Save the Children: “Dopo il divieto per donne di lavorare nelle ong in Afghanistan, i bambini potrebbero essere spinti a tornare al lavoro”
A due settimane da quando i talebani hanno proibito alle donne di lavorare per le organizzazioni non governative internazionali o nazionali in Afghanistan, i bambini potrebbero essere costretti a tornare a lavorare per strada, nelle fabbriche o nelle case della gente perché i servizi che li sostengono sono stati sospesi a causa del divieto. È l’allarme lanciato oggi da Save the Children, l’organizzazione internazionale che – attiva nel Paese dal 1976 – ha dovuto sospendere le attività in Afghanistan dopo il divieto al lavoro per le operatrici umanitarie. “Le donne, che costituiscono il 50% della forza lavoro dell’organizzazione, sono fondamentali per raggiungere donne e ragazze che, per motivi culturali, non possono interagire con operatori umanitari uomini e quindi essenziali per rendere sicuri ed efficaci i programmi dell’organizzazione”, viene evidenziato in una nota.
“Il divieto – prosegue Save the Children – arriva in un momento in cui l’Afghanistan sta affrontando la peggiore crisi economica e alimentare mai registrata, con oltre 28 milioni di bambini e adulti bisognosi di assistenza umanitaria. I genitori che cercano disperatamente di sfamare le proprie famiglie, mandano sempre più spesso i propri figli a lavorare in ambienti molte volte pericolosi. Una recente indagine ha rilevato che il 29% delle famiglie con capofamiglia donna nel 2022 aveva almeno un figlio impegnato nel lavoro minorile, rispetto al 19% del 2021”. Secondo Save the Children, “il divieto imposto dai talebani alle lavoratrici delle ong avrà un impatto devastante su milioni di bambini, donne e uomini bisognosi di aiuto in tutto l’Afghanistan”. Per questo, insieme ad altre Ong internazionali, “chiede un’immediata revoca del divieto e garanzie da parte delle autorità de facto competenti che il suo personale femminile sarà in grado di lavorare in sicurezza e senza impedimenti”.