La domenica del Papa – Lo Spirito che unisce
Ancora una volta sono nel Cenacolo, le porte chiuse per paura. La morte di Gesù “li aveva sconvolti, i loro sogni erano andati in frantumi, le loro speranze svanite”, dice Francesco al Regina caeli. Certo, Gesù aveva detto loro che non li avrebbe lasciati orfani, e avrebbe mandato un altro consolatore; ma in quel momento al Cenacolo erano soli, timorosi di fronte al grande compito che avevano di fronte: nell’orto degli ulivi non avevano lasciato solo Gesù; Giuda non aveva tradito; e Pietro non aveva forse rinnegato il maestro tre volte. Paura, dunque: “vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Vi perseguiteranno”, aveva detto loro Gesù. Poi ecco il giorno di Pentecoste. Al Cenacolo, come nel tempo di Pasqua.
Pentecoste. Festa che Benedetto XVI aveva definito il “battesimo della chiesa”. Festa che conclude il tempo liturgico della Pasqua. Nell’ebraismo è la festa che ricorda la rivelazione, il dono di Dio al popolo ebraico della legge, sul monte Sinai. Per il cristianesimo è la discesa dello Spirito Santo sui discepoli, riuniti con Maria. Per l’Islam lo Spirito è sorgente ispiratrice di angeli e profeti.
Con il dono dello Spirito “Gesù desidera liberare i discepoli dalla paura, questa paura che li tiene rinchiusi in casa, e li libera perché siano capaci di uscire e diventino testimoni e annunciatori del Vangelo”. Non più chiusi, non solo nella stanza ma anche nel cuore. Anche noi ci chiudiamo, afferma il papa prima della preghiera mariana, “per qualche situazione difficile, per qualche problema personale o familiare, per la sofferenza che ci segna o per il male che respiriamo attorno a noi, rischiamo di scivolare lentamente nella perdita della speranza e ci manca il coraggio di andare avanti”. Questo accade quando “permettiamo alla paura di prendere il sopravvento”, e crediamo di essere soli e pensiamo di non farcela: “la paura blocca, la paura paralizza. E anche isola: pensiamo alla paura dell’altro, di chi è straniero, di chi è diverso, di chi la pensa in un altro modo. E ci può essere persino la paura di Dio: che mi punisca, che ce l’abbia con me”. Dove c’è paura c’è chiusura, dice Francesco; il rimedio: lo Spirito Santo che “libera dalle prigioni della paura”.
Nell’omelia che pronuncia nella basilica Vaticana il papa afferma inoltre che lo Spirito Santo “è Colui che, al principio e in ogni tempo, fa passare le realtà create dal disordine all’ordine, dalla dispersione alla coesione, dalla confusione all’armonia”. E oggi nel mondo c’è tanta discordia, afferma il vescovo di Roma, tanta divisione; “siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine. Tante guerre, tanti conflitti: sembra incredibile il male che l’uomo può compiere”.
Ostilità e divisione sono alimentate dal diavolo, il “divisore”. Per questo, “al culmine della Pasqua, al culmine della salvezza”, il Signore “riversa sul mondo creato il suo Spirito buono, lo Spirito Santo, che si oppone allo spirito divisore perché è armonia, Spirito di unità che porta la pace”. Scende sugli apostoli e “ognuno riceve grazie particolari e carismi differenti”. Una pluralità che non genera confusione “ma lo Spirito, come nella creazione, proprio a partire dalla pluralità ama creare armonia. Non è un ordine imposto e omologato”, ricorda il Papa, “non crea una lingua uguale per tutti, non cancella le differenze, le culture, ma armonizza tutto senza omologare, senza uniformare”. Senza lo Spirito “la Chiesa è inerte, la fede è solo una dottrina, la morale solo un dovere, la pastorale solo un lavoro”. Di qui l’invito a essere “docili all’armonia dello Spirito”.
Così il cammino del Sinodo – “che non è un parlamento per reclamare diritti e bisogni secondo l’agenda del mondo, non l’occasione per andare dove porta il vento” – deve cogliere l’opportunità di “essere docili al soffio dello Spirito”.
Nel dopo Regina caeli la preghiera per le popolazioni al confine tra Myanmar e Bangladesh, per i Rohingya; per la “martoriata Ucraina”. Francesco ricorda anche Alessandro Manzoni che “è stato cantore delle vittime e degli ultimi: essi sono sempre sotto la mano protettrice della Provvidenza divina che atterra e suscita, affanna e consola”.