Francesco ordinato diacono permanente a Bologna ma è nativo di Grottaglie e cugino di mons. Ligorio
È stato ordinato diacono permanente lo scorso 12 febbraio a Bologna, coronando una vocazione maturata nel tempo. Stiamo parlando di Francesco Monaco, originario di Grottaglie, cresciuto nella parrocchia del Carmine, chiesa particolarmente ricca di vocazione, dalla quale proviene, tra i tanti altri, anche l’arcivescovo metropolita di Potenza, Salvatore Ligorio, che è suo cugino, e che solo il giorno prima aveva festeggiato i 25 anni dell’ordinazione episcopale e poi è volato a Bologna per partecipare all’ordinazione di Francesco. In questi giorni il nuovo diacono è tornato a Grottaglie per salutare la mamma e i parenti, e ha assistito don Ciro Santopietro nella messa domenicale.
Nato nel 1964, ultimo di quattro fratelli, Francesco dopo il liceo ha proseguito gli studi e Lecce e qui ha iniziato, dopo la formazione in scienze religiose, a insegnare religione, si è sposato e poi si è trasferito a Bologna, dove è poi nata sua figlia. Lo abbiamo incontrato proprio in parrocchia e gli abbiamo rivolto alcune domande.
Partiamo dal diaconato: un’istituzione importante, forse poco apprezzata, ma utile.
Il Concilio Vaticano II ha ripristinato il ministero del diaconato ed è stata una cosa importantissima perché in qualche modo ha definito il diaconato come il ministero che conserva il senso del servizio all’interno della Chiesa. È molto importante perché testimonia una Chiesa che deve essere al servizio di tutta quanta l’umanità. Prima del Concilio, il diaconato non aveva tale importanza ed era pensato soltanto come un momento di passaggio per il sacerdozio. Il Concilio ha reso possibile per gli uomini sposati, essere ordinati ed attivare questo che è un servizio prettamente legato alla carità, alla liturgia e alla predicazione della parola.
Come nasce la tua vocazione?
La mia vocazione nasce all’interno di un percorso che ha inizio in giovane età, condiviso con mia moglie. Si è trattato, quindi, di un’evoluzione naturale, nel senso che non c’è stato nessuno strappo, nessun passaggio particolare: un percorso che ha visto una serie di tappe, conclusosi al momento specifico della formazione, nel quale ho integrato gli studi fatti precedentemente, come filosofia e scienze religiose con una licenza in ecclesiologia, più altri piccoli momenti di formazione specifici per il diaconato.
Tu vivi a Bologna, una città che, come altre città del Centro Nord, si caratterizzano, anche per motivi storici, per una scarsa partecipazione alla vita della Chiesa. Quanto è più difficile la tua missione in quel territorio?
Io ho la fortuna di insegnare religione in un liceo di Bologna, evidentemente c’è un contesto culturale più faticoso rispetto a un contesto meridionale. Ma in realtà ci sono tante belle sensibilità che bisogna soltanto provare a intercettare. La fatica, da parte mia, è quella di mettere nella stessa frequenza, di sintonizzarmi con le diverse sensibilità e il fatto che ci sia una sensibilità anche variegata, poiché ci sono anche persone che vengono da altre culture, da altre religioni, è molto importante perché ci si può sentire, come nel mio caso, molto più ricchi.
Papa Francesco ha indetto il Sinodo per riagganciare tutto il sistema Chiesa. Senti anche tu il “problema”?
Sì ci sono dei gruppi sinodali che si incontrano tra di loro e ne discutono, ma il messaggio importante è che la Chiesa si rimette in discussione dal basso e coinvolge tutti quanti a partire dal proprio sacerdozio ministeriale, tutti quanti siamo chiamati a partecipare dallo stesso sacerdozio che ci deriva dal battesimo.