Emergenze sociali

Il Sud abbandonato

È una questione di sistema Italia e come sistema andrebbe affrontata

foto Banca d'Italia
30 Gen 2023

di Andrea Casavecchia

Il sistema sociale del Mezzogiorno in Italia – afferma l’Istat – ha accumulato un ritardo molto grave, non solo rispetto al resto del Paese. L’area è anche quella economicamente più debole in Europa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dovrebbe, allora, essere l’occasione giusta per dare un forte impulso e per attivare il motore attraverso riforme strutturale, un tema che nel dibattito pubblico e nell’agone politico non sembra essere centrale, come se il problema del Mezzogiorno, fosse esclusivamente meridionale. Eppure non è così, è una questione di sistema Italia e come sistema andrebbe affrontata.
Con “I divari territoriali nel Pnrr: dieci obiettivi per il Mezzogiorno” l’Istat prova a fornire alcune indicazioni sui punti principali da affrontare. Innanzitutto si evidenzia la tendenziale stabilità del divario produttivo tra il centro-nord e il sud, la distanza del pil pro-capite (la produzione ripartita per abitante) rimane sempre tra i 14 e i 15 punti percentuali negli ultimi 20 anni. Non c’è però solo il lato economico. Anche la media del livello di istruzione della popolazione è più bassa: nel meridione tra le persone di età compresa tra i 25 e i 49 anni il 32,8% ha conseguito al massimo il diploma di scuola secondaria inferiore (contro il 24,5% del centro-nord). Ma soprattutto c’è una vasta area del Mezzogiorno (il 50% delle province) nella quale la bassa istruzione risulta molto diffusa. Un altro aspetto da evidenziare è il difficile contesto per i giovani: il Mezzogiorno si segnala per un basso livello di occupazione (solo 5 giovani su 10 lavorano) e un alto livello di emigrazione giovanile (oltre 1 milione di persone tra il 2010 e il 2019 si sono trasferite verso il Nord).
Ma perché questi elementi non sono esclusivamente “un problema” del Mezzogiorno?
Gli altri punti evidenziati mostrano le carenze infrastrutturali che non sono risolvibili dalle singole regioni, ma che hanno bisogno di una strategia nazionale e statale: per colmare il digital divide, per ammodernare le reti idriche, per rinnovare le linee ferroviarie serviranno investimenti importanti in opere pubbliche, ed è un’illusione che privati possano sobbarcarsi spesse simili. A questi si dovrebbe aggiungere l’attenzione al sistema sanitario e al sistema educativo. Un’altra tipologia di emigrazione riguarda i malati, coloro che hanno bisogno di cure importanti e se lo possono permettere finiscono per andare in altre regioni. Inoltre nel meridione ci sono pochissime strutture socio-educative per l’infanzia, inoltre il sistema scolastico offre medie di livelli di apprendimento delle competenze inferiori alla media nazionale. Così non solo ci sono livelli di istruzione più bassi, ma le persone che escono da quelle scuole hanno competenze meno appetibili per la nostra società, rispetto ai pari grado.

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Politica italiana

Quanto manca per sanare il divario tra Nord e Sud?

foto d'archivio Corriere della sera
30 Gen 2023

di Domenico Delle Foglie

“Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”: questo è il titolo apparso sulle colonne del Corriere della Sera il 13 settembre 1972. Cinquant’anni fa un grande meridionalista cattolico come Pasquale Saraceno, dolendosene, si sbilanciava in questa amara previsione. Considerato, infatti, che la Cassa per il Mezzogiorno aveva già 22 anni di vita e che le Partecipazioni statali (già nate sotto il Fascismo e divenute un Ministero nel 1956) erano realtà consolidate, spostare di quasi mezzo secolo (al 2020) il traguardo di un Sud allineato alla parte economicamente e socialmente più forte del Paese, era nei fatti un’ammissione di dolente sconfitta. Una consapevolezza che solo l’ottimismo della volontà che animava tanti innamorati del Sud, come Pasquale Saraceno e prima di lui il grandissimo don Luigi Sturzo, poteva attenuare.

Sono dunque trascorsi 50 anni da quel titolo comparso sulle colonne del Corrierone, ma la questione meridionale, nel frattempo quasi scomparsa dai radar dell’informazione e della politica, ha mutato volto e dimensioni continuando a interrogarci.Saraceno, nato a Morbegno in Valtellina da genitori meridionali (papà siciliano e mamma campana), a quel tempo era presidente della Svimez (carica tenuta a vita) e in quella veste aveva già maturato, dopo gli anni dell’Iri e della Cassa per il Mezzogiorno, una visione critica sull’impatto dell’industrializzazione del Sud fondata solo su acciaio e petrolchimica. Eppure, non poteva immaginare che l’innovazione forzata e i mastodontici investimenti pubblici non avrebbero creato le condizioni per un’economia diffusa e un diverso protagonismo delle popolazioni meridionali. Su questo gravissimo ritardo già si appuntavano, nel 1972, le critiche severe del Corriere della Sera che evidenziava l’arretratezza persistente:“esiste una mentalità arcaica che crede nel mattone, nell’investimento redditiero di tipo classico, assai più di quanto creda nella tecnologia e nel management. O nella carriera statale. O peggio, nel clientelismo politico”.

Con la denuncia di un’aggravante: la grande industria non aveva stimolato le iniziative private in grado di sostituire la smobilitazione progressiva dell’agricoltura.
Il resto è storia del nostro Paese, con alcune costanti. A partire dall’emigrazione dei meridionali.Dopo i grandi esodi a cavallo delle guerre mondiali verso gli Stati Uniti e l’America del Sud, toccò ai cafoni (Anni 50/60) verso la Svizzera, la Germania e il Belgio e infine ai giovani laureati che rimpolparono a partire dai primi Anni Settanta i ranghi della scuola italiana nelle regioni del Nord e l’intero comparto del pubblico impiego. Sino al più recente fenomeno migratorio dei giovani laureati meridionali, armati di trolley e computer, attirati dalle nuove carriere digitali e finanziarie. Ovviamente concentrate nel Centro-Nord del Paese.
Altra costante, non meno preoccupante, quella segnalata nel Rapporto della Banca d’Italia solo pochi mesi fa: l’arretramento globale del Sud rispetto al Nord dopo la crisi finanziaria (2008-2009) e quella successiva dei debiti sovrani (2011-2013).
“Il Mezzogiorno, che già dagli Anni Ottanta aveva mostrato difficoltà nel mantenere il passo con il resto del Paese – hanno denunciato gli economisti – ha visto progressivamente diminuire il suo peso economico, evidenziando una crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile, una riduzione dell’accumulazione di capitale, in precedenza fortemente sostenuta dall’intervento pubblico, e una minore crescita della popolazione rispetto alle aree più avanzate del Paese dove si sono concentrati i flussi migratori”.
Dunque, dagli Anni Novanta e sino ad oggi, le famiglie meridionali hanno costruito con enormi sacrifici il futuro dei figli facendoli studiare, ma regalandone le capacità produttive alle zone forti del Paese.Senza esagerare, sembra quasi una forma di sofisticato neocolonialismo. Con un Sud come bacino di intelligenze e capacità da spendere altrove, in particolare nei grandi centri di produzione del Centro-Nord.
A fronte di tutto questo e solo per provare ad attenuare il divario Nord-Sud, ora si punta sulle ricadute del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). In particolare in due ambiti fondamentali nei quali il gap Nord-Sud è enorme: il ruolo e la qualità della pubblica amministrazione orientata al conseguimento dei risultati; il rafforzamento dell’iniziativa privata attraverso la riduzione del divario infrastrutturale, lo sfruttamento del potenziale delle aggregazioni urbane e l’innalzamento del tessuto produttivo. Un’autentica scommessa, l’ultima, sul Mezzogiorno e sui suoi uomini, ma soprattutto sulle sue donne e i suoi giovani.
Senza farsi sedurre dalla sirena delle promesse o delle previsioni. Nessuno si azzardi, questa volta, a fare pronostici. Che a volte, come nel caso di Pasquale Saraceno, si rivelano ancor più negativi delle previsioni. Non possiamo sapere come sarà il Sud dopo che saranno state spese le ingenti risorse previste dai fondi europei e da quelli italiani. Ma sarebbe una beffa se solo fra dieci anni (non cinquanta) dovessimo fare i conti con un Mezzogiorno ancora drammaticamente in ritardo. Non potremmo perdonarcelo. E con noi i tanti meridionali che hanno voglia di fare e non si piegano né alle mafie, né alla corruzione, né all’inefficienza. E soprattutto vorrebbero lavorare dove sono nati.

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Drammi umanitari

Aifo: “Per debellare la lebbra e non lasciare nessuno ai margini serve il coinvolgimento delle comunità”

foto: Archivio foto Aifo
30 Gen 2023

Domenica 29 gennaio si è celebrata la 70ª Giornata mondiale dei malati di lebbra – Gml. Istituita nel 1954 da Raoul Follereau, il profeta dei malati di lebbra, nell’ultima domenica di gennaio, la Giornata, evidenzia l’Aifo (Associazione italiana Amici di Raoul Follereau), ricorda ogni anno che la lebbra non è ancora scomparsa ed è ancora un problema di salute per le persone più povere. Per questo Aifo ha posto la Gml 2023 sotto il segno dell’obiettivo “Nessuno ai margini”. Ne parliamo con il presidente dell’Associazione italiana Amici di Raoul Follereau, Antonio Lissoni, e con Giovanni Gazzoli, medico chirurgo esperto in malattie tropicali.

Qual è la situazione attuale a livello mondiale rispetto a questa malattia?

Gazzoli: Nel corso del 2021, il numero di persone diagnosticate è aumentato del 10,2% rispetto al 2020 e, fra di esse, quelle con disabilità gravi sono aumentate sia negli adulti sia nei bambini, rispettivamente del 17,6% e del 19,5%.Sono i dati del rapporto annuale sull’andamento della lebbra nel mondo pubblicato dall’Oms nell’autunno 2022. La variabilità degli ultimi tre anni è dovuta all’impatto che la pandemia da Covid-19 ha avuto, e continua ad avere, sulla raccolta dei dati e sullo sviluppo dei programmi di controllo.La sorveglianza epidemiologica e la capacità diagnostica sono diminuite a causa delle restrizioni alla mobilità durante la pandemia e nella maggior parte dei servizi di trattamento gli operatori sanitari sono stati riassegnati ad altri servizi. Proprio per tutte queste difficoltà si stima che il numero delle persone colpite sia superiore a quanto riportato dall’Oms.In vari Paesi endemici aumenta anche la diagnosi tra i bambini/e (minori di 15 anni) – ciò significa che la catena di trasmissione della lebbra è ancora attiva nelle comunità dei Paesi endemici – e il numero delle persone che presentano gravi disabilità al momento della diagnosi. Ciò indica che, ancora oggi, a causa della scarsa conoscenza dei sintomi della malattia all’interno delle comunità, delle difficoltà di accesso e della scarsa qualità dei servizi di trattamento, la diagnosi spesso avviene tardivamente e in molti casi la persona colpita dalla malattia si presenta con disabilità fisiche irreversibili.

foto: Archivio foto Aifo

Per quest’anno il vostro obiettivo è “Nessuno ai margini”: come pensate di raggiungerlo?

Lissoni: Il significato della Gml, e quindi di questo slogan, non si ferma alla malattia. La lebbra ha il forte valore simbolico di rappresentare tutte quelle malattie, disabilità o situazioni che causano discriminazione, esclusione a tutte quelle persone alle quali non viene riconosciuta la dignità di essere persona per una causa indipendente dalla propria volontà. Come si fa a non lasciare nessuno indietro? Aifo contribuisce a questo obiettivo mettendo al centro di tutta la sua azione e impegno la persona in fragilità, lavora “con” lei perché, oltre agli aspetti sanitari, siano curati anche l’aspetto socio-economico, la dignità e l’inclusione nella comunità. Inoltre, il nostro lavoro per non lasciare nessuno indietro coinvolge anche le comunità perché siano consapevoli, inclusive e accoglienti. Attuiamo azioni specifiche per sensibilizzare e coinvolgere le comunità locali al fine di far capire che la lebbra è una malattia e non una maledizione, che la disabilità è tale anche in base al contesto che la circonda. In questo modo le persone a cui rivolgiamo le nostre azioni non sono più “beneficiari” passivi ma soggetti attivi pronti a costruire il proprio futuro e sono anche una risorsa attiva e positiva per il proprio contesto. Le persone, ex malati o con disabilità, che hanno seguito questo percorso di consapevolezza, non solo sono reintegrate come risorse, ma continueranno a ritrovarsi in gruppi di persone vulnerabili, continueranno a discutere dei loro problemi, delle loro necessità, delle loro attese. Sapranno essere interlocutori concreti delle autorità locali e delle altre organizzazioni sociali con l’idea di uno sviluppo che sappia accogliere anche i più deboli e questa loro emancipazione, unita alla consapevolezza acquisita dalle risorse attive della comunità, è la garanzia di uno sviluppo non solo concreto, ma soprattutto irreversibile. Possiamo dire con una semplificazione, che però coglie la sostanza, che la disabilità, la lebbra e altre malattie invalidanti possono diventare forme concrete di cambiamento di tutta la comunità che, a quel punto, non può lasciare nessuno ai margini.

foto: Archivio foto Aifo

Quali iniziative promuovete per la Giornata 2023?

Lissoni: Sabato 28 e domenica 29 gennaio i volontari Aifo celebreranno la 70ª Giornata mondiale dei malati di lebbra e saranno nelle piazze e davanti alle parrocchie d’Italia con il “Miele della solidarietà” per raccogliere donazioni a sostegno dei progetti sociosanitari Aifo a favore degli ultimi e delle persone svantaggiate, affinché la salute diventi un diritto per tutti. Domenica, saremo anche in Piazza San Pietro per l’angelus del papa. Inoltre, abbiamo appena concluso il Simposio internazionale sul Morbo di Hansen, un momento importante per fare il punto su quanto si è fatto e sulle sfide che dobbiamo ancora compiere per arrivare a zero lebbra, zero disabilità e zero discriminazione. Promuoveremo anche incontri di sensibilizzazione online e nei territori in cui sono attivi i nostri gruppi di soci. Quindi, come ogni anno, ci spenderemo con convinzione per non abbassare i riflettori su questa malattia curabile la cui catena di trasmissione nei Paesi più vulnerabili è ancora attiva e va interrotta subito; sulla discriminazione che ancora porta con sé perché più nessuno sia costretto a vivere ai margini.

foto: Archivio foto Aifo

Quali sono le cause principali della lebbra e delle altre Malattie tropicali neglette?

Gazzoli: Le malattie tropicali neglette, tra cui la lebbra, hanno cause profonde, sono legate alla povertà, alla mancanza di accesso alle strutture dei sistemi sanitari, a una adeguata alimentazione e sono esse stesse causa di povertà e disabilità. Sono un gruppo eterogeneo di 20 patologie identificate dall’Oms, diffuse soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali, dove colpiscono principalmente le regioni rurali. Queste patologie sono accomunate da diverse caratteristiche e rappresentano un indicatore di povertà: colpiscono soprattutto popolazioni con basso livello di visibilità e con poco potere politico, causano stigma e discriminazione, sono trascurate dalla ricerca, possono essere controllate, prevenute e probabilmente eliminate utilizzando strategie multisettoriali.L’Oms stima che ogni anno oltre 1,7 miliardo di persone sono colpite da queste malattie.

foto: Archivio foto Aifo

Quali sono i vostri progetti nel mondo per combattere la lebbra e le sue cause?

Gazzoli: L’azione di Aifo si fonda su tre obiettivi principali: interrompere la catena di trasmissione della malattia; prevenire le disabilità causate dalla malattia; promuovere e sostenere l’inclusione sociale delle persone colpite, eliminando le barriere politiche, sociali e culturali. Quindi, un’azione che non è focalizzata unicamente sugli aspetti epidemiologici e sanitari, ma che si basa su un approccio multisettoriale che include programmi di riabilitazione fisica e socioeconomica, utilizzando l’approccio dello “sviluppo inclusivo su base comunitaria”. Per superare la povertà e l’emarginazione, che a loro volta riproducono malattie ed esclusioni, Aifo promuove il coinvolgimento delle persone a cui sono rivolte le iniziative e della comunità in cui vivono. L’Aifo attualmente gestisce iniziative di controllo ed eliminazione della lebbra in cinque Paesi (India, Brasile, Mozambico, Guinea Bissau e Cina), in collaborazione con i governi locali, associazioni della società civile e congregazioni religiose.

foto: Archivio foto Aifo

Il papa, in un messaggio inviato ai partecipanti al II Simposio sulla malattia di Hansen, ha evidenziato che “lo stigma legato alla lebbra continua a provocare gravi violazioni dei diritti umani in varie parti del mondo”. Come combattere anche i pregiudizi?

Lissoni: Lo stigma nei confronti delle persone colpite dalla lebbra è ancora oggi un grave problema. I programmi contro la discriminazione sociale sono presenti ma stentano ad essere applicati. Conseguentemente, dopo il trattamento, le persone, soprattutto se presentano disabilità, rimangono isolate, senza lavoro e senza opportunità di essere reinserite socialmente. Per superare la povertà e l’emarginazione, che a loro volta riproducono malattie ed esclusioni, Aifo promuove il coinvolgimento delle comunità nel prendere coscienza dei fattori di rischio, sul piano sanitario e socioeconomico, nel superare paure ancestrali e pregiudizi che condannano chi è colpito dalla lebbra, da altre malattie e da disabilità all’esclusione dalle comunità stesse. Lavoriamo anche con le autorità locali per promuovere e sostenere l’inclusione sociale delle persone colpite, eliminando le barriere politiche, sociali e culturali. È un lavoro multisettoriale ma estremamente necessario per fermare lo stigma e la malattia stessa.

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Sport

La Gelbison non si doma: per il Taranto la musica non cambia allo Iacovone

30 Gen 2023

di Paolo Arrivo

La settimana è stata importante, e piena di nomi che hanno animato il mercato: Luca Crecco, Giacomo Sciacca, Francesco Citarella, Gaston Romano. Rinforzi, i primi tre, utili al proseguimento della marcia in campionato. Mentre “Chapi” se n’è andato, ha firmato la risoluzione del contratto che lo legava al Taranto. La squadra sul campo, dopo il pareggio con la Fidelis Andria, giusto come risultato, era chiamata a confermarsi, tra le mura amiche dello stadio Erasmo Iacovone. L’avversario Gelbison aveva messo ko i rossoblu nella partita del girone d’andata. Stavolta non ci è riuscito, ma la musica non è cambiata per il Taranto allo Iacovone: nonostante il potenziamento della rosa, i rossoblu hanno collezionato un altro zero a zero – il terzo consecutivo. Ovvero confermato i propri limiti sotto porta e l’incapacità di tessere trame di gioco degne di nota.

Il match Taranto-Gelbison

In una serata fredda ma non gelida, bagnata anche dalla leggera pioggia, il primo brivido arriva dopo pochi secondi: Tommasini prova a sorprendere Anatrella che, in una uscita avventurosa, aveva lasciato sguarnita la porta. Al 18’ Antonini di testa impegna lo stesso portiere dagli sviluppi di calcio d’angolo. Quattro minuti dopo ci prova Romano dalla distanza. Al 39’ Tumminello crea la prima occasione della Gelbison: stoppa e tira di sinistro dal limite, con la palla che finisce alta sopra la traversa.

Nel secondo tempo, dopo venti minuti di noia, ci prova Graziani tra gli ospiti con un tiro velleitario da fuori area. Al 22’ combinazione pericolosa di Fornito-Savini. Poi ci prova Correnti con un tiro a giro. Al 39’ si rivede il Taranto: una sforbiciata in area di Semprini, para Anatrella, respingendo su Provenzano, che però colpisce debolmente. A tre minuti dal 90esimo Vannucchi chiude su De Sena che lo stava per dribblare al termine di un’azione. Nel terzo dei quattro minuti di recupero concessi dall’arbitro, il signor Ermes Fabrizio Cavaliere di Paola, la Gelbison finisce in inferiorità numerica: viene espulso Papa per somma di ammonizioni.

Fotogallery by Giuseppe Leva

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Otium

Murales più bello al mondo: anche Taranto in lizza

29 Gen 2023

di Marina Luzzi

Potrebbe essere proprio Taranto ad avere il dipinto su muro più bello al mondo. L’opera, intitolata “L’amore è più forte della morte”, è stata realizzata dall’artista olandese JDL, Judith de Leeuw, su un palazzo al quartiere Paolo VI, nell’ambito della terza edizione del progetto Trust, Taranto Regeneration Urban and Street, che nel dicembre 2022 ha prodotto altre undici opere su altrettanti muri della città. Dopo una selezione durata un anno, la community Street Art Cities ha individuato 100 murales in tutto il mondo che concorrono per il titolo di “Best Street Art of 2022 Awards”. Tra le opere italiane selezionate c’è anche quella di Taranto. «Tutti possiamo imparare qualcosa dalle persone che non vediamo più. Questa è la quarta parete dedicata alla memoria di mio padre, morto da poco. Una presenza fisica che rimane intatta» – ha commentato JDL dopo aver realizzato l’opera, che può essere votata ancora per qualche giorno, fino al 31 gennaio. Basta scaricare l’app Street Art Cities e cercarla (www.streetartcities.com). «Io credo che questa notizia sia un motivo d’orgoglio e una gratificazione per tutti i tarantini. D’altronde – dice Giacomo Marinaro, direttore artistico del progetto Trust – non è solo un’opera che viene vissuta dalla città e nella città ma un’opera che i tarantini hanno visto nascere da zero. Noi siamo molto contenti di essere in questa selezione, ci fa piacere e difendiamo questo risultato. Va ricordato però che in questi tre anni Taranto ha avuto modo di ospitare tanti artisti di qualità, che hanno lasciato opere altrettanto meritorie. Fare una selezione su quale sia la più bella diventa davvero qualcosa di personale. Per quanto mi riguarda è difficile». Il progetto Trust, nasce dal connubio tra le associazioni Rublanum e Mangrovie e «i risultati interessanti che stiamo ottenendo sono proprio frutto del clima di fiducia che c’è tra noi – prosegue Marinaro – e con l’amministrazione comunale, che ci ha dato carta bianca sulle scelte artistiche, e non è scontato. Come si sceglie un artista? Ci sono criteri personali ma anche studi fatti. Io per esempio giro per molti festival, sono in contatto con tanti artisti per tutto l’anno e sono loro che spesso si consigliano a vicenda o che si propongono. Poi è chiaro che io scelgo anche in base al muro, alla sua grandezza, al luogo, al contesto. Anche la scelta dei muri non è facile e viene fatta insieme all’amministrazione comunale. È facile intuire che se si tratta di un palazzo privato, l’iter è diverso che se è di proprietà pubblica. Con il privato è tutto più lungo. È il condominio a dover approvare. Penso al Nettuno che campeggia sul lungomare.  Quando dipingi un palazzo di 45 metri di altezza da terra è difficile mettere d’accordo tutti ma alla fine la fortuna è che il fenomeno della street art e la nostra idea piace, quindi anche con processi lunghi non abbiamo mai avuto grossi problemi». Un lavoro, quello dell’artista olandese, che è arrivato fin su Rai 3. Infatti sabato sera, durante il programma di Massimo Gremellini “La Parola”, Jacopo Veneziani, divulgatore e storico d’arte, nella sua rubrica artistica, ha raccontato e analizzato il murales, paragonando l’opera alla scultura “Il ratto di Proserpina” del Bernini.

 

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Ecclesia

Giorno della memoria – card. Zuppi: “Contrastare ogni forma di razzismo, antisemitismo e discriminazione” anche digitale

foto Siciliani-Gennari/Sir
27 Gen 2023

La Giornata della memoria è “un appuntamento che impone a tutti non solo di ricordare la brutalità compiuta, ma di contrastare ogni forma di razzismo, antisemitismo e discriminazione” che “sono semi insidiosi, che riappaiono in maniera inquietante, che si nutrono di indifferenza e ignoranza, giustificano atteggiamenti e parole, sempre pericolose, come ad esempio il razzismo digitale”. Lo dichiara il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, in occasione della Giornata della memoria. Per il cardinale, la ricorrenza del 27 gennaio “onora la memoria di quelle vittime, ci aiuta a capire il nostro passato (perché sono nostri fratelli e sorelle), a raccoglierne la dolorosa eredità consegnata perché ci rendiamo conto e non accada più”: “Non si deve trasmettere soltanto un’informazione ma occorre toccare il cuore. In un momento così difficile, pieno di inquietanti semi di violenza, confrontandoci con la terribile logica della guerra frutto sempre della crescita di inimicizia e disprezzo della vita, la memoria delle vittime deve imporci un nuovo impegno per costruire un mondo di pace”. Citando Etty Hillesum, il card. Zuppi conclude: “Fratelli tutti, la grande visione riproposta da papa Francesco, è possibile a tutti e necessaria per tutti, consapevoli che non può essere solo un auspicio ma un impegno”.

 

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Ricorrenze

Giornata della Memoria: il monito del prefetto Demetrio Martino

27 Gen 2023

di Marina Luzzi

Dopo due anni di stop a causa della pandemia, anche le istituzioni locali tornano a celebrare la Giornata della Memoria. Questa mattina il prefetto di Taranto Demetrio Martino ha consegnato la Medaglia d’Onore concessa dal Presidente della Repubblica alla figlia di Giuseppe Angelini, deportato in un lager nazista durante il secondo conflitto mondiale. Un momento toccante che si è inserito nel programma che ha visto protagonisti un centinaio di studenti provenienti da istituti di Taranto e provincia (liceo Archita, liceo Battaglini, liceo Artistico Calò di Grottaglie, liceo Vittorino da Feltre, liceo Tito Livio di Martina Franca, istituto alberghiero Mediterraneo di Pulsano, istituto alberghiero Elsa Morante di Crispiano e poi le scuole Archimede, Cabrini,  Einaudi di Manduria, Liside, Mondelli di Massafra, Pacinotti, Righi). Nel corso della mattinata spazio al dibattito, con Stefano Vinci, Docente di Storia del Diritto italiano del Dipartimento Jonico dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro, che insieme ai ragazzi ha parlato della Shoah in Puglia . Sono state anche esposte, per l’occasione, opere pittoriche a tema realizzate dagli allievi del locale liceo artistico Calò di Taranto ed eseguiti brani musicali a cura dei musicisti allievi del liceo Archita. «Oggi, dopo due anni di pandemia, riprendiamo le celebrazioni di una tappa annuale – ha commentato il prefetto con i giornalisti- una data importante con cui noi proponiamo a tutta la comunità tarantina, istituzioni, adulti, ragazzi, di aderire insieme ad un patto che quello di comportarsi nel quotidiano in modo da impedire che crescano rigurgiti di antisemitismo e odio razziale nella nostra terra. Non è solo un servizio di memoria sull’Olocausto, che come sapete è un obbligo di legge, ma è un modo per rinnovare questo impegno in nome della memoria di quelli che hanno perso la vita in quegli anni maledetti; è un modo per rinnovare le basi per una società più giusta, libera, in cui tutti difendono i più deboli. Ci dispiace non poter avere più la presenza dell’insignito  ma la consegna della medaglia alla figlia e  anche questo è un monito per noi e le future generazioni. Dobbiamo avere la consapevolezza che quello che è accaduto è reale, è che l’uomo è capace di cadere in questo baratro e allora dobbiamo far crescere il nostro sistema immunitario sociale per cui sia cosa viva davvero quel “mai più” che diciamo».

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Ricorrenze

Comunità di Sant’Egidio: lunedì, a Milano, si farà memoria di tutti coloro che furono deportati dalla Stazione centrale il 30 gennaio 1944

foto d'archivio Afp/Sir
27 Gen 2023

Lunedì 30 gennaio  la Comunità di Sant’Egidio di Milano invita a fare memoria di tutti coloro che furono deportati dalla Stazione centrale il 30 gennaio 1944 e nei mesi successivi. La senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta, partita per Auschwitz dalla Stazione centrale all’età di tredici anni, il 30 gennaio 1944, porterà la sua testimonianza.
Interverrà Gherardo Colombo, già magistrato e autore, con Liliana Segre, del libro “La sola colpa di essere nati”. Interverranno inoltre rav Alfonso Arbib (rabbino capo di Milano), Roberto Jarach (presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano), Walker Meghnagi (presidente Comunità ebraica di Milano), Elisa Giunipero (Comunità di Sant’Egidio). Per affermare il rifiuto dell’indifferenza verso le tragedie attuali, si ascolterà la testimonianza di un rifugiato dall’Afghanistan, scappato dai talebani grazie ai corridoi umanitari di Sant’Egidio, ora studente universitario a Milano. Una rappresentante dei Giovani per la Pace, movimento giovanile di Sant’Egidio, leggerà alcuni brani sul valore della memoria. Le note del musicista rom Jovica Jovic ricorderanno lo sterminio dei rom e dei sinti. Un coro di studenti del liceo Carducci di Milano accompagnerà la commemorazione con canti e musiche.
La commemorazione giunge quest’anno alla sua ventisettesima edizione consecutiva, da quando – il 30 gennaio 1997 – la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica, insieme con Liliana Segre, e poi negli anni anche con Nedo Fiano e Goti Bauer, si ritrovarono per fare memoria della deportazione nel luogo da cui partirono i convogli per i campi di sterminio che allora era un umido e buio sotterraneo; da quel ricordo, ripetuto ogni anno, è nata l’idea del Memoriale della Shoah.
Diversi giovani milanesi ascolteranno l’evento in presenza al Memoriale della Shoah, per testimoniare il loro impegno alla “responsabilità della memoria”.

L’evento è anche trasmesso in streaming online (diretta Facebook e YouTube).

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Ricorrenze

Giorno della Memoria – Fiano (Com. ebraica Milano): “Essere ebreo: un’identità e un ‘compito’ verso la storia e l’umanità”

“Cosa vuol dire essere ebrei? Vuol dire essere fedeli di una religione? Oppure sentire di far parte di una tradizione o di una storia particolare?”: a questi ed altri interrogativi tenta di rispondere il libro “Ebreo. Una storia personale dentro una storia senza fine”

Ingresso di Auschwitz - foto redazione Sir
27 Gen 2023

di Maria Silvia Cabri

“Cosa vuol dire essere ebrei? Vuol dire essere fedeli di una religione? Oppure sentire di far parte di una tradizione o di una storia particolare?”. Questi e altri interrogativi sono alla base di “Ebreo. Una storia personale dentro una storia senza fine”, il nuovo libro che Emanuele Fiano, presidente emerito della Comunità ebraica di Milano, figlio del deportato e sopravvissuto Nedo, ha presentato ieri a Carpi nell’ambito delle iniziative promosse dalla “Fondazione Fossoli” per il Giorno della Memoria.

foto Notizie Carpi

Come definisce il suo libro?
Non è un saggio sull’ebraismo, ma è una sorta di mappa di formazione personale e culturale sul significato dell’identità ebraica oggi. Non proverò a dimostrare una tesi o a confutarne un’altra; non vi troverete una professione di fede, e neanche di ateismo. Non vi troverete in alcun modo il tentativo di dimostrare la superiorità di un pensiero, di un credo o di una tradizione rispetto a un’altra. Al di là dei riti di passaggio, che cosa vuol dire essere ebreo oggi? E c’è un’unica risposta? Tra esperienze personali, momenti formativi e difficoltà incontrate, cerco di rispondere a questi interrogativi accompagnando il lettore dalle radici profonde dell’ebraismo fino ai confini più personali.

“Ebreo” recita il titolo. Cosa significa per lei essere ebreo oggi?
Essere ebreo, per me, significa sentire sulla mia pelle un’identità che è anche un “compito” verso la storia e l’umanità. Un’identità che insegna la responsabilità verso se stessi e verso gli altri che abitano il nostro mondo.

Lei è un italiano di origine ebraica: come coesistono le due realtà?
L’identità di una persona è multiforme, presenta varie sfaccettature. La mia famiglia si trova in Italia da un paio di millenni, siamo italiani nelle nostre radici, il che coesiste con avere anche diverse radici culturali.

Giovani studenti israeliani in visita al campo di Auschwitz (Foto redazione Sir)

In riferimento all’antisemitismo, che quadro delinea nel nostro Paese?
Purtroppo quest’atteggiamento è in aumento e non solo in Italia; in Francia è ancora più accentuato, e poi c’è in America, nei Paesi Arabi. Nel mondo occidentale e nel nostro Paese, ho constato che l’antisemitismo aumenta in presenza di momenti di difficoltà socio-economica, quando le persone stanno male e cercano un capro espiatorio per accusarlo di qualcosa. Si pensi alla “caccia all’ebreo” durante le due dittature. Oggi, altri gruppi sociali sono additati come obiettivi di odio.

Quali sono, secondo lei, le ragioni?
Le persone provano rabbia per la loro condizione, la rabbia poi si trasforma in frustrazione che a sua volta diventa paura, mancanza di speranza nel futuro. Nella storia del mondo occidentale degli ultimi duecento anni, queste persone hanno sempre cercato in altre popolazioni la ragione del loro male che dipende dalle condizioni della storia o da altri motivi. Si pensi, per restare sull’attualità, alla pandemia: tutti stavano male, avevano paura, non trovavano soluzioni immediate. Così hanno iniziato a diffondersi voci di un complotto, anche di origine ebraica. Ancora, in concomitanza della crisi finanziaria della passata legislatura, c’è stato un senatore del M5S che ha scatenato un’accesa polemica dopo un suo tweet in cui condivideva un articolo in cui si parla della creazione dei “Protocolli dei Savi di Sion” (il celebre falso creato dalla polizia zarista sul quale si basa buona parte della retorica antiebraica contemporanea, ndr). Quando a gennaio 2021 c’è stato l’assalto al Congresso degli Stati Uniti, da parte dei sostenitori di Donald Trump, tra le prime file c’erano persone che indossavano magliette con scritte antisemite, come “Campo Auschwitz” o “Six million is not enough”. Questi atteggiamenti sono molto frequenti nei momenti di crisi, quando non ci sono punti di certezza per il futuro e neppure spiegazioni, così si ricorre a vecchi paradigmi/credi/leggende o, come diremmo noi oggi, fake news. Il che vale non solo per gli ebrei, ma anche per i neri, gli omosessuali. La storia si ripete, anche se voglio essere ottimista, ci stiamo facendo gli “anticorpi” per questo.

foto Notizie Carpi

Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria: pensa che questa ricorrenza abbia davvero un concreto significato o c’è il rischio che sia trasformata in ritualità vuote di contenuto?
Personalmente sono soddisfatto di quello che viene fatto e che io stesso porto avanti negli incontri con gli studenti nelle scuole. Poi ovviamente dipende: se il tutto viene fatto passare sotto silenzio, allora non serve a nulla. Se invece si trasmette autenticamente la memoria, si forniscono strumenti alle giovani generazioni, si consente ai ragazzi di poter trarre dalla storia una lezione per il futuro: come nasce il pregiudizio razziale, perché è importante difendere la democrazia.

Campo Concentramento di Fossoli, Carpi. (Foto Fondazione Fossoli)

È stato più volte all’ex campo di concentramento di Fossoli: che sensazione ha provato camminando in quel luogo?
È come se fosse una stanza della casa della mia famiglia. Per indici persone della mia famiglia quel campo è stata l’ultima “casa”. Mio padre, Nedo Fiano (morto a dicembre 2020 a 95 anni, ndr) era stato a Firenze, aveva 18 anni, era il 6 febbraio 1944. Da lì è stato traferito nel campo di transito di Fossoli, con altri undici membri della sua famiglia. E infine ad Auschwitz, dove arrivò il 16 maggio del 1944. Fu l’unico superstite. I nazisti in fuga lo trasferirono a Buchenwald, dove l’11 aprile 1945 arrivarono gli americani.

Tornando al suo libro, perché ha scelto l’immagine iconica di David Ben Gurion, uno dei fondatori dello Stato di Israele, a testa in giù, su una spiaggia d’Israele?
Non basta essere ebrei, se non pensi la tua ebraicità come un progetto, a costo di avanzare anche a testa in giù, come qualcosa che traendo forza dalla radice della tua storia, dalla tradizione e a prescindere dal tuo convincimento più intimo, conduca te stesso verso la tua responsabilità nel mondo.

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Ricorrenze

Giorno della Memoria: iniziative in tutta Italia per combattere “il pericolo dell’oblio”

“Io penso che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà solo una riga sui libri di storia e poi neanche più quella”: a lanciare il durissimo monito è la senatrice a vita e testimone della Shoah, Liliana Segre

foto Moked
27 Gen 2023

di Maria Chiara Biagioni

Mostre, incontri, presentazioni di libri, eventi per le scuole, concerti, spettacoli e proiezioni cinematografiche: sono centinaia, anche quest’anno, gli eventi organizzati in tutta Italia per celebrare il Giorno della memoria, il 27 gennaio, e ricordare i milioni di ebrei vittime dell’Olocausto e la persecuzione e l’uccisione di sinti e rom, omosessuali e oppositori politici. Da Roma a Trieste, le iniziative sono state presentate nei giorni scorsi a Palazzo Chigi. Per la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni, “la Shoah non è solo un fatto ebraico”, ma “un tema che riguarda il ventennio fascista della storia italiana. La sfida non è tanto quella di affrontare il negazionismo, che pure abbiamo vissuto, ma l’abuso, la banalizzazione e la strumentalizzazione della Shoah e saperla collocare nel contesto storico nel modo più corretto”.

È stata la senatrice a vita e testimone della Shoah, Liliana Segre a lanciare un monito fortissimo. Lo ha fatto in occasione della presentazione con il sindaco Giuseppe Sala del calendario di iniziative organizzate nella sua Milano per il 27 gennaio. “Il pericolo dell’oblio – ha detto – c’è sempre. Io penso che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà solo una riga sui libri di storia e poi neanche più quella”. “So cosa dice la gente del Giorno della Memoria – ha aggiunto -. La gente già da anni dice, ‘basta con questi ebrei, che cosa noiosa’”.

Da sempre, la senatrice a vita combatte con forza contro questo oblio. È grazie a lei se a Milano esiste un luogo come il Memoriale della Shoah, sotto alla Stazione Centrale. Proprio da lì, dal Binario 21, partivano i deportati per i campi di sterminio nazisti e da lì è partita anche lei quando era una ragazzina, insieme al padre che non è più tornato. Grazie alla senatrice, in occasione del 27 gennaio, tra le vie della città girerà un tram della linea 9 con una livrea di papaveri rossi, simbolo di rinascita e sulla fiancata la scritta “27 gennaio – Giorno della Memoria” e “Memoriale della Shoah – Binario 21 – Stazione Centrale”. “Finalmente – ha aggiunto Segre – prima di morire vedo la mia Milano con il mio tram travestito con scritto ‘Giorno della Memoria’ e i papaveri rossi, su cui non posso salire perché ho la scorta e do fastidio. Tra poco non lo darò più”.

Immediate le reazioni alle parole di Liliana Segre. “La senatrice a vita – commenta al Sir Milena Santerini, già coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo – esprime la sua preoccupazione e lo fa per risvegliare le nostre coscienze ma noi ci siamo. Stiamo lavorando con lei e con tutti gli altri sopravvissuti alla Shoah proprio perché questo oblio non avvenga”. “La riflessione è cupa”, osserva Santerini, “perché si vedono purtroppo segnali di ritorno e nostalgie e si registra nei giovani un indebolimento della forza della comunicazione di quello che è stata la Shoah. Più che una negazione, assistiamo ad una banalizzazione della Shoah che è frutto di una distorsione storica. La più eclatante è quando si paragona, per esempio, la Shoah al vaccino. Credo che siano questi i motivi del suo pessimismo. Allo stesso tempo – aggiunge la coordinatrice -, Liliana Segre mantiene una grande forza civile, continua a parlare e la sua voce è molto importante come lo è quella di ciascun sopravvissuto.

Sono voci che resisteranno: abbiamo la ricerca storica, abbiamo i fatti e i luoghi”. Santerini ricorda a questo proposito la creazione di una Rete nazionale tra sei luoghi italiani della Memoria della Shoah e aggiunge: “Abbiamo anche tutta una letteratura. Ricordiamo la potenza della voce di Primo Levi. Pur nel pessimismo e nella amnesia che si registra nel Paese, noi dobbiamo continuare ad agire. Ci sono tanti giovani che lo stanno facendo. Saranno loro le candele della memoria, come li chiama Liliana Segre”. La lotta contro “il pericolo dell’oblio” – dice Santerini – si fa “in tanti modi. Come coordinatrice della lotta contro l’antisemitismo, ho lavorato ad una strategia che ha tanti risvolti. L’esempio forse più importante sono le Linee guida contro l’antisemitismo nella scuola che il ministero dell’Istruzione sta diffondendo in tutti gli uffici scolatici italiani. Stiamo ragionando con gli insegnanti per capire appunto come reagire anche contro anche pregiudizi spessi inconsci. Abbiamo fatto quindi passi molto importanti a livello delle scuole di cui vedremo i frutti in futuro”.

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Diritti negati

La denuncia dell’ass. Babele: “Bene l’istituto di cittadinanza inclusiva, ma il territorio tarantino per gli immigrati è sempre più ostile”

Grandmothers keep their grandchildren warm with the help of blankets provided by UNICEF in Zangi Brohi Village, Dadu District, Sindh.
27 Gen 2023

 Apprendiamo con piacere dell’approvazione in consiglio comunale di Taranto di una mozione finalizzata al riconoscimento della creazione dell’istituto della cittadinanza inclusiva. Una misura certamente simbolica, ma che vuole essere dimostrazione di una cultura solidaristica e tesa al riconoscimento dei diritti. Ringraziamo per aver informato l’opinione pubblica anche i consiglieri comunali contrari alla mozione che si esercitano nella banalità di sottolineare la non efficacia di legge di questo atto. 

Se da una parte, quindi, si cerca di costruire politiche inclusive e di riconoscimento, il territorio tarantino per gli immigrati diventa sempre più ostile: si susseguono aggressioni e rapine anche a mano armata ai danni di cittadine e cittadini stranieri, e la principale autorità rappresentante dello Stato, la Prefettura, si ostina a costruire condizioni di insicurezza per gli stessi soggetti. 

È il caso delle persone richiedenti asilo, in maggioranza provenienti dall’Afghanistan, ai quali viene negato l’accesso alle misure di accoglienza previste dalla vigente legislazione, e che costringono gli stessi a vivere per strada o in rifugi di fortuna, denutriti, esposti a pericoli e intemperie. Nonostante le segnalazioni e le diffide, la Prefettura di Taranto ha inteso opporre un silenzioso e ostinato rifiuto ad adempiere agli obblighi di legge. 

Un accanimento verso queste persone che ha costretto l’intervento degli organi giudiziari con un ricorso al Tar, il quale ha ordinato, come misura cautelare provvisoria, alla Prefettura di Taranto l’immediata presa in carico dei richiedenti asilo e si riserva nel prossimo giudizio la richiesta di risarcimento del danno materiale e morale. A poco vale la difesa della Prefettura che giustifica il comportamento tenuto come derivante dallo stato di congestione delle strutture di accoglienza: non esiste alcuna informazione condivisa sulle stesse e sulla loro gestione. Da anni vi è un rifiuto netto al confronto con le organizzazioni del settore per una gestione trasparente e condivisa delle politiche migratorie sul territorio locale. 

L’auspicio degli scriventi, quindi, è di recuperare e riattivare luoghi e modi di partecipazione all’inclusione di soggetti portatori di diritti e che anche il Comune di Taranto partecipi a sollecitare le autorità competenti a non costruire sul territorio situazioni di disagio e esclusione.

 avv. Daniela Lafratta 

Enzo Pilò Babele Aps

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Diocesi

Giovedì 2 febbraio, nel salone della Provincia, “Spirto Gentil: don Giussani e la Musica”

27 Gen 2023

di Massimo Sabbatucci

In occasione dell’appena trascorso centenario della nascita di mons. Giussani la cittadinanza tutta è invitata all’evento: “Spirto Gentil: don Giussani e la Musica che si terrà giovedì 2 febbraio 2023, alle 19.30 nel Salone di rappresentanza della Provincia, in via Anfiteatro 4, a Taranto.

La proposta è fatta dalla locale comunità di Comunione e Liberazione, realtà ecclesiale radicata da anni nel nostro territorio e nella nostra città; città che ha ospitato il Servo di Dio mons Giussani, tra i protagonisti della “Settimana della Fede” del 1986.

Nell’occasione, mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, interverrà con una testimonianza della sua personale conoscenza con don Giussani, del significato che un tale incontro ha avuto nella sua vicenda umana, vocazionale e pastorale.

L’incontro sarà tenuto dal prof. Pier Paolo Bellini (compositore, musicologo e sociologo, docente all’Università del Molise). Il prof. Bellini racconterà l’importanza che ha avuto la musica nella vita e nella proposta educativa di don Giussani, come potente strumento evocativo dell’umano, come esigenza di compimento e aspirazione alla totalità attraverso la sua personale esperienza e l’ascolto di brani significativi, tra i preferiti dal Servo di Dio, don Luigi Giussani. Un’importanza, quella della musica nella vita di don Giussani, testimoniata anche dalla collana discografica “Spirto Gentil”, dal 1997 al 2010, di cui il prof. Bellini è stato General Editor, che vide l’uscita di 52 cd con esecuzioni delle opere e degli autori a lui più cari.

Spirto gentil è stata una profonda lettura della grande musica, guidata dalle personali riflessioni di don Giussani. Giussani imparò in famiglia a riconoscere nella musica una via privilegiata di percezione del bello come splendore del vero, capace di suscitare e tenere vivo il desiderio della “Bellezza infinita”, riconoscendovi così una modalità eccezionale attraverso cui il Mistero parla al cuore dell’uomo. Trasmettere ai giovani e agli adulti questa esperienza tanto decisiva lo spinse a utilizzare sistematicamente l’ascolto della musica come strumento privilegiato per l’educazione. Così nacque la collana musicale fondata nel 1997, che per tredici anni propose una selezione di brani di eccezionale valore e un prezioso corpus di scritti dello stesso Giussani, ma anche di critici, musicologi e compositori.

 

L’avanzare della musica è come luce che si inoltra nella trama della nostra giornata.

(Luigi Giussani)

 

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