“La voce dei poeti per la pace”, mercoledì 25, nella Madonna della Salute, l’antologia: “La guerra che è in noi”
“La guerra che è in noi. Canto corale per la Terra, sconfinato campo di battaglia, sempre in cerca di pace”, questo è il titolo di un importante progetto culturale che prende spunto dall’attualità ma che riflette su un fenomeno tristemente endemico, da cui l’umanità è sempre afflitta, anche quando non si trasforma in conflitto armato. Si tratta di un’antologia, edita da Macabor, una casa editrice molto impegnata nella promozione della poesia, curata da Silvano Trevisani a cui hanno partecipato il poeta ucraino Anatolij Dnistrovyj, il poeta in lingua russa Igor’ Kotjuch (tradotti dal noto traduttore Paolo Galvagni) e alcuni dei più noti poeti italiani: Franco Arminio, Luca Benassi, Franco Buffoni, Ennio Cavalli, Valentina Colonna, Vittorino Curci, Giuseppe Goffredo, Davide Rondoni e lo stesso Trevisani.
L’introduzione è di Eraldo Affinati, scrittore e saggista, oltre che editorialista di vari giornali, tra cui “L’Avvenire”,
L’antologia sarà presentata a Taranto, mercoledì 25 gennaio alle ore 19, nella Chiesa della Madonna della Salute, fresca di restauro, in piazzetta Monteoliveto, in Città vecchia, con il patrocinio del Comune di Taranto e della Basilica cattedrale di San Cataldo, in collaborazione con l’Associazione italiana di cultura classica, della sezione tarantina della Società Dante Alighieri e dell’Associazione Marco Motolese.
Il programma prevede, dopo i saluti dell’assessore comunale alla Cultura, Fabiano Marti, l’intervento di monsignor Emanuele Ferro, parroco della Cattedrale, che dialogherà con i tre poeti pugliesi presenti nell’antologia: Vittorino Curci, Giuseppe Goffredo e Silvano Trevisani. Interverrà l’editore Bonifacio Vincenzi.
Gli attori Imma Naio e Antonello Conte leggeranno una selezione di brani tratti dall’antologia.
“Ai testi firmati da poeti direttamente coinvolti nella tragica contesa – scrive, tra l’altro, Eraldo Affinati nella intensa introduzione – seguono altri composti da autori i quali si sono sentiti chiamati in causa da una guerra fratricida che si sta svolgendo nel cuore antico dell’Europa, nei medesimi luoghi che videro gli scontri della Seconda guerra mondiale fra le truppe naziste e quelle sovietiche con la partecipazione attiva dei nostri alpini, allora schierati dalla parte sbagliata. Potrebbe essere l’ultimo battito del cuore di tenebra novecentesco, oppure, come molti paventano, l’agghiacciante preludio di un fatale conflitto nucleare.
Cosa può fare la poesia di fronte alla natura ferina dell’uomo se non assumere su di sé l’energia cieca della Storia nel tentativo di trasfigurarla stilisticamente? E’ questa la ragione per cui pensare è, come spiegò Albert Camus, cominciare a essere minati, cioè pronti ad esplodere. Scrivere significa mettere le mani in pasta. Fare un passo in avanti. Esporsi. Uscire dalla zona di sicurezza. Rischiare di sbagliare. Incidere il nome sulla roccia. Prendersi in carico il punto di vista altrui. Accendere le torce per segnalare una presenza. Attraversare i boschi. Nuotare negli acquitrini. Dare via tutto. Una questione di vita e di morte. Pubblica e privata.
Una posizione radicale pre-politica, pre-giuridica, persino pre-morale, io credo, ben sintetizzata dal titolo di questa silloge: la guerra non può essere mai lontana perché la campana suona sempre anche per me, per te, per voi, per tutti, sulla scia di quanto pensava il John Donne richiamato da Ernest Hemingway. Noi che non possiamo essere felici se l’infelicità colpisce chi ci sta accanto. Noi che in quanto individui siamo legati da nessi profondi, invisibili e sottili, che la letteratura è chiamata ogni volta a ricordare, raschiando sulle croste fino a vederle sanguinare”.