontro casuale, nel volto di una persona che ha bisogno, anche quando affrontiamo giornate che appaiono grigie e monotone, proprio lì c’è il Signore, che ci chiama, ci parla e ispira le nostre azioni”.
Ecco allora il vigilare per non correre il rischio di non accorgerci della sua venuta, come accadde al tempo di Noè; “mangiavano e bevevano […] e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”. Di qui l’invito di papa Francesco, all’Angelus, per questo tempo di attesa: “lasciamoci scuotere dal torpore e svegliamoci dal sonno”; cerchiamo di “riconoscere la presenza di Dio nelle situazioni quotidiane”. Vegliare, dunque, come le cinque donne che, avendo messo da parte l’olio per le loro lampade, hanno accolto lo sposo al suo arrivo e partecipato al banchetto nuziale. Restiamo vigilanti, afferma il vescovo di Roma, perché “se non ci accorgiamo oggi della sua venuta, saremo impreparati anche quando verrà alla fine dei tempi”.
L’attesa è fatta di pazienza e di liberazione; è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo: “si potrebbe dire – affermava Benedetto XVI – che “l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza”.
Angelus nel quale Francesco torna a condannare la violenza che è tornata a insanguinare la Terra Santa: “la violenza uccide il futuro, spezzando la vita dei più giovani e indebolendo le speranze di pace”, ha affermato dopo la recita della preghiera mariana. Non solo, ha voluto ricordare la morte, a Gerusalemme, di uno studente ebreo di 16 anni e di un ragazzo palestinese di 14 anni ucciso nello stesso giorno dall’esercito israeliano negli scontri a Nablus, per dire: “spero che le autorità israeliane e palestinesi tengano maggiormente a cuore la ricerca del dialogo per costruire la fiducia reciproca senza la quale non ci sarà mai una soluzione di pace per la Terra Santa.
Ancora, ha parole contro la violenza sessuale sulle donne, affermando come sia, purtroppo, “una realtà generale e diffusa dappertutto e utilizzata anche come arma di guerra. Non stanchiamoci di dire no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace; in particolare per il martoriato popolo ucraino”. E per il clochard, Burkhard Scheffler, morto a causa del freddo, venerdì 25 novembre, sotto il colonnato di piazza San Pietro.