“Non ci sono i fondi? E allora a Juba ci andremo a piedi!”. Quella che era nata come una semplice battuta si è trasformata in una vera e propria esperienza di Chiesa in cammino.
Rumbek, 25 gennaio, ore 6.40. La sveglia suona presto nella capitale dello stato dei Laghi, in Sud Sudan. Per 60 giovani quello che si apre è un giorno nuovo. Provengono da 16 parrocchie. Molti di loro, a causa delle rivalità tra tribù, normalmente non si possono incontrare per svolgere insieme attività culturali. Ma questa volta è diverso. Con il vescovo mons. Christian Carlassare ed insieme a 24 accompagnatori, partiranno alla volta di Juba. Nove giorni di strada a piedi, oltre 400 chilometri, per andare ad incontrare Papa Francesco. Con loro c’è anche Monica, studentessa laureanda in matematica del Politecnico di Torino. Attraverso la fondazione Cesar (Coordinamento enti solidali a Rumbek) – onlus italiana creata una ventina d’anni fa da mons. Cesare Mazzolari (Brescia 1937- Rumbek 2011) per sostenere con progetti di cooperazione e solidarietà internazionale l’attività pastorale portata avanti nella diocesi sudsudanese – Monica si trova nel Paese africano per approfondire i programmi e i metodi dell’insegnamento della matematica. Ed è proprio la giovane studentessa italiana a raccontare, attraverso la pagina Fb e il sito della Fondazione Cesar, l’esperienza del pellegrinaggio “Walking for peace” che ha come protagonisti i giovani di Rumbek.
Monica si è unita al gruppo il 21 di gennaio e insieme ai ragazzi ha partecipato anche alle sessioni di allenamento: 8 chilometri di strada a piedi, sotto il sole cocente.
“22 gennaio. Sveglia all’alba nel compound delle Loreto Sisters di Rumbek e inizio allenamento in preparazione al pellegrinaggio che prenderà avvio il prossimo mercoledì – si legge sul sito della Fondazione – Ecco Monica insieme alle ragazze della Loreto School che alle 6.15 di questa mattina si sono messe in cammino…”.
Il selfie di rito scattato il 25 gennaio e postato su Fb, poco prima della partenza, racconta la gioia e l’entusiasmo delle giovani della Secondary School.
La prima tappa porta il gruppo fino a Pacong. 20 chilometri percorsi quasi di corsa. Il 27 gennaio il gruppo raggiunge Thonadhuel. 16 chilometri di strada sterrata sotto il sole. Il caldo e la fatica iniziano a farsi sentire, ma l’entusiasmo del gruppo non si spegne.
Il 28 gennaio i giovani pellegrini arrivano nella missione di Mapuordit. La fatica c’è, ma è nulla a confronto con la gioia per il cammino condiviso. Una gioia contagiosa, che coinvolge anche quanti incontrano.
Qualche ora di riposo e poi si riparte. È domenica e i giovani si mettono di nuovo in cammino. C’è ancora tanta strada da fare. La destinazione del giorno è la missione di Yrol, dove ad attenderli c’è una grande festa.
Trascorrono i giorni e i chilometri. È giovedì 2 febbraio. Sono le 8.30 del mattino quando il gruppo arriva a Juba. Anche qui, per accogliergli, sono stati preparati canti e danze. La fatica c’è e si sente, anche tra i più giovani. Le gambe sono doloranti, ma questo non scalfisce l’entusiasmo del gruppo.
“La tentazione di prendere una scorciatoia c’è stata – sottolinea mons. Carlassare, intervistato al suo arrivo a Juba –, ma penso che quando siamo tutti insieme ed abbiamo un ideale comune da perseguire, questo a sì che camminiamo gli uni accanto agli altri e affrontiamo il dolore sostenendoci a vicenda, condividendo con i compagni l’acqua, un piccolo pasto, parlando tra di noi. Certamente quando si parla di cosa c’è dentro il nostro cuore e si condivide con i compagni tutto questo lungo la strada, sembra quasi che i chilometri del tragitto diventino più corti. E il cammino diventa un piacere”.
Giusto il tempo per riprendere fiato e riposare un po’ ed ecco che il gruppo è di nuovo in strada. Con il suo striscione, le bandiere, le magliette colorate, i cappellini e i grandi sorrisi. Il sole splende in cielo e loro sono lì, in strada, ad attendere il passaggio del Papa. Desiderano salutarlo e anche Francesco – ha fatto sapere mons. Carlassare – desidera incontrarli.
“È stata un’esperienza unica! – scrive Monica sul sito della Fondazione Cesar –. Di certo non facile: pellegrinaggio vuol dire alzarsi alle 5, camminare per 4 o 5 ore, preparare il pranzo, dormire per terra e condividere ogni momento; però vuol dire anche vivere tutto con gioia, sentire veramente di essere una comunità e provare sulla propria pelle che può esistere un Sud Sudan senza guerra! È stato molto stancante ma bellissimo, i ragazzi sono molto emozionati per l’esperienza, alcuni non erano mai usciti dal Lakes State, mai visto Juba o il Nilo”.