Commercio di armi: cartucce italiane nella repressione in Iran
Cinque associazioni chiedono “controlli più stringenti e blocco della vendita”
“Riteniamo altamente problematico il fatto che sia stato concesso il permesso alla Cheddite S.r.l. di esportare cartucce o polvere da sparo verso la Turchia, Paese che può averle vendute all’Iran. Tale genere di materiali, infatti, può essere utilizzato non solo per il munizionamento di tipo comune, sportivo o da caccia, ma anche per l’utilizzo da parte di corpi di sicurezza”. Lo hanno scritto oggi cinque associazioni della società civile italiana – Amnesty international Italia, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Italia-Birmania insieme, Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa e Rete italiana pace e disarmo – in risposta alla lettera di chiarimenti che il Ministro plenipotenziario Alberto Cutillo, direttore Autorità nazionale Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), ha inviato loro il 9 dicembre. La lettera rispondeva a una richiesta di chiarimenti delle associazioni dopo che in novembre è emerso “l’ennesimo coinvolgimento, seppur indiretto, della ditta italo francese Cheddite di Livorno, le cui cartucce sono state ritrovate in Iran nei luoghi delle manifestazioni iniziate dopo la morte di Masha Amini”. Le cinque associazioni avevano già chiesto chiarimenti in merito alle attività della Cheddite nel 2021, quando era emerso l’utilizzo di cartucce col marchio dell’azienda in Myanmar e dopo che tale utilizzo era già stato segnalato precedentemente in Siria. Nella lettera di chiarimenti dell’Uama, che sulla vicenda ha interpellato l’azienda, si spiegava che “solo i bossoli prodotti e marchiati Cheddite possono essere stati venduti ad aziende iraniane e da quest’ultime utilizzate per la produzione di cartucce complete”.
Le cinque associazioni replicano a Uama che proprio “alla luce del comprovato uso non necessario e sproporzionato della forza” si ritiene che “nessuna licenza di esportazione dovrebbe essere concessa per ogni tipo di materiale che potrebbe esser utilizzato per la repressione interna o per comporre munizionamento destinato a Paesi terzi”. “Siamo di fronte – conclude la lettera – a un grave vulnus normativo che permette ad un’azienda nazionale di esportare parti essenziali di una munizione a Paesi vietati e regimi repressivi”. Le associazioni ribadiscono, tra l’altro, “l’urgenza per le autorità italiane di contrastare immediatamente ogni possibile forma di esportazione di armamenti utilizzati per reprimere illegalmente il dissenso in Paesi terzi”.