Anche l’Europa, dopo Svimez e Aci, boccia di fatto l’autonomia differenziata
Non ci sono solo la Svimez e l’Anci a bocciare l’autonomia differenziata, ma ora anche la commissione europea esprime decise riserve. Nel report sull’Italia, l’esecutivo europeo afferma che “La legge richiede che questa riforma sia neutrale dal punto di vista del bilancio pubblico. Tuttavia, senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo. Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica”.
Insomma: per attuare l’autonomia differenziata secondo la sciagurata legge Calderoli occorrerebbero un mare di soldi aggiuntivi, per evitare che la maggiore ricchezza delle regioni del Nord vada a scapito del resto del Paese, ma siccome queste risorse non ci sono affatto, non è possibile attuare l’autonomia differenziata senza dirottare i soldi dalle regioni meridionali verso il Nord Quindi: senza peggiorare le già pessime condizioni dei servizi essenziali che il Sud ha rispetto al Nord.
Il parere di Svimez
“L’autonomia differenziata – sostiene Svimez – delineata dal Governo espone dunque l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capaci tà competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione, si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi», si legge nella relazione”.
“Appare dunque contraddittorio – prosegue Svimez – che mentre la “nuova” Europa (che solo temporaneamente ha accantonato l’austerità) ha fatto sua l’idea che le disuguaglianze vanno ridotte non solo per motivi di equità ma perché la coesione aiuta la crescita, rischiamo di perseverare diabolicamente nell’illusione che la strada da seguire sia il sovranismo regionale dei più forti”.
Da parte della Lega, si sostiene che la modifica alla Costituzione è già stata prodotta nel 2001 da un governo a guida si centrosinistra. Ma dimentica che quella modifica fu imposta dalla Lega nel sostegno al governo dopo la rottura con Berlusconi. Il fatto che il titolo V sia stato sciaguratamente modificato per attribuire le attuali competenze alle regioni, a tutto danno della armonizzazione dei servizi, non giustifica una sciagura ancora maggiore.
La nuova “fase” della Lega
Ma cosa spinge Calderoli, l’autore del famigerato Porcellum, sistema elettorale iniquo, a premere su quella che di fatto è una secessione economica? Semplice: nelle precedenti tornate elettorali, Salvini, che poteva vantare un consenso crescente, ha messo da parte l’attributo “Nord” che si accompagna al nome della Lega, sicuro di ottenere così unanimi consensi, che diversamente non avrebbe ottenuto, in tutto il Paese. Ora, dopo il drastico ridimensionamento del suo partito nelle ultime politiche, a tutto vantaggio di Fratelli d’Italia, le frange separatiste della Lega sono tornate alla carica e hanno imposto a Salvini un ritorno ai vecchi motivi che erano a fondamento del leghismo. Da parte sua, la Meloni deve, in qualche modo, pagare il suo debito nei confronti della Lega, dal momento che la battaglia per il presidenzialismo è in netta controtendenza con la pulsioni autonomistiche. Del resto, nel Centrosud tutti i partiti e cittadini dovrebbero opporsi a un’iniziativa che non ha niente a che fare con la politica, ma solo con gli egoismi di chi vede il resto dal Paese solo al suo servizio.
Come finirà? Lo vedremo nei prossimi mesi, anche se le prime iniziative contrarie sono già partite. Nella scuola sono state raccolte già 90.000 firme contro la proposta che dividerebbe il Paese anche sul piano culturale e formativo. Avviate anche le prime iniziative popolari mentre anche in Puglia, l’assessore alla Sanità Pelese prevede che, se il governo dovesse proseguire nella sua iniziativa, si partirà con una iniziativa referendaria.