La carità, come la solidarietà, non è disgiunta dalla lotta alle disuguaglianze
“Anche la Chiesa cattolica che è accogliente nei confronti degli stranieri, lo fa per una questione di buon cuore. È un errore, si tratta di esigenze vitali del Paese, è questione di sviluppo organico della società”. Franco Ferrarotti, sociologo, 97 anni, è intervenuto nei giorni scorsi nel dibattito sul razzismo in Italia. Il suo accenno al “buon cuore” arriva in un mondo, vicino e lontano, sconvolto dalla crudeltà.
C’è una parte mancante nella valutazione del sociologo: il “buon cuore” nella vita e nella visione del cristiano e dell’uomo pensante richiama il ruolo della coscienza. La carità, come la solidarietà, non può fare a meno della lotta alle disuguaglianze, non può rinunciare alla difesa e alla tutela della dignità della persona.
Cosa vuol dire il sociologo con l’affermazione che “l’Italia ha un estremo bisogno di manodopera straniera” perché “siamo un popolo senescente”? Se si vedesse nell’immigrazione solo una risorsa senza volto per risolvere i problemi economici e sociali non si compirebbe un’ulteriore offesa alla persona?
Il cuore non batte per sé stesso, fa circolare il sangue nel corpo rendendolo vivo e attivo.
C’è una dottrina sociale della Chiesa, c’è un magistero di papa Francesco, ci sono pensieri e azioni di laici a confermarlo. La carità si svuota se non è unita al coraggio di prendere la parola per denunciare disuguaglianze, disattenzioni e chiusure, se non ritiene importante educarsi ed educare al bene comune, se si esonera dal costruire un rapporto critico e responsabile con la politica.
La carità dice che la collaborazione con le istituzioni non basta, occorre che diventi corresponsabilità e c’è corresponsabilità se i cittadini partecipano ai progetti e alle scelte, se verificano l’attività istituzionale alla luce dei principi fondamentali della Costituzione.
Questo è il passo necessario per vincere la sfiducia e lo scoramento che alimentano l’astensionismo e l’indifferenza, due voraci tarli della democrazia.
Il “buon cuore”, cioè l’umano, può dunque aprire un capitolo nuovo della storia, può ridare vita al pensiero politico, può fare della politica una forma alta ed esigente di carità, può esigere ad alta voce l’attuazione dei diritti della persona e della casa che abita.
Anche in un tempo di debolezza culturale il “buon cuore”, che nulla ha a che fare con il buonismo autoconsolatorio, fa scorrere nelle venne del corpo sociale la passione per l’uomo.
E’ vero, questo percorso non è nel campo di osservazione del sociologo ma al sociologo dice che il “buon cuore” della Chiesa anche nell’accoglienza degli stranieri non è un errore.