Diritti umani

Diritti umani, Amnesty: “Ipocrisia degli Stati, doppi standard, repressione delle proteste. Il sistema internazionale è allo sbando”

È stato reso noto oggi, martedì 28 marzo, in tutto il mondo il Rapporto 2022-2023 di Amnesty international, che offre in 575 pagine una panoramica globale, Paese per Paese, della situazione dei diritti umani nel mondo

foto Ansa/Sir
28 Mar 2023

di Patrizia Caiffa

“L’ipocrisia degli Stati occidentali”, i “doppi standard” nelle risposte ai conflitti e alle crisi umanitarie, all’accoglienza dei profughi e alle violazioni dei diritti umani hanno rilevato un sistema internazionale “inadeguato a gestire le crisi globali”, alimentando impunità e instabilità. In più sta aumentando nel mondo la repressione delle proteste pacifiche: in 87 Stati (56%) ci sono state proteste di massa per l’aumento dei prezzi e i tagli alla spesa pubblica. In 80 Paesi su 156, il 54%, c’è stato un uso illegale della forza nei confronti dei manifestanti pacifici e in almeno 94 Stati (60%) maltrattamenti in molti casi equivalenti a torture. In 29 Stati sono state emesse nuove norme per limitare le proteste. In Italia il 2022 è stato l’anno delle “occasioni perse” che hanno impedito di avanzare nel rispetto dei diritti umani. È quanto emerge dal  “Rapporto 2022-2023. La situazione dei diritti umani nel mondo”, presentato ieri a Roma e diffuso oggi in tutto il mondo da Amnesty international (Infinito Edizioni). Guerra, protesta e patriarcato sono le tre parole chiave che riassumono, in sintesi, i temi centrali che hanno caratterizzato lo scorso anno.

I vergognosi doppi standard

“I vergognosi doppi standard spianano la strada a ulteriori violazioni dei diritti umani” La guerra in Ucraina, a cui Amnesty ha dedicato 17 report, ha particolarmente messo in luce questo “doppio standard” dei governi occidentali. La risposta è stata rapida: gli Stati occidentali hanno imposto sanzioni economiche a Mosca e inviato assistenza militare a Kyiv, la Corte penale internazionale ha avviato un’indagine sui crimini di guerra in Ucraina e l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha condannato l’invasione russa come atto di aggressione. “Quello che l’Occidente  è stato capace di fare nei confronti dell’aggressione russa e nei confronti della popolazione con grande fermezza e unità di intenti – ha fatto notare Emanuele Russo, presidente di Amnesty international Italia – non l’abbiamo mai visto in altri contesti”. Gli Stati dell’Unione europea, ad esempio, hanno aperto le frontiere alle persone in fuga dall’Ucraina dimostrando di essere in grado di ricevere grandi numeri di persone in cerca di salvezza e di dar loro l’accesso alla salute, all’educazione e all’alloggio: “Al contrario, molti di quegli Stati hanno chiuso le porte a chi fuggiva dalla guerra e dalla repressione in Siria, Afghanistan e Libia”.
Per non parlare “dell’assordante silenzio” sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, la mancanza d’azione rispetto all’Egitto o alla Cina, lasciati liberi di agire, il “rifiuto di contrastare il sistema di apartheid israeliano nei confronti dei palestinesi”: in Cisgiordania il 2022 è stato “uno degli anni più mortali” con 151 palestinesi uccisi, tra cui decine di minorenni. Senza contare “il fallimento delle istituzioni regionali e internazionali, favorito dagli interessi egoisti degli Stati membri, di fronte alle migliaia di uccisioni in Etiopia, Myanmar e Yemen”, segnala il rapporto. Gli Usa, ad esempio, hanno condannato le violazioni dei diritti umani russe in Ucraina e hanno accolto decine di migliaia di ucraini in fuga dalla guerra; “ma le loro politiche e prassi razziste contro i neri hanno causato l’espulsione, tra il settembre 2021 e il maggio 2022, di oltre 25.000 persone fuggite da Haiti, sottoponendo molte di esse a torture e ad altri maltrattamenti”, rileva il rapporto. A distanza di 75 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani oggi “stiamo assistendo alla messa in ombra di quei valori – ha rincarato Russo -, con prese di decisione sempre più autocratiche e un sistema internazionale allo sbando”.

Il diritto di manifestare esiste ancora?

“Si vuole annullare il diritto di manifestare”: ha denunciato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. In 29 Stati sono state infatti emesse nuove norme per limitare le proteste, che si aggiungono ai 67 Paesi del 2021. Sono stati arrestati manifestanti in almeno 79 Stati (51%), ci sono state uccisioni illegali in almeno 33 Stati (21%) e usate armi legali durante le proteste in almeno 35 Stati (22%).  Pari preoccupazione c’è per l’uso di armi meno letali in 67 Stati (43%): “armi meno letali è una espressione ingannevole perché l’uso improprio o illegale le rende letali”, ha precisato Noury. A questo proposito Amnesty ha lanciato una campagna per l’adozione di un Trattato che vieti la produzione e il commercio di equipaggiamenti per le forze di sicurezza intrinsecamente atti a commettere violazioni dei diritti umani.

Tra le situazioni più eclatanti il rapporto ricorda la feroce risposta delle autorità dell’Iran alle proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini, con molte altre donne e ragazze arrestate, ferite e uccise. Anche le forze di sicurezza del Perú, a dicembre, hanno usato la forza illegale in particolare contro nativi e contadini, per stroncare le proteste seguite alla crisi politica scaturita dalla deposizione dell’ex presidente Castillo. Giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici hanno subito repressione in vari Stati, tra cui Zimbabwe, Mozambico, Afghanistan, Etiopia, Myanmar, Russia, Bielorussia. In Australia, India, Indonesia le autorità hanno introdotto nuove leggi per limitare le manifestazioni mentre lo Sri Lanka ha fatto ricorso ai poteri dello stato d’emergenza per stroncare le proteste di massa contro la crisi economica. Perfino nel Regno Unito sono state introdotte nuove leggi anti-manifestazioni, dando alle forze di polizia poteri molto ampi, compreso quello di vietare “proteste rumorose”. La tecnologia è stata utilizzata come arma per diffondere disinformazione o per ridurre al silenzio o impedire le proteste.

Un mondo ancora dominato dal patriarcato

A pagare un prezzo altissimo sono le donne, le ragazze e le comunità Lgbtq. Dal rapporto emerge “una fotografia del mondo ancora diffusamente patriarcale”, ha constatato Ilaria Masinara, direttrice delle campagne di Amnesty Italia: “La guerra è patriarcale, la repressione della protesta è patriarcale. Gli Stati hanno paura del cambiamento”. In Afghanistan, a seguito di una serie di editti emessi dai talebani, c’è stato un grave arretramento dei diritti delle donne e delle ragazze all’autonomia personale, all’istruzione, al lavoro e all’accesso agli spazi pubblici. Le donne native, anche negli Usa, hanno continuato a subire, in modo sproporzionato, alti livelli di stupro e di altre forme di violenza sessuale. In Pakistan ci sono stati diversi omicidi di donne da parte dei familiari ma il parlamento non ha approvato la legge sulla violenza domestica di cui stava discutendo dal 2021. In India sono rimasti impuniti casi di violenza contro le donne dalit e adivasi e crimini di odio contro le caste.

Il 2022 dell’Italia è stato invece “l’anno delle occasioni perse”, ha spiegato Ileana Bello, direttrice di Amnesty Italia. Persa l’occasione per l’approvazione della legge sulla cittadinanza dei minori figli di stranieri, sull’uso del termine “consenso” nella legge sullo stupro, e non è stata ancora creata una Autorità nazionale di protezione e tutela dei diritti umani, unico Paese in Europa a non averla insieme a Malta. Inoltre nel 2022 “si è continuato ad inasprire le leggi contro le Ong, impedendo più salvataggi dei migranti, obbligando le navi a sbarcare in porti lontani e criminalizzando la solidarietà”. “Ci vuole tanto tempo per fare dei passi in avanti nei diritti – ha concluso Bello – ma basta poco per tornare indietro. L’introduzione del reato di tortura, ad esempio, può essere messa in discussione in un giorno solo”.

 

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