Sguardo al lavoro che sarà … forse
La pandemia, con la sospensione dell’attività di moltissime aziende, ha avuto un grande impatto sul lavoro. Al contempo, ha accelerato processi strutturali di trasformazione, che erano già in atto: si pensi alla spinta allo smart working e alle transizioni digitale e ambientali. Che conseguenze ci sono e ci saranno sul lavoro? Negli anni ’60 del Novecento, la condizione dei lavoratori era molto migliorata, grazie a una economia in forte espansione e a leggi importanti, prima, fra tutte, lo Statuto dei lavoratori. Nei decenni successivi la situazione è diventata più complicata a causa di periodiche crisi economiche e della preponderanza di culture liberiste, ma ciò che ha trasformato il mondo del lavoro sono state due componenti: la globalizzazione dei mercati e le nuove tecnologie. La globalizzazione ha fatto sì che la concorrenza fra lavoratori superasse i confini nazionali. Lo spiega un esempio: le scarpe, anche di notevole qualità, venivano prodotte in vari distretti industriali del Paese e, quindi, i lavoratori, mediante i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali, potevano limitare la concorrenza fra loro e garantirsi condizioni retributive e regole adeguate. Con la globalizzazione, questa opportunità è stata messa in crisi, perché le calzature, come tanti altri oggetti, vengono prodotte a costi più bassi in paesi poveri, laddove i salari sono molto più bassi e le condizioni di lavoro meno o per niente tutelate. L’altro fattore di crisi è costituito dalle nuove tecnologie che diminuiscono, o eliminano, il lavoro umano, causando la perdita di numerosi posti di lavoro. Si pensi a quanti cassieri, negli istituti di credito, non sono più necessari a causa dei bancomat. Negli ultimi anni, l’incidenza di questo complesso di fattori si è accentuata. Vi è stata, inoltre, la crisi del sistema finanziario, cominciata negli Stati Uniti con il fallimento della Lehman Brothers e, da ultimo, la pandemia, che, fra l’altro, ha ridotto i consumi di prodotti e servizi e perciò ha accentuato la crisi occupazionale, specie femminile, portando al ricorso a nuove forme di organizzazione del lavoro, quali, ad esempio, lo smart working. La transizione digitale sta determinando trasformazioni profonde del mercato del lavoro. Sono già, e saranno sempre più richieste, nuove competenze professionali e le nuove tecnologie faranno diventare obsolete molte attività lavorative con ovvie perdite occupazionali, e, al tempo stesso, richiederanno nuove figure professionali. Tutti gli economisti sono divisi fra chi ritiene che le nuove occupazioni non compenseranno le perdite e chi formula previsioni più rassicuranti. È in corso una trasformazione che, per tantissime donne e uomini, non sarà indolore, comporterà disoccupazione, perdita di reddito e di identità. Sarà necessario un percorso di riqualificazione per molti lavoratori, spesso in età in cui è difficile ripartire. I percorsi scolastici e universitari dovranno adattarsi a questi cambiamenti e dovranno offrire gli strumenti culturali per cambiare lavoro più volte nel corso della vita, seguendo trasformazioni non sempre previste. Dovranno, sempre più, insegnare ad apprendere. Anche le politiche attive del lavoro andranno aggiornate: ma, forse, il termine aggiornate non è sufficiente. Nel caso del nostro Paese, è più corretto dire che vanno riviste, rifondate, se non create dal nulla: vi sono troppi disoccupati e troppe aziende che cercano lavoratori. È necessaria un’azione che riguarda la ricerca e la raccolta, intelligente e organica, di dati sulle professionalità disponibili e quelle richieste; la messa in comune di questi dati mediante sistemi informatici collegati in una rete unica nazionale; l’aggiornamento professionale di chi cerca un lavoro; la previsione di quelle che saranno le nuove esigenze delle imprese e delle amministrazioni pubbliche e il collegamento con la scuola e le università. La creazione di un ramo della pubblica amministrazione, attrezzato culturalmente e dotato di competenze, strutture e mezzi idonei a svolgere un ruolo così complesso, dovrebbe essere uno dei punti cardine delle politiche del governo. La trasformazione digitale sta ponendo anche problemi di equità: chi dirige i robot guadagna più e chi prende ordini dai software guadagna meno. L’accentuarsi delle disuguaglianze è una delle svolte politiche più importanti per il futuro perché una democrazia è tale quando si assume il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che frenano lo sviluppo della persona. In tale ottica, la questione salariale non è la sola da considerare, ma il salario minimo, sotto il quale non si può scendere, è una misura, a questo punto, indispensabile in Italia.