La domenica del Papa – Lo Spirito che è con noi
Il giorno dopo l’incontro con il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, accolto dal papa all’ingresso dell’aula Paolo VI in Vaticano (colloquio durato una quarantina di minuti e nel quale si è insistito sulla “necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace”), il vescovo di Roma, al Regina caeli, torna a parlare di pace, e lo fa spostando la sua attenzione sulla Terra Santa. Ricorda che “in questi giorni abbiamo assistito di nuovo a scontri armati tra israeliani e palestinesi, nei quali hanno perso la vita persone innocenti, anche donne e bambini”. Francesco auspica che la tregua tra le parti “diventi stabile, che le armi tacciano, perché con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace”. Come non leggere, in queste ultime parole, un ulteriore messaggio per la fine del conflitto ormai in atto da quindici mesi nel cuore dell’Europa, per chiedere al presidente ucraino e al leader del Cremlino di fermare la guerra. Nei suoi interventi Francesco ha sempre chiesto di attivare processi di dialogo per una pace duratura nel rispetto del diritto e della giustizia. In questa domenica festa della mamma, il papa, nel ricordare con “gratitudine e affetto tutte le mamme”, si rivolge a Maria chiedendole “di alleviare le sofferenze della martoriata Ucraina e di tutte le nazioni ferite da guerre e violenze”.
I testi di questa sesta domenica di Pasqua, siamo ancora nei discorsi di addio di Gesù nel corso dell’ultima cena, in qualche modo ci ripropongono attraverso il tema dell’amore, del Paraclito, “consolatore e avvocato”, che “non ci lascia soli mai, sta vicino a noi, come un avvocato che assiste l’imputato stando al suo fianco”, l’azione per la riconciliazione dei popoli, per la pace e per la giustizia.
Non solo è con noi sempre “come un avvocato che assiste l’imputato stando al suo fianco, ma il Paraclito, ovvero lo Spirito, “ci suggerisce come difenderci di fronte a chi ci accusa”: ricorda, inoltre, Francesco che “il grande accusatore è sempre il diavolo che ti mette dentro i peccati, la voglia di peccato, la malvagità”.
Lo Spirito Santo non ci abbandona mai, “non è un ospite di passaggio che viene a farci una visita di cortesia. È un compagno di vita, una presenza stabile, è Spirito e desidera dimorare nel nostro spirito”. Ancora, è paziente e “sta con noi anche quando cadiamo”, ricorda il vescovo di Roma, perché “ci ama davvero, non fa finta di volerci bene per poi lasciarci soli nelle difficoltà”. Amore che diventa gioia come scriveva Paolo VI nella sua Esortazione Gaudete in Domino: l’uomo “conosce la gioia, o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile”.
Lo Spirito Santo ci consola portandoci il perdono, ci corregge e “lo fa con gentilezza”. Certo è esigente, ricorda Francesco, “perché è un amico vero, fedele, che non nasconde nulla, che ci suggerisce cosa cambiare e come crescere. Ma quando ci corregge non ci umilia mai e non infonde mai sfiducia; al contrario, ci trasmette la certezza che con Dio ce la possiamo fare, sempre”.
La seconda parola che il papa sottolinea è avvocato. Lo Spirito Paraclito “ci difende di fronte a chi ci accusa: di fronte a noi stessi, quando non ci vogliamo bene e non ci perdoniamo, fino magari a dirci che siamo dei falliti e dei buoni a nulla; di fronte al mondo, che scarta chi non corrisponde ai suoi schemi e ai suoi modelli; di fronte al diavolo, che è per eccellenza l’accusatore e il divisore e fa di tutto per farci sentire incapaci e infelici”.
Ci viene in soccorso lo Spirito Paraclito che ci ricorda “le parole del Vangelo, e così ci permette di rispondere al diavolo accusatore non con parole nostre, ma con le parole stesse del Signore. Soprattutto ci ricorda che Gesù parlava sempre del Padre che è nei cieli, ce lo ha fatto conoscere e ci ha rivelato il suo amore per noi, che siamo i suoi figli”.
Invocare lo Spirito, afferma Francesco, significa “accogliere e ricordare la realtà più importante della vita”, ovvero che siamo “figli amati di Dio”.