Quelle tende e le nostre coscienze
Quelle tende issate fra le piazze e la gente, da studenti universitari fuori sede che non riescono più a pagare il fitto, raccontano, se mai ce ne fosse ancora necessità, l’assoluta indifferenza di chi, per anni e anni, non ha messo nero su bianco sui fogli dell’agenda politica, il problema della crescita culturale del Paese. Non l’ha visto, non l’ha analizzato, non l’ha compreso, non l’ha considerato, non ha voluto prestare attenzione ai segni del degrado, delle difficoltà da parte di una generazione abbandonata, dimenticata e da dimenticare. Non c’è stata nessuna visione in quanto, da anni e anni, la politica pensa e ragiona sul “qui e ora”, non è per nulla interessata a scommettere sul domani, sul futuro, sull’avvenire. Figurarsi se gioca le sue carte su un qualcosa che andrebbe pianificato e spalmato in molti anni, se non decenni. Quelle tende fra le piazze e l’indifferenza di tanti se non di troppi, raccontano qualcosa che non è superfluo, ma forse è davvero molto sostanziale. Quei ragazzi, quei giovani, quelle donne e quegli uomini del domani, utilizzano un mezzo di comunicazione potentissimo: l’immagine e il silenzio. Non è indispensabile, di fatto, scrivere un comunicato, diffondere un messaggio, organizzare una conferenza stampa, mettere insieme cattedratici per un convegno. In realtà, quelle tende prendono il posto del linguaggio verbale ed entrano, di prepotenza e di diritto, nel sempre più esteso dominio dei segni. Ritorna alla memoria un articolo che Pier Paolo Pasolini pubblicò il 7 gennaio 1973 nel Corriere della Sera, dal titolo “Contro i capelli lunghi”: un reperto archeologico tranquillamente reperibile in internet. Nell’articolo lo scrittore riconosce nei giovani che, a quei tempi, portavano i capelli lunghi “un linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi” ed era “il linguaggio della presenza fisica che da sempre gli uomini sono in grado di usare”. A distanza di ben cinquanta anni, oggi quelle tende costruiscono un mondo di segni e di segnali. Ci manifestano, con immediata semplicità, un disagio vero, reale, un problema complesso a cui nessuno mai aveva posto troppa attenzione. Non è altro che una protesta radicale, un rifiuto alle promesse, ai giri di parole, agli incontri su tavoli inutili dove la polvere, dopo qualche giorno, continuerà a depositarsi sul dossier “affitto studenti”. Quelle tende sulle piazze, ci raccontano un’altra cosa, forse la più drammatica e che ci tocca tutti da vicino: i nostri giovani hanno una grandissima difficoltà non solo per viaggiare e spostarsi velocemente, ma anche per studiare in altre università sparse per l’Italia. Qualcuno potrebbe rispondere che i giovani bene farebbero a studiare negli atenei locali e la risposta, in questo caso, è ancora più disarmante: anche a Bari e Lecce il problema del caro affitti esiste per i “pendolari” ai quali va aggiunta l’impossibilità di utilizzare mezzi pubblici rapidi per raggiungere le università delle due città pugliesi, perché i nostri politici che tanto si impegnano – con limitati e sterili risultati – nel garantire la continuità territoriale non hanno negli ultimi anni scommesso sulla viabilità interna. Ecco che davanti a quelle silenziose tende la processione politica prova a giocare a “scaricabarile” e il ministro Giuseppe Valditara dice che “il problema del caro affitti è grave, ma riguarda le città governate dal centrosinistra”. Adesso, a parte che siffatta affermazione non merita commenti e, sinceramente, buttarla sulla colorazione politica, in un sistema democraticamente eretto nel quale è possibile l’alternanza degli schieramenti, non sembra una analisi acuta e oggettiva. Bene farebbe, anzi meglio farebbe il ministro dell’istruzione e del merito a provare a muoversi su altri versanti, cercare e provare a verificare, con l’agenzia del demanio, se ci sono soluzioni alternative. Esistono su tutto il territorio nazionale decine e decine di caserme dismesse e abbandonate da tempo che potrebbero essere ristrutturate e poi divise in miniappartamenti. Bene faremmo, anzi meglio faremmo a cominciare a occuparci di ciò che quelle tende piantate sulle nostre coscienze provano a dire.