Congo, a quando la pace? Le richieste di 107 organizzazioni
della società civile italiana e una lettera al papa
A pochi giorni dalla visita apostolica di Francesco nella Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan dal 31 gennaio al 5 febbraio, si chiede di riportare l’attenzione sul conflitto nell’Est del Paese che dura da 30 anni
Papa Francesco non potrà andare nell’inferno di Goma, nel Nord Kivu, dove arrivano gran parte degli sfollati in fuga dalla violenza di oltre un centinaio di gruppi armati, ma trascorrerà tre giorni a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. Dopo la posticipazione del viaggio programmato nel 2021, ora è attesissimo nel Paese, afflitto da un conflitto ai danni della popolazione, soprattutto nell’Est, che dura da 30 anni: ha causato almeno 6 milioni di vittime, 5 milioni e mezzo di sfollati interni, 1 milione di rifugiati all’estero, migliaia di bambini soldato, innumerevoli stupri, violenze, saccheggi. Ma nessuno ne parla. Acquisterà visibilità per pochi giorni durante la visita apostolica che si svolgerà dal 31 gennaio al 3 febbraio (dopo, il papa andrà in Sud Sudan fino al 5 febbraio) e poi, molto probabilmente, i riflettori si spegneranno di nuovo. Per cercare di evitare questo rischio e chiedere la pace 107 organizzazioni e reti della società civile italiana hanno organizzato ieri una conferenza stampa a Roma.
Una lettera al papa. E proprio in questi giorni hanno inviato una lettera privata a papa Francesco (non è stato diffuso il testo completo) nella quale vengono spiegate le ragioni delle sofferenze, denunciate le “cause strutturali” e le responsabilità dell’Occidente, Europa compresa, nell’accaparramento delle risorse naturali tra cui coltan, cobalto, oro, diamanti, petrolio, legno. “La sua venuta è stata lungamente attesa dal popolo congolese, di ogni appartenenza religiosa – è scritto nella lettera -. Perché chi si sente fra i dimenticati della storia, trova un soffio di speranza presso chi gli si fa prossimo. Perché, attraverso di lei, il mondo potrà alfine guardare alla sofferenza senza fine di questo popolo, soprattutto all’est, e mettere in atto strumenti che sanzionino gli aggressori e scoraggino la guerra”.
Le richieste delle 107 organizzazioni. Le 107 organizzazioni – tra cui Libera, Associazione Comunità papa Giovanni XXII, Stop the war now, Tavola della pace, Cipsi, Caritas diocesane, parrocchie e missionari – chiedono che vi sia una smobilitazione e smilitarizzazione della Regione del Nord e Sud Kivu: togliendo terreno al Movimento M23 e agli oltre 100 gruppi ribelli presenti nell’area con la realizzazione di un programma concreto di disarmo, smobilitazione e la reintegrazione dei combattenti nella società civile.
Si chiede all’Unione europea di ripristinare e revisionare il Regolamento (Eu) 2017/821, entrato in vigore il 1 gennaio 2021, estendendolo al cobalto e rendendo concreta l’applicazione della legge sulla tracciabilità dei minerali, uno strumento concreto per bloccare l’uso di minerali che provengono da aree di conflitto. E di dare seguito a quanto indicato dal Rapporto Onu del Progetto Mapping relativo alle violazioni più gravi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della Repubblica Democratica del Congo, nel quale vengono anche indicati i responsabili. Nel rapporto Onu viene suggerita una roadmap per l’uscita dal conflitto e proposta l’istituzione di un Tribunale penale internazionale, oltre alla creazione di una Commissione verità e riconciliazione. Secondo don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, “il papa è oggi la vera scorta mediatica della R.D. Congo”. “Speriamo che l’attenzione non svanisca con la visita – ha sottolineato – perché tutti conosciamo le ragioni per cui lì si muore. Il Congo è condannato dalle sue ricchezze, da chi vuole mettere mano sulle sue risorse. Sappiamo come le terre rare, il sottosuolo, siano oggi importanti per la tecnologia”.