I dieci anni di papato di Francesco e i poveri: quando gli ultimi diventano i primi
“Non ti dimenticare dei poveri!”. Così disse a Jorge Mario Bergoglio un amico fraterno, il cardinale francescano Claudio Hummes, al momento della sua elezione a vescovo di Roma e a successore di Pietro. Un invito che papa Francesco ha interiorizzato incarnandolo nel suo personale magistero pontificio. Che Bergoglio avrebbe fatto della povertà il centro del suo pontificato lo si capì già dalla scelta del nome, Francesco. Con quel gesto, nuovo e dirompente a livello simbolico, il papa ha inserito la propria missione nel solco del pauperismo cristiano: dal poverello d’Assisi, amico di Sorella Povertà, ai “profeti” dell’età contemporanea come Charles de Foucauld, Gauthier, Dossetti. Il nome pontificale di Francesco quindi è ciò che si direbbe un omen nomen: vale a dire “un presagio”, o meglio un “augurio” di quella che sarebbe stata la direzione preferenziale della Chiesa, motivata dal pontefice nell’indicazione programmatica di una “Chiesa povera e per i poveri”; una dichiarazione che richiamava alla mente quella di Giovanni XXIII, in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, per il quale “la Chiesa è e vuole essere la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Proprio in occasione del 50esimo della conclusione del Vaticano II, nel dicembre del 2015, papa Francesco ha indetto il Giubileo straordinario dedicato alla Misericordia, un cammino di conversione spirituale capace di portare la luce del Vangelo nelle periferie geografiche ed esistenziali, dimenticate dall’uomo a causa di un’indifferenza sempre più globalizzata.
Nella teologia di papa Francesco sono i poveri a dettare il ritmo: sono loro al centro dell’Evangelii gaudium la prima esortazione apostolica del suo pontificato, dove Francesco sottolinea come passaggio fondamentale “l’opzione per i poveri”, da intendere come una “forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa” (n. 198).
Questo significa che la vicinanza ai poveri, così come l’esercizio della carità nei loro confronti, non è una prerogativa solo della Caritas o dei volontari. L’amore per i poveri e la loro inclusione nella comunità è una dimensione costitutiva dell’essere cristiano. Riguarda ognuno di noi, che insieme siamo e viviamo come Chiesa. Sono sempre i poveri a rendere il ritmo teologico così incalzante da spingere Francesco a istituire, nel 2017, una giornata a loro dedicata: la Giornata mondiale dei poveri, un’intuizione del pontefice a conclusione dell’anno giubilare.
Esistono molte giornate indette dalla Chiesa, dalla giornata del malato, a quella della pace o delle missioni e via discorrendo. Ma Francesco sceglie il giorno dei poveri come ultimo gesto a sigillo della misericordia di Dio che si rende visibile nei poveri, nella loro povertà sfigurata, nelle loro singole storie di difficoltà, nel loro rappresentare il mistero di Cristo. La povertà non è un concetto astratto, ma è fatto da realtà concrete che si esplicano nei temi delle singole giornate, anno per anno, a partire dalla prima che prende spunto dalla prima lettera di Giovanni: “Non amiamo a parole, ma con i fatti”. Fino ad arrivare all’ultima giornata, quella del 2022, che richiama la lettera di Paolo ai Corinzi, “Gesù Cristo si è fatto povero per voi”, in cui l’apostolo di Tarso si rivolge ai primi cristiani di Corinto, per dare fondamento al loro impegno di solidarietà con i fratelli bisognosi. La Giornata mondiale dei poveri è quindi una sana provocazione che ci aiuta a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente.
Come ha evidenziato l’ultimo Rapporto Caritas su Povertà ed Esclusione Sociale – “L’anello debole” – non esiste una povertà con forma e aspetto univoci, ma la povertà ha mille volti e mille cause. E in questi tempi stiamo vivendo una povertà acuita da una pandemia che ha ferito l’Italia e il mondo intero. Una povertà aggravata anche dalla guerra in Ucraina, alle porte d’Europa, che continua a causare morte e distruzione a un intero popolo e i cui effetti hanno ripercussioni critiche sui vissuti quotidiani di milioni di persone, a livello mondiale. Ma ci sono anche altre povertà, come quella causata da ingiustizie globali che affamano l’Africa e i suoi popoli o quella legata a calamità naturali, come i terremoti che hanno ferito una Turchia afflitta da tempi difficili e una Siria piagata da 12 anni conflitto.
Proprio perché la povertà assume molti volti è importante considerare i due aspetti principali sottolineati da Francesco nell’ultima giornata dei poveri: la povertà che uccide figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà “disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita”. E infine la povertà che libera, forte di un amore vicendevole che ci fa “portare i pesi gli uni degli altri, così che nessuno sia abbandonato o escluso”. Come Caritas abbracciamo quest’ultima povertà che muove dall’amore ed è in grado di creare relazione a partire dalla messa in pratica dei tre verbi che vivificano l’azione della Caritas: Ascoltare, osservare, discernere. Tre verbi, come tre sono le vie della carità, indicate da papa Bergoglio, in occasione del 50esimo anniversario di fondazione della Caritas Italiana: la via degli ultimi, del Vangelo, della creatività.
Ripartiamo insieme dagli “ultimi” – i poveri appunto –, i “primi” destinatari dell’amore rivoluzionario del messaggio di Cristo, e apriamo nelle nostre comunità cammini nuovi perché proprio loro possano diventare i protagonisti del cambiamento.
* Caritas italiana