La Chiesa: No al salva-Ilva.
Don Antonio Panico: serve un confronto istituzionale
La Commissione diocesana per la salvaguardia del creato, composta da laici, sacerdoti, religiose e religiosi, che ha anche partecipato con una propria delegazione alla prima riunione del Coordinamento cittadino, in qualità di osservatrice, ha aderito alla protesta, esprimendo un proprio documento, inviato al prefetto, con il quale si manifesta l’insoddisfazione per il decreto salva-Ilva e si mette a disposizione del prefetto per un’eventuale audizione, ma questa mattina non sarà davanti alla prefettura a manifestare assieme alle associazioni.
La scelta è quella di mantenere, essendo un’istituzione, la terzietà e anche l’autorevolezza necessari in questa situazione. Ne abbiamo parlato con don Antonio Panico, vicario episcopale per i problemi sociali e la salvaguardia del creato.
Molti, nel mondo associativo, davano per scontata la vostra partecipazione al sit-in.
Noi siamo disponibili a dare qualsiasi genere di supporto, di chiarimento ma vogliamo mantenere, d’accordo con l’arcivescovo, un profilo istituzionale. La nostra logica è quella di costruire ponti, abbattere muri, cercare soluzioni, non lo scontro istituzionale. Il confronto dev’essere sempre un’occasione di crescita e di dialogo, per cui è giusto che ognuno svolga il suo ruolo in maniera incisiva e coerente. Per questo ma non ci sembra opportuno salire assieme alle associazione
Nel corso degli anni, la Chiesa ha tenuto un colloquio costante con le istituzioni, con la politica…
…Ma nell’ultimo periodo non siamo più stati interpellati e questo ci è dispiaciuto. La nostra disponibilità, anche personale con il gruppo degli esperti, è immutata, ma mentre prima avevamo un’interlocuzione costante, questa è andata via via scemando.
Quali sono le vostre contestazioni al governo, visto che parlate di “ciniche e ingiustificabili scorciatoie”?
Non siamo assolutamente d’accoro con chi vuole aumentare la produzione, sostenendo che la siderurgia è strategica, mentre siamo ancora a zero sul rifacimento dei forni, degli impianti vetusti e su tutto il discorso legato alla decarbonizzazione. Non si può pensare di aumentare la produzione mantenendo un sistema produttivo obsoleto che inquina e ammazza. Perché le valutazioni già fatte dell’impatto ci dicono che già a 4,7 milioni di tonnellate l’attività dell’impianto è incompatibile con la vita umana, per i rischi che comporta. Questo noi non lo possiamo accettare: aumentare la produzione a fronte di una stasi nel processo di decarbonizzazione sembra qualcosa di inaccettabile. Lo ribadiamo con chiarezza: non si può aumentare la produzione con lo standard produttivo attuale, che è obsoleto ed è stato superato da tantissimi impianti, e che invece si continua a portare avanti.
Tutto ruota sempre attorno al cosiddetto ricatto occupazionale.
Ma non si può mettere sullo stesso piano il diritto al lavoro e il diritto alla salute e alla vita. Sappiamo che il lavoro è essenziale per la dignità della persona, è la dottrina sociale della Chiesa a dirlo, ma l primato va alla salvaguardia della vita, al rispetto del creato, ma soprattutto alla vita umana e alla salute.